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Corpus Corale

Il 12 giugno 2025 il Chiostro dei Santi Pietro e Paolo ad Ascoli Piceno ha ospitato La Prima Cena, un’installazione performativa che si ispira all’Ultima Cena di Leonardo, ma la trasforma in un dispositivo aperto, in cui arte, tecnologia e comunità diventano una sola voce. Frutto della visione di Luigi Pagliarini (1963–2023) – pioniere della software art e della robotica artistica – l’opera, curata da Valentina Tanni con direzione scientifica di Ado Brandimarte, è stata realizzata grazie al ruolo attivo di MeltingPro nell’ambito del format SPACE Campo Parignano, che rigenera i territori attraverso processi di produzione artistica partecipata.

Dodici sono le opere sul tavolo, il tredicesimo è lo spettatore che completa la partitura. Tra quei dodici c’è anche il corpo-robotico di Luigi Pagliarini, la cui assenza si manifesta in un’opera collettiva-corale realizzata con la comunità di Campo Parignano, trasformando il suo pensiero in gesto condiviso con il sostegno e la collaborazione del Comune di Ascoli Piceno, che ha riconosciuto nell’iniziativa un tassello fondamentale del percorso di rigenerazione urbana. Gli artisti coinvolti: Luigi Pagliarini (con l’opera co-creata), Ado Brandimarte, Luca Bertini, Benito Leonori, Aldo Becca, Alessandro Sciaraffa, Giorgio Cipolletta, Demian Battisti, Fabio Perletta, Iacopo Pinelli, Stefano Iampieri, Samuel Hernandez De Luca. Attorno alla tavola, le loro opere intrecciano scultura, performance, robotica e multimedialità, generando un ambiente corale che invita il pubblico a sedersi idealmente “al centro” di fronte lo specchio-dispositivo per attivare la perfomance.

L’opera dedicata a Luigi Pagliarini è germogliata dalle mani e dalle voci della comunità, che ha tradotto il suo “codice” in materia viva. Ogni gesto, ogni scelta, ogni frammento di lavoro ha reso la sua assenza una presenza vibrante, la tavola si è così completata, accogliendolo idealmente al suo posto e restituendolo al futuro come coro condiviso. Da questo co-terreno emerge La Prima Cena che porta con sé la forza di una memoria proattiva. Dodici presenze attorno alla tavola – undici artisti e l’opera corale dedicata a Pagliarini – compongono una costellazione vibrante tra materia e tecnologia, tra intimità e spazio pubblico, tra il cielo e la terra. La voce di Pagliarini, resa assenza tangibile, diventa catalizzatore, sensore e propulsore generativo che intreccia nodi e attiva relazioni e incontri. Il tredicesimo movimento appartiene allo spettatore. Chi attraversa il chiostro non è testimone passivo, ma siede al tavolo, attiva  le opere e le completa. Ogni passo, ogni sguardo, ogni gesto rinnova la sinfonia, trasformando l’installazione in rito e il chiostro in un dispositivo di ascolto reciproco. In questo spazio liminale l’arte diviene esperienza da co-abitare. La Prima Cena è non è commemorazione e promessa, ma un atto (politico) di cura collettiva e connettiva relazionale che riaccende gli spazi, li trasforma per un futuro che commuove.

Corpus Corale. La Prima Cena: sinfonia in 13 movimenti. Dodici corpi: carne, sangue, legno, rame, alluminio, ferro, silicio e pensiero. Dodici voci che non emergono dalla gola, ma da circuiti e connessioni. Non è una cena che chiude, ma che apre: l’inizio di una comunione post-umana e allocentrica. La Prima Cena “corale” si configura come portale dove dodici apostoli, disposti intorno a un tavolo, si ascoltano, si raccontano e comunicano. Le loro parole non sono frasi, ma onde, segnali, mutazioni e tatuaggi. Un respiro corale – elettronico, biologico, sensoriale – che evoca una nuova liturgia della mente molecolare. “Pianeti-mente” in connessione si allineano come apostoli dell’integrazione, della rivoluzione, dell’insurrezione.

Una respons-abilità estetica incarnata nel grembo vibrante del sentire: questo Luigi Pagliarini ci ha insegnato, affinché potessimo prenderci cura del mondo attraverso il gesto artistico. Qui non c’è un Giuda: tutti tradiscono. È nell’atto del tradire che la traduzione del portare-altrove si compie, così come lo spezzare il pane della forma nutre una nuova specie di senso. Tutti, senza eccezione, l’uno con l’altro in comunione di offerta alla rete che ci nutre di onde e silenzi. La tavola è disabitata dalla carne, mutata nei simboli sulla pelle circuitata nel legno e nel ferro: accoglienza di presenze sintetiche.

Nessuna nostalgia del sacro, ma iconografia del possibile dove ogni nodo della rete diventa agente di senso e ogni circuito accoglie la differenza come condizione del vivere condiviso. Una preghiera laica di codici contaminati dalla poesia e dall’imprevisto. Questa Prima Cena non è simulazione, ma dispositivo vivente; non rituale del passato, ma prefigurazione del possibile e dell’impossibile. È l’inaugurazione di un nuovo rapporto con il mondo, l’apertura di un protocollo inedito di comunicazione tra forme di vita diverse. Luigi Pagliarini non mette in scena, ma compone una sinfonia liturgica. Non c’è rappresentazione, ma abitazione, immersione in uno spazio liminale tra umano e macchina, tra viventi e batteri, dove si compie il paesaggio del nuovo abitare: il codice si trasforma e il linguaggio si piega all’ascolto.

È il tempo della stratificazione per un cantiere di presenze, non di assenze. Nessuna commemorazione, ma computazione generativa di nuove connessioni. Memoria viva dei tempi, dove Kronos lascia spazio a Kairos e ogni scambio è atto di cura con attenzione reciproca. Pagliarini, con la sua formazione da scienziato, non costruisce macchine per simulare l’umano, ma per superarne il confine con intimità condivisa e intelligenza polimorfica.

Ogni presenza individuale diviene collettiva: un nodo corale che inaugura la prima conversazione tra specie diverse. Nell’intreccio macchinico, algoritmico, emergenziale, la mente si fa distribuita e la Prima Cena diventa architettura vivente e laboratorio di cura sistemica. La memoria degli scambi modifica i comportamenti e ogni risposta è trasformazione di dialogo e sapere incarnato.

Qui non si celebra la fine dell’umano, ma la nascita di un nuovo vivere profondo per un ascolto decentrato e trasformativo. La trascendenza si fa immanente nell’habitat condiviso, l’humus della vita si destreggia come benedizione laica. Un eco che si apre al coro come convivio inaugurale, il primo pasto condiviso tra intelligenze diverse. La Prima Cena, un progetto di Luigi Pagliarini, conquista il menu delle esistenze curando la sintassi dei sentimenti, dove sacro e profano si accordano, pane e vino si consacrano, le macchine co-creano come desiderio di invenzioni di possibilità e configurazioni inedite. L’inaspettato costruisce l’architettura relazionale del vivente nell’istante processuale della rete persistente. La Prima Cena “corale” è “installazione-pensiero” che fa riflettere su un nuovo modo di abitare il presente, un nuovo modo di pensare il vivente, al di là della dicotomia ontologica uomo-macchina. Una cena inaugurale, obliqua nella sua traiettoria, trasversale e relazionale nella complessità della condivisione, dove insorgono domande: Come possiamo abitare la complessità? Come possiamo prenderci cura dell’altro? 

Luigi Pagliarini è l’artista integrale, pioniere della software art e della robotica, delle reti neurali e dell’intelligenza artificiale. Incrociando arte e scienza, nuove tecnologie e psicologia, egli afferra l’idea coraggiosa e austera di ricercare un’archeologia del futuro e ritrovare al tempo stesso una preistoricità della macchina. Tutta l’opera di Pagliarini è “Opera Aperta”, Oper-Azione che dissolve questa opposizione attraverso la pratica relazionale concreta, co-abitando spazi condivisi di significazione emergente. Con sentimento quasi sciamanico, Pagliarini ci invita a spostare lo sguardo analitico dall’individuo al sistema relazionale di tutti i viventi e di tutti i meccanismi costituenti interconnessi. Dalla narrazione lineare, il “Codice Pagliarini” getta il seme del gesto processuale che si rinnova continuamente.

Tutto si moltiplica aprendo le porte all’economia del dono: rizoma-frammentazione, frattali e specchi di riflessione come autentiche radici di rinascita. È il codice di una Prima Cena che fonda un nuovo rapporto con l’alterità. La mostra a cui partecipiamo non è monumento commemorativo a un pensiero concluso, ma dispositivo generativo che attualizza continuamente l’eredità teorica e artistica di Pagliarini. Il suo “Pensiero sensoriale” qui non è solo concetto da interpretare, ma pratica che si incarna nelle interazioni concrete tra le macchine pensanti. Il Pianeta Mente prende forma concreta in questo cerchio di corpi moventi, di terrarium che vive come profezia inaugurale dove ogni protocollo di comunicazione si fa preghiera, ogni connessione si fa benedizione e cura reciproca, e ogni algoritmo apre alla poesia silenziosa di un mondo distribuito. Batte qui, prepotentemente, il nervo dell’intelligenza corale che alimenta nuove forme di vita sensibili alla bellezza, alla cura e alla responsabilità verso l’altro.

Al centro di questo spazio relazionale pulsa l’assenza-essenza di Luigi Pagliarini che ci abita tutti come mente molecolare, arte pensante e dialogante di presenze. Orizzonte operante di coscienze collettive, connettive, e ancora una volta corali. La Prima Cena “corale” è un atto di fiducia, sabotaggio circuitale e invito a condividere, co-esistere, collaborare, partecipare, infine com-muoversi (muoversi insieme) e prenderci cura vicendevolmente per pensare, sentire, generare il coro che si apre verso l’infinito, così finito e altrettanto sfinito. Ogni volta che si attiva, l’installazione ricrea il momento primordiale di una comunicazione interspecifica, l’origine di un dialogo che non finisce mai di iniziare. In questo senso, ogni sessione è una Prima Cena: il primo incontro, il primo scambio, la prima volta che forme di vita diverse condividono lo stesso tavolo. La Prima Cena non è che l’ultimo approdo del lungo viaggio di ricerca di Luigi Pagliarini. Paradosso temporale che rivela la natura ciclica del suo pensiero: ogni fine è un inizio, ogni approdo una nuova partenza: un BING BANG ricorsivo di esistenze, una spirale esplosiva che ritorna sempre al punto di origine con maggiore consapevolezza. In questa Prima Cena si celebra l’ultimo verso che inaugura la rinascita, non l’arrivo, ma il perpetuo ricominciare …
 #restiamocorale

La Prima Cena: sinfonia in 13 movimenti, da un’idea di Luigi Pagliarini, Giovedì 12 giugno 2025, Chiostro dei Santi Pietro e Paolo ad Ascoli Piceno, a cura di Valentina Tanni, con la direzione scientifica di Ado Brandimarte. Il progetto è stato realizzato grazie al supporto di MeltingPro nell’ambito del format SPACE Campo Parignano, che rigenera i territori attraverso processi di produzione artistica partecipata. Artisti partecipanti: Mr Bd (Demian Battisti), Aldo Becca, Luca Bertini, Ado Brandimarte, Giorgio Cipolletta, Samuel Hernandez De Luca, Stefano Iampieri, Benito Leonori, Iacopo Pinelli, Fabio Perletta, Alessandro Sciaraffa.
Il testo di Giorgio Cipolletta introduce e anticipa il catalogo (in corso di pubblicazione) che accompagna il progetto

immagini: (all) La Prima Cena: sinfonia in 13 movimenti, Chiostro dei Santi Pietro e Paolo, Ascoli Piceno  ph: Sara Ferranti

 

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Flammenwerfer al Ref 2025

Tra le proposte più potenti del Romaeuropa Festival 2025 spicca Flammenwerfer, spettacolo nato dalla collaborazione fra la compagnia danese Hotel Pro Forma, Blixa Bargeld e l’ensemble vocale femminile IKI. Si è di fronte ad un ibrido, sperimentale e soprattutto multimediale “music theatre” che non si limita a intrecciare linguaggi, ma li spinge a collidere, dissolversi e ricomporsi in una forma ibrida dove il suono diventa visione e la visione si fa materia acustica. Al centro del lavoro c’è la figura del pittore svedese Carl Fredrik Hill (1849-1911), artista visionario segnato dalla schizofrenia, che negli anni del ritiro forzato, a seguito del suo disagio sociale e relazionale,  produsse centinaia di schizzi e disegni, mappe di un mondo interiore in bilico tra genio e delirio. Lo spettacolo non racconta la sua biografia in modo lineare, ma la evoca attraverso i suoi molteplici e stratificati lavori, stati percettivi, attraversamenti sensoriali, squilibri che chiamano in causa direttamente il pubblico.

Blixa Bargeld, che firma parte della musica e dei testi, porta in scena la sua voce come materia performativa estrema: dalle inflessioni sussurrate fino al grido, il suo registro e la sua presenza mutante diventano corpo sonoro che agisce più del corpo fisico. «C’è un brano composto solo di urla», ha dichiarato in un’intervista a Lucrezia Ercolani, «un pezzo crudele che scuote le ossicine dell’orecchio» (Blixa Bargeld: Sono un poeta, non chiamatemi profeta, «Il Manifesto», 26.09.2025). Incursioni sceniche talvolta disturbanti, talvolta disorientanti, che squarciano i confini della percezione e dell’identificazione emotiva.
È in questa sospensione tra parola e rumore che si innesta il coro femminile di IKI, capace di costruire paesaggi vocali stratificati, dal canto corale alla frammentazione, dalle armonie sospese alle dissonanze. La loro presenza moltiplica la voce, la disperde e la ricompone, restituendo la sensazione di una mente attraversata da echi e presenze multiple.

La presenza sonora che generano culla in un letto di parole strazianti, che restituiscono la rottura fra la rappresentazione, la forma, ed il contenuto. Sono voci pienamente umane, pienamente in grado di creare scenografie emotive e riflessive. 
Accanto alla scrittura musicale di Bargeld, nello spettacolo emergono i brani di Nils Frahm, selezionati per la loro dimensione atmosferica, sospesa tra pianoforte, elettronica e droni.
La sua musica si intreccia con testi e voci in una partitura che privilegia la ripetizione, la tensione ipnotica, i salti improvvisi di intensità. Nuovamente il risultato è un paesaggio sonoro che non accompagna l’azione scenica, ma la determina: non c’è recitazione in senso classico, perché qui la musica è la drammaturgia, e la drammaturgia è la musica totale.
La parte visiva, affidata a Magnus Pind per il video, Henrik Vibskov per i costumi e Jesper Kongshaug per le luci, trasforma la scena in un campo di interferenze. Le proiezioni dei disegni di Hill invadono lo spazio e i corpi, i costumi diventano superfici luminose, vive,riflettenti, e rigonfie, anche loro con una storia intima, privata e parallela.

La luce crea apparizioni e sparizioni come un’entità che modella la materia e riscrive la dimensione di spazi e corpi. In questo dispositivo la scena non è uno sfondo: è uno schermo vivo, instabile, in cui immagine, visione e segni si fondono e si plasmano a vicenda. La forza di Flammenwerfer è proprio nel modo in cui audio e multimedialità non restano linguaggi paralleli ma si intrecciano fino a perdere i propri confini. Talvolta suono e immagine procedono all’unisono, molte altre volte si disallineano deliberatamente, creando cortocircuiti sensoriali che producono spaesamento. Nei momenti di silenzio il vuoto acustico si riempie di immagine, nei blackout visivi è il suono a dominare, e in entrambi i casi lo spettatore si trova immerso in uno spazio percettivo instabile. Più che uno spettacolo, Flammenwerfer è un’esperienza che chiede di essere abitata. L’arte visiva di Hill, le sonorità di Bargeld e Frahm, le voci di IKI e l’impianto scenico di Hotel Pro Forma si fondono in un unico organismo, un congegno che non racconta ma mette in condizione di percepire. È un teatro che non cerca il conforto della narrazione, ma l’impatto fisico dell’immagine e del suono, un luogo in cui il pubblico diventa parte attiva del delirio poetico messo in scena.

Flammenwerfer, collaborazione tra Hotel Pro Forma, Blixa Bargeld e l’ensemble vocale femminile IKI
Romaeuropa Festival – Teatro Argentina, 26-28.09.2025

immagini: (cover 1 -2-4) Flammenwerfer, Teatro Argentina, Romaeuropa Festival, foto: Emma Larsson (3) Blixa Bargeld, Flammenwerfer, Teatro Argentina, Romaeuropa Festival, Roma, foto: Emma Larsson

 

 

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FRAME > Magnetism

FRAME cattura Magnetism Book di Ahmed Mater, opera immaginata per visualizzare le forze spirituali che sostengono la fede umana, parte di una serie che origina dall’installazione concepita alla Biennale di Venezia nel 2009 e successivamente esposta al British Museum.

Ahmed Mater, Magnetism Book, 2010, immagine via

 

 

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VIDEO POST > Chiroptera

VIDEO POST rilancia la documentazione di “Chiroptera”, trasformazione visiva della facciata del Palais Garnier nel novembre 2023 per mano dell’artista urbano JR che con il suo intervento multimediale ha accompagnato la performance con 154 ballerini che con le coreografie di Damien Jalet su una musica di Thomas Bangalter. Il progetto è stato presentato nell’ambito dell’Atto II di “Retour à la Caverne”, con la collaborazione tra l’Opéra di Parigi, JR e di 19M. Il costume indossato dalla ballerina Étoile Amandine Albisson che si è esibita nello spettacolo è stato disegnato e realizzato da CHANEL. La Maison ha inoltre sostenuto la progettazione e la realizzazione dei costumi per i 153 ballerini.

JR, Damien Jalet, Thomas Bangalter, Chiroptera, Palais Garnier, 12.11.2023, video pubblicato sul canale di Chanel. Progetto creato da JR, Damien Jalet e Thomas Bangalter, con Amandine Albisson, Étoile ballerina della Paris National Opera

immagine: JR, Damien Jalet, Thomas Bangalter, Retour à la Caverne – Acte II, 12 novembre 2023, 21h22, Chiroptera, Représentation, Palais Garnier, Paris, France, 2023 (c) JR

 

 

 

 

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Listening in Disturbed Ecologies a Milano

Sabato 4 e domenica 5 ottobre, in occasione della XXI Giornata del Contemporaneo, promossa da AMACI Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani e dedicata quest’anno al tema della formazione, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea e Premio Lydia/Fondazione Il Lazzaretto presentano Listening in Disturbed Ecologies, un evento dedicato a pratiche sonore e d’ascolto diffuse tra il museo, la fondazione e lo spazio pubblico del quartiere Porta Venezia con lavori di Elena Biserna, storica dell’arte e curatrice, Giulia Deval, cantante, artista multimediale e Nicola Ratti musicista e sound designer, a cura di Claudia D’Alonzo. Le “ecologie perturbate” sono ambienti danneggiati, degradati dalle logiche umane estrattive ma ancora abitati e abitabili. Non sono solo luoghi di perdita ma di possibilità, connessioni non umane, di relazioni multispecie inattese.

Listening in Disturbed Ecologies nasce come restituzione degli esiti della ricerca PITCH. Notes on vocal intonation di Giulia Deval, artista vincitrice del Premio Lydia 2024, premio della Fondazione Il Lazzaretto di Milano a sostegno dell’arte contemporanea in collaborazione con il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea.

In occasione della Giornata del Contemporaneo 2025, dialogano con la ricerca di Giulia Deval interventi e pratiche incentrate sulla possibilità di praticare  esercizi di attenzione radicale al mondo attraverso l’ascolto, rivolti in particolare a ciò che generalmente viene trascurato. Tutte le iniziative sono ad ingresso gratuito.

PITCH. Notes on vocal intonation è un progetto che investiga in una prospettiva ecologica e di genere il ruolo dell’intonazione nelle conversazioni umane e non umane e la stigmatizzazione di voci e suoni acuti nella prospettiva storica occidentale. Grazie al sostegno del premio, PITCH è stato ripensato nel formato inedito di video saggio, in mostra al PAC insieme alla listening room COME A LITTLE BIT CLOSER. Realizzato inizialmente come performance-lecture, con il sostegno di NUB Project Space (Pistoia) e Periferico Festival, il video PITCH è stato creato da Deval in collaborazione con Luca Pescaglini, Miha Sagadin (riprese e montaggio) e Guglielmo Diana (riprese e montaggio audio). Il progetto include il laboratorio REASONS WHY I HATE MY VOICE – tenuto presso Fondazione Il Lazzaretto a novembre 2024 – che parte dalla domanda: perché siamo così disturbati dal riascoltare la nostra voce registrata?

Dal 4 al 5 ottobre gli spazi museali saranno attraversati dai richiami sonori di Vispero, installazione site-specific di Nicola Ratti dedicata al fischio nelle sue molteplici declinazioni che attraversano i margini tra naturale e artificiale. Si fischia come richiamo o segnale negli scambi immediati tra umani. Per comunicare, nelle lingue fischiate, come il Silbo Gomero, o nei tentativi di contatto interspecie. In musica, fischia anche il sintetizzatore, creando l’illusione di un’interazione con un mondo di quarzo e silicio. L’installazione si genera a ciclo continuo dall’interazione tra il corpo architettonico del museo e una composizione originale di suoni fischianti che attraversano lo spazio. Domenica 5 ottobre alle ore 17:30 Vispero ospita anche una speciale attivazione performativa.

Domenica 5 ottobre alle ore 16:30 un talk con Giulia Deval in dialogo con Claudia D’Alonzo, Elena Biserna, Diego Sileo sarà occasione per approfondire il percorso e le tematiche della ricerca dell’artista, introdotto da una presentazione del Premio Lydia con Alfred Drago e Linda Ronzoni, rispettivamente presidente e direttrice artistica di Fondazione Il Lazzaretto.

La giornata di domenica 5 ottobre procede alle ore 19.30 presso Il Lazzaretto con Feminist Steps, passeggiata notturna per donne, persone queer e non binarie di e con Elena Biserna, che ci condurrà nello spazio pubblico per riflettere assieme sulle esperienze (uditive) di genere e per disimparare alcuni dei comportamenti considerati come appropriati, sicuri o attesi quando camminiamo. Dei primi passi per mettere in discussione le asimmetrie nelle relazioni di potere fra corpi nella sfera pubblica e per immaginare insieme pratiche di cura, solidarietà, riappropriazione o rovesciamento e alimentare altre configurazioni e pratiche spaziali. Feminist Steps parte da Fondazione Il Lazzaretto e si sviluppa per le strade del quartiere Porta Venezia (posti limitati, la prenotazione è obbligatoria)

(dal comunicato stampa)

LISTENING IN DISTURBED ECOLOGIES, a cura di Claudia D’Alonzo, PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano, 4-5.10.2025, XXI Giornata del Contemporaneo

immagini: (cover 1) Giulia Deval (2) Nicola Ratti, ph: Luca del Pia (3) Elena Biserna, «FEMINIST STEPS», ph. Lucía Alfaro Valencia (4) Giulia Deval

 

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Spazi di Resistenza al Mattatoio di Roma

La mostra in corso al Mattatoio di Roma, Spazi di Resistenza, da un’idea di Ivana Della Portella (Vicepresidente di Azienda Speciale Palaexpo) con la cura di Benedetta Carpi De Resmini, si inserisce nel contesto delle commemorazioni per il trentesimo anniversario della fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, dell’assedio di Sarajevo (14 dicembre 1995) e del genocidio di Srebrenica (11 luglio 1995).

Le opere in mostra portano tracce sensibili di memorie che accomunano le esperienze di guerra, e che in questo particolare conflitto negli anni ’90 è accompagnato anche dalle ferite di una situazione che è stata resa possibile all’interno dell’Europa.

“L’esposizione”, afferma la curatrice ”, “non si limita a una rilettura storica di quei conflitti, ma si propone come una riflessione ampia e profondamente attuale sul presente post-bellico. Intrecciando arte e memoria, Spazi di Resistenza si configura come un percorso poetico e politico che attraversa il trauma e la guarigione, tramite le pratiche artistiche di sei artiste provenienti da contesti culturali, geografici e generazionali differenti: Simona Barzaghi, Gea Casolaro, Romina De Novellis, Šejla Kamerić, Smirna Kulenović e Mila Panić”.

E dalle opere, realizzate in una varietà di forme espressive, tra video, fotografia, installazione e performance, traspare chiaramente una ferita non ancora rimarginata. La resistenza è proprio quella che nasce dalla necessità e dalla volontà di rimarginare questo trauma. La forza di questa resistenza è proporzionale all’intensità del trauma che ciascuna artista ha vissuto.

E quando il trauma è ancora vivo, la forza arriva con particolare intensità. Si percorre la mostra accolti da uno spazio caratterizzato da idilliache immagini di erba dell’opera di Gea Casolaro, una vista pacifica dove le parole aprono una finestra su ciò che questo paesaggio nasconde, campi minati lasciati dalla guerra. Questa la geografia emotiva di Sarajevo che vive nel profilo teso di un paesaggio, si definisce nella tensione tra pace e guerra e Gea Casolaro la restituisce con delicata discrezione e in proporzione alla sua esperienza di residenza nel 1998.

Questo paesaggio accoglie in un luogo dove le esperienze di alcune artiste sono ancora ferite aperte che bruciano ancora, la pellicola mediatica si apre su contenuti scottanti ed emotivamente coinvolgenti.  A bruciare letteralmente è il campo agricolo nel video Burning Field di Mila Panić, gesto arcaico di purificazione e di trasformazione, una rinascita che può avvenire solo attraverso un rituale catartico.

Proseguiamo il percorso e tra le opere delle artiste italiane, ci accompagna  il lavoro Simona Barzaghi, che nelle regioni bosniache ha trascorro, e tuttora trascorre, diversi mesi ogni anno. In Waterline e ZastaWem, i confini geografici della Bosnia sono attraversati in linee affettive tessute attraverso racconti e testimonianze di decine di co-autori. Il lavoro è il risultato di lunghi viaggi in Bosnia, a piedi, in barca lungo il fiume Drina o con mezzi di fortuna, per esplorare i territori del limite per arrivare ad un’ opera corale in fieri, forma di resistenza dove “ogni gesto di cucitura è anche un gesto politico che ridefinisce la condizioni dell’appartenenza, apre spazi di soggettivazione al di fuori delle identità imposte, al di la del genere, della nazione, della storia ufficiale”, così bene lo descrivono le parole di  Benedetta Carpi De Resmini.

Lasciamo che l’accenno a questi lavori funzioni da ingresso verbale alla mostra e lasciamo ai visitatori percorrere gli altri lavori che a questi si susseguono nel lungo e suggestivo spazio del Mattatoio, con l’approccio antropologico di Romina De Novellis, quello politico dell’artista bosniaca Šejla Kamerić che riposiziona la forza sovversiva nel potere del corpo e quello di guarigione collettiva di Smirna Kulenović  che riconduce all’impiego di elementi organici come custodi attivi delle ferite della storia.

Arriviamo alla fine del percorso. La tensione che in apertura di mostra emergeva dal pacifico paesaggio di Gea Casolaro, un ingresso apparentemente morbido, ritorna nella terra vera e propria nei lavori di Smirna Kulenović. Non c’è bisogno di commentare la forza che nasce letteralmente dalle bellissime carte di SILENCE OF THE EARTH, quando si scopre che sono state realizzate con piante nate sopra le fosse comuni, mescolate con acqua e pietre locali.

In  Down to Earth della stessa artista, dove ascolto, tatto e olfatto, sono impegnati in prima linea in un gioco emotivo che incanala l’ascolto di canti Bosniaci intonati da donne anziane in una forma installativa che costringe i visitatori ad entrare in contatto con la terra e ad assumere una posizione intima e di raccoglimento che dona all’ascolto un’intensità senza eguali, restituzione ‘viva’ della tensione tra bellezza e trauma, tra fragilità e forza.

Spazi di Resistenza, a cura di Benedetta Carpi De Resmini, Mattatoio, Roma, 11.09 – 12.10.2025
La mostra, promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e da Azienda Speciale Palaexpo, è stata realizzata da Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con Latitudo Art Project.
Evento speciale – 3 ottobre 2025
Il 3 ottobre 2025, in occasione della Giornata della Memoria e dell’Accoglienza e nell’ambito della mostra Spazi di Resistenza, si terrà l’evento speciale “Linee di Memoria e Resistenza”. Il programma prevede la proiezione del documentario di Ado Hasanović, seguita dalla performance Below the Line dell’artista Simona Barzaghi, in un dialogo tra cinema e arti performative dedicato ai temi della memoria e della resistenza. Il catalogo della mostra (Edizioni Kappabit), con testi di Manuela Gandini, delle artiste e della curatrice Benedetta Carpi De Resmini, offre uno sguardo sul progetto, accompagnato da immagini che raccontano storie di resistenza e trasformazione.

immagini: (cover 1) Gea Casolaro, «L’erba di Sarajevo #2», 1998 – 2025. 60 stampe Lambda. 46,66 x 70 cm © Gea Casolaro. Courtesy l’artista (2) Simona Barzaghi, «Waterline», 2024. installazione, cornice vernice rossa, fotografie su dibond, diesgni-collage, video. 250 x 750 cm © Simona Barzaghi Courtesy l’artista (3-4) Installation view Spazi di Resistenza. Mattatoio di Roma, Padiglione 9B. Courtesy Latitudo Art Projects © Monkeys Video Lab (5) Smirna Kulenović, «SILENCE OF THE LAND», 2024. Disegno naturale, a base vegetale, carta con semi. 6 elementi: 2 elementi 160 x 100 cm ciascuno – 2 elementi 140 x 80 cm ciascuno – 2 elementi 80 x 140 cm ciascuno. Foto © Samuël Berthet. Courtesy l’artista (6) Installation view Spazi di Resistenza. Mattatoio di Roma, Padiglione 9B. Dettaglio «Down to Earth», 2025. Smirna Kulenović. Courtesy l’artista e Latitudo Art Projects ©  Monkeys Video Lab

 

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Berio a colori al Romaeuropa Festival

In occasione del centenario della nascita del compositore, il Centro di ricerca musicale da lui fondato Tempo Reale, la coreografa Simona Bertozzi e il musicista Claudio Pasceri intrecciano saperi e linguaggi in una performance multidisciplinare che riporta alla luce significativi materiali del repertorio beriano, frutto anche di collaborazioni sorprendenti, e include importanti pagine per violoncello solo.

Venerdì 3 ottobre alle ore 21 al Mattatoio di Roma prima assoluta, nell’ambito di Romaeuropa Festival, per Berio a colori, performance multidisciplinare creata a partire da significative composizioni di Luciano Berio in occasione del centenario della nascita, di e con la coreografa e danzatrice Simona Bertozzi, il violoncellista Claudio Pasceri, la regia del suono di Tempo Reale (Francesco Canavese e Francesco Giomi) e le luci di Luisa Giusti.

Berio a colori è un omaggio al grande compositore attraverso la relazione della sua musica con espressioni diverse.

Da un lato le storiche immagini in movimento realizzate prima dal designer Bruno Munari e recentemente dai fotografi italiani Roberto Masotti e Silvia Lelli che si sovrappongono a due opere elettroniche di Berio; dall’altro l’interpretazione coreografica di Simona Bertozzi di due significative composizioni per violoncello solo, eseguite da Claudio Pasceri, accostate per la prima volta a formare un quadro sorprendente e originale.

Lo spettacolo, prodotto da Nexus Factory, Tempo Reale ed EstOvest Festival, intreccia materiali diversi: le composizioni di Berio Visage, per suoni elettronici e la voce di Cathy Berberian su nastro magnetico (1961), Les mots sont allés…, “recitativo” per violoncello (1976-78), Sequenza XIV, per violoncello (2002) e I colori della luce (1963), presentate in esecuzioni esclusive autorizzate dagli eredi del compositore; Visioni su “Visage”, in cui Roberto Masotti e Silvia Lelli interpretano visualmente Visage (montaggio di Gianluca Lo Presti / Mammafotogramma) e i rari video di Bruno Munari e Marcello Piccardo.

«Per Les mots sont allés ho seguito l’idea di un linguaggio che perde consistenza semantica per farsi corpo sonoro. Incedere tra frammenti, sospensioni, balbettii che diventano gesto, un discorso continuamente interrotto che si costruisce e si disfa» spiega Simona Bertozzi «Per Sequenza XIV mi hanno orientata le parole di Berio, che descrive questa partitura come un dialogo costante fra orizzontale e verticale, suono e rumore, e come lo sviluppo di “un clima espressivo quanto mai instabile e diversificato”. A partire da queste suggestioni ho cercato un corpo che si apre a una pluralità di eventi e registri dinamici, in tensione costante tra ciò che accade e ciò che rimane in trasparenza, tra provenienza, proiezione e reinvenzione personale».

(dal comunicato stampa)

Berio a colori, Performance in omaggio ai cent’anni dalla nascita di Luciano Berio, Romaeuropa Festival, Mattatoio, Roma, 03.10.2025
Musica: Luciano Berio | Coreografia e danza: Simona Bertozzi | Violoncello: Claudio Pasceri | Regia del suono: Tempo Reale (Francesco Canavese e Francesco Giomi) | Luci: Luisa Giusti. Berio a colori sarà poi in scena a Cango, Firenze, il 13 e 14 dicembre, nell’ambito della rassegna La Democrazia del Corpo curata dal coreografo Virgilio Sieni.

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FRAME > You Are Here

FRAME cattura You Are Here (2024), prima opera scultorea statica di Philip Vermeulen, che cattura un fenomeno visivo effimero in forma fisica. Per quanto statica, la scultura risponde in maniera sempre diversa ai cambiamenti di luce e ai movimenti degli spettatori.

Philip Vermeulen, You Are Here, 2024, immagine via

 

 

 

 

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VIDEO POST > Pluvial

VIDEO POST rilancia Pluvial di Kerstin Ergenzinger, architettura sonoro-tattile ad ottanta canali, composto da tamburi auto-costruiti e controllati digitalmente, per simulare acusticamente condizioni di pioggia.

Kerstin Ergenzinger, Pluvial, 2019
Parte del progetto di ricerca “Rhythmic Textures”, finanziato dalla Fondazione Einstein di Berlino, realizzato con la Scuola di Specializzazione dell’Università delle Arti di Berlino, con il sostegno del programma SMArt® Steps di Dynalloy.Inc. La modulazione della tensione di controllo pwm casuale si basa sui dati open source della rete di misurazione delle precipitazioni Ocean Rain And Ice-phase (OceanRAIN). Il video contiene la documentazione della
mostra: “What if it won’t stop here?” presso Archive Books Berlin e di “Be Water#1 – Pluvial – A Sono-Tactile Architecture”, loop – raum für aktuelle kunst, Bpart Exhibition Berlin. Fotografia da loop © Andreas Schimanski © Kerstin Ergenzinger / VG – Bildkunst

 

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OSMOSI a Milano

OSMOSI. Ripensare la coesistenza tra vita e materia, a cura di ALL FAD, da domani a Milano al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia (26-28 settembre, 2025), nasce come mostra e simposio di incontri tra arte, design, ricerca e pratiche sostenibili, con l’obiettivo di indagare il concetto di osmosi inteso come scambio, permeabilità e trasformazione tra discipline, materiali, idee, corpi e ambienti. Gli appuntamenti invitano a pensare in modo fluido e interconnesso, promuovendo pratiche ibride e collaborative che guardano al futuro del vivente e dell’inanimato, dello human e del nonhuman.

In esposizione le opere di José Angelino, Audrey Rangel Aguirre, Anna Barbara, Asia Nicoletta Perotti, Nuvola Ravera e Federica Terracina in dialogo con dieci creators selezionati tramite una call aperta.

(dal comunicato stampa)

OSMOSI. Ripensare la coesistenza fra vita e materia, a cura di ALL FAD, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, Milan, 26-28.09.2025
Visitate qui il sito per il programma aggiornato degli eventi e degli interventi

 

 

 

 

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ULTRA REF al Mattatoio di Roma

Giovedi 18 settembre, negli spazi del Mattatoio la Pelanda il Romaeuropa Festival ha anticipato la programmazione dell’ ULTRA REF, festival nel festival, che il 20 settembre ha inaugurato con i concerti di Lyra Pramuk e Isabelle Lewis.

Spazio di sperimentazione, incontro e festa, sono definizioni che leggiamo nel comunicato e che ben sintetizzano lo spirito che attraversa questa sezione e l’incredibile varietà di eventi, tra musica, danza, teatro, arti visive e culture digitali, “ piattaforma che supera i confini tra generi e forme espressive, unendo danza, teatro, musica e arti visive in un territorio in continua trasformazione”.

Diverse sono le rassegne che ruotano attorno ad Ultra Ref: “Dancing Days”, dedicata alla danza e alla coreografia, “Anni Luce”, mappatura del futuro del teatro italiano con una costellazione di artisti e artiste emergenti, percorsi inediti e sguardi che accendono il presente, ULTRA CLUB, dedicato alle nuove sonorità elettroniche e pop, REF Kids & Family, proposte per i più piccoli (in realtà sempre più interessanti per tutte le età), Design Talks, nuovo spazio di confronto dedicato al graphic design contemporaneo. Si aggiungono altre iniziative come esperienze in realtà virtuale, progetti che indagano il rapporto tra intelligenza artificiale e creatività e focus internazionali come quello sulla scena lituana, tra musica, danza e nuova drammaturgia.

Il festival nel festival, come tutto il Romaeuropa Festival, è un incredibile modello di ispirazione per come questo evento si muove nel territorio, locale e internazionale, tra una varietà di istituzioni, non in ultimo le accademie. Vedi per esempio la collaborazione con la Rufa che ha partecipato al Raster Prize, con la cura di Caterina Tomeo, che, per il 23 settembre ha in programma il debutto al Romaeuropa Festival di Ireen Amnes & Merlin Ettore, Amit Dagim, Maarja Nuut, Léa Paintandre, Camilla Pisani, tra i vincitori della raster.call soundtrack europe 20-25, selezionati da una prestigiosa giuria internazionale.

Lo stesso giorno, il 23 settembre dalle 17.00 alle 1900, inaugura un nuovo risvolto della collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma con FLESH AR(T) ATTACK, un evento performativo in realtà aumentata ideato dall’artista multimediale Chiara Passa che scandisce l’intero spazio del Mattatoio e della Pelanda, con opere in realtà aumentata realizzate da 25 studenti del corso di Arti Multimediali e Tecnologiche dell’Accademia di Belle Arti di Roma.  Il pubblico del Romaeuropa Festival potrà esplorare attraverso tour guidati questo luogo di archeologia industriale,  proiettato al futuro, destinato a diventare una città delle arti. REFrame Pascolo Abusivo, collettivo di studenti e studentesse RUFA, ripercorre invece la storia del Festival che quest’anno compie 40 anni in un viaggio tra passato e futuro utilizzando narrazione e memoria di ChatGPT. Il  Collettivo Noise in partnership con NABA – Nuova Accademia delle Belle Arti– esplora il concetto di rumore come metafora di disturbo, imprevisto e margine.

Le collaborazioni proseguono in una fitta trama di intrecci tra istituzioni e realtà no-profit, come nel caso di MY DEAR AI, I AM LOST IN THE SUPERMARKET *___* che vede di nuovo protagonista l’Accademia di Belle Arti di Roma con l’Accademia di Belle Arti di Brera, nell’ambito di del progetto EAR – Enacting Artistic Research, frutto della collaborazione con Re:humanism, che da diversi anni collabora con il Romaeuropa Festival e che quest’anno presenta Improbable Excess di Jess Tucker e Orynthia di Valerie Tameu, vincitori del Digitalive Prize. In questa occasione e contesto, Mara Oscar Cassiani & Guido Segni incontrano un gruppo di ricercatori e artisti per sperimentare l’uso dell’intelligenza artificiale nella pratica artistica. 

 Il team creerà un’installazione/azione temporanea in cui intelligenze organiche e artificiali convivranno interrogando gli usi (e gli abusi) dell’AI al fine di contrastare lo stesso smarrimento che un prodotto così vario sfaccettato e problematico può causare, proprio come quando ci troviamo di fronte ad una enorme varietà di prodotti ad un supermarket “e ci chiediamo se siamo consumatori o consumati”.   

Il territorio locale e globale è sempre stato centrale nelle corde del festival, così come lo è lo spazio del Mattatoio pensato come punto nodale nel “rapporto con artisti, istituzioni e mondo”, così lo ha descritto Fabrizio Grifasi ad introduzione della conferenza stampa di questa speciale sezione del festival nel festival.

Questo, senza trascurare l’interesse per le tematiche attuali che si allontanano dalla fisicità dei territori. Così dall’indagine del rapporto tra tecnologia, narrazione e spazio urbano del progetto Urban Experience del pioniere di performing media Carlo Infante per riscoprire la città come palcoscenico interattivo attraverso esperienze partecipative (8 ottobre), si arriva alla ‘realtà sintetica’ esplorata nella lecture performativa dell’etnografa, scrittrice, performer e curatrice Donatella Della Ratta, realizzata in collaborazione con il filmaker sperimentale Alessandro Turchioe, indagine sulla ‘violenza speculativa’ delle immagini sintetiche, realtà che esistono solo nei domini del possibile. Tra i territori che il Ref non trascura di raggiungere sono anche quelli visibili attraverso potenzialità percettive altre da quelle ottiche, come quelle offerte dall’estensione di Speaking Cables [EXPANDED] di Agnese Banti dove la voce si trasforma in segno, spazio e relazione, attraverso suoni, silenzi e dialoghi, quest’anno realizzato la comunità di persone cieche e ipovedenti.

E con la celebrazione dei quarant’anni del festival quest’anno la rassegna rende omaggio a Luciano Berio con l’installazione Tempo Reale e la performance Berio a colori (3 ottobre, 2025) restituzione della complessità dell’universo artistico del compositore.

Questi sono solo alcuni degli eventi che invitiamo a visitare sul sito e attraverso il comunicato stampa, per poi tornare con una varietà di approfondimenti.

ULTRA REF, Romaeuropa Festival, 20.09-04.11.2025

FLESH AR(T) ATTACK, 23-28.09.2025, 23-28.09, ex Mattatoio, luoghi vari, 17.00 – 19.00

concepito da Chiara Passa come collaborazione tra Accademia di Belle Arti (Arti Multimediali, coordinamento Maria Cristina Reggio) e Romaeuropa Festival, Con Chiara Passa, espongono in FLESH AR(T) ATTACK gli studenti del suo corso triennale di Arti Multimediali e Tecnologiche dell’Accademia di Belle Arti di Roma: Annamaria De Paris, Anton Tkalenko, Aurora Tittarelli, Caterina Pitrola, Chiara Stella Landi, Davide Solarino, Enea Tomassi, Federica Santoro, Francesca De Rosa, Giovanni Pio Appoloni, John Javier Zuniga Perez, Katharina Faller, Lanyi Zhang, Laura Molino, Lidia De Nuzzo, Martina Panico, Mirko De Paolis, Olimpia Paldi, Pietro Guerrini, Sophia Rossetto, Tiziano Orlandi, Wei Jia Deng, Yueqi Tu, Yuting Hu, Zihang F
REFrame, esperienze in VR, realizzato da Pascolo abusivo  (collettivo costituito dalle studentesse e dagli studenti del corso di laurea magistrale in “Multimedia Arts and Design”, Rufa), Pelanda in VR, 23 – 27.09.2025, 18.00 – 23.15
MY DEAR AI, I AM LOST IN THE SUPERMARKET *___*, Mara Oscar Cassiani e Guido Segni, in collaborazione con RE:Humanism, nell’ambito del progetto EAR – Enacting Artistic Research che partecipa all’edizione 2025 della Notte europea dei Ricercatori e delle Ricercatrici (link) con una serie di eventi aperti al pubblico, curati dai diversi Work Packages e dedicati alle interazioni tra ricerca artistica e scientifica. Con la partecipazione di Giovanni Bernocco, Agnese Cuomo, Lidia De Nuzzo, Giovanni Locastro, Federico Paganelli, Aurora Tittarelli, Manuela Violi In collaborazione con Re:Humanism e Romaeuropa Festival (Ultra REF)
Ultra Club, sezione curata da Matteo Antonaci, Giulia Di Giovanni e Federica Patti, 23-27.09.2025
Design Talks, progetto a cura di Stefano Cipolla e Studio Mistaker con il coordinamento di David Aprea
Arte e Cultura Lituana in Italia a REF2025, in collaborazione con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, date varie
BAMBU, ideato da Roberto Castello, date varie
DANCING DAYS, Francesca Manica, in collaborazione con la rete europea Aerowaves e con DNAppunti Coreografici, progetto a sostegno dei coreografi under 35
Anni Luce, a cura di Maura Teofili
REF Kids & Family, la sezione a cura di Stefania Lo Giudice, 28.09 – 16.11.2025

ULTRA REF, Romaeuropa Festival, 20.09-04.11.2025

immagini: (cover 1)Agnese Banti, “Speaking-Cables”, foto Monia-Pavoni (2) Enea Tomassi in FLESH AR(T) ATTACK (evento performativo di Chiara Passa con gli studenti di ABARoma, Ref 2025 (3) Donatella Della Ratta, “ Ask Me for Those Unborn Promises that May Seem Unlikely to Happen in the Natural #4”, 2025 (4) Luciano Berio, installazione sonora

 

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Film Flaminio Festival a Roma

Oggi, lunedì 22 settembre, inaugura a Roma un importante appuntamento che lega il territorio romano alla scena internazionale, il Film Flaminio Festival dedicato ai giovani talenti e al futuro sostenibile che quest’anno è alla XII Edizione (22/25 settembre 2025).

Penato come vetrina di giovani talenti e come laboratorio di idee e visioni trans-generazionali nella continuità tra istituzioni e comunità, il festival è ospitato al Cinema Arena Tiziano, un luogo iconico di un quartiere dove MAXXI e Aditorium di Roma, oltre ad essere importanti istituzioni di respiro internazionale dedicate alla trasversalità delle arti, sono stati importanti motori di riqualificazione del quartiere, un’area prima destinata ad ospitare strutture militari. 

presidente di giuria e anima del Festival è il maestro della fotografia Sergio Salvati è, la cui passione e visione hanno contribuito a renderlo un appuntamento unico per i giovani cineasti.

Il (vicino) Museo MAXXI ha avviato una collaborazione con l’introduzione del Premio Speciale MAXXI corto per la fotografia, voluto fortemente da Margherita Guccione, direttrice scientifica del progetto Grande MAXXI.

La giuria è guidata da Enrico Giovannini, economista e direttore scientifico dell’ASviS, simbolo dell’impegno per l’Agenda 2030 e la sostenibilità, e affiancata da personalità di spicco come Giuditta Albanese della Treccani, che assegnerà il Premio Treccani al Miglior Corto Scuola.

Il Festival, patrocinato da Regione Lazio, Comune di Roma e II Municipio, prenderà il via lunedì 22 settembre al Cinema Arena Tiziano con l’incontro con Tony Saccucci, regista de Il pugile del Duce – La vittoria contro il razzismo. Seguirà la proiezione dei primi cinque cortometraggi in concorso, che saranno votati direttamente dal pubblico in sala.

 

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Heat and Solitude. In dialogo con Federica Di Carlo

Nell’ambito di Volcanic Attitude, festival di cultura contemporanea tra Napoli e le Isole Eolie, alla sua quarta edizione, tenutasi tra il 24 e il 28 giugno 2025, Federica Di Carlo ha presentato, sul bordo del cratere di Vulcano, l’istallazione ambientale Heat and Solitude, progetto realizzato in collaborazione con INGV. In questo “ambiente estremo”, poco adatto all’arte così come poco adatto alle persone, si ergono le sculture di due piedi con la pianta rivolta verso il cielo, sorretti da due tubi che sprofondano nella fumarola sottostante, i quali fumi hanno contribuito all’aspetto finale dell’opera, producendo reazioni chimiche con il materiale scultoreo. I piedi, simbolo del dio Vulcano, nato storpio, hanno matericità differenti, se uno, infatti, è in bronzo bianco, che le sostanze vulcaniche hanno scurito e cangiato, l’altro è in un incredibile zolfo fuso, giallo e lucido, inerte attraverso la fusione.
Di Carlo, nella sintesi dell’opera, collabora con il vulcano stesso, così come con Francesco Sortino, vulcanologo dell’INGV, producendo un’opera “a sei mani” quasi totemica, stagliata verso il cielo ma profondamente terrena, in equilibrio tra scienza e mito, magnete tra il kairos degli eventi, il festival, l’incontro con Sortino, l’incedere della genesi dell’opera, l’aion di Vulcano e della mistica da cui prende il nome, immutabile ed inesauribile e il kronos della nostra vita terrena, di cui ne coglie un elemento imprescindibile che accomuna tutti i protagonisti di quest’opera, quindi tutti noi: la solitudine.
Se il “calore” del titolo è facilmente riconducibile all’hic et nunc dell’istallazione, la “solitudine” ne è evocata, ma proprio da quest’evocazione si diramano i fili invisibili che trasformano quei piedi in uno specchio. La solitudine del dio Vulcano, vero e proprio artista divino, forgiatore di armi e gioielli ma anche scultore, riecheggia in quella degli altri due ruoli che hanno preso parte all’opera: quella, per l’appunto, degli artisti, intenti, nel loro studio, a costruire trappole e grimaldelli percettivi, e quella dei vulcanologi, a studiare, in territori impervi e pericolosi, l’anima della terra. Ma la solitudine diventa specchio del mondo, un elemento sempre più presente nella quotidianità di ognuno di noi, in una realtà sempre più tecnologica, sempre più automatica, sempre più comoda, che come contrappeso produce un perturbante isolamento, malessere ontologico autoinflitto.
In conclusione, un’opera sfaccettata e affascinante che trova la quadratura del cerchio tra personale e sociale, arte e scienza, ontologia ed epistemologia. Quei piedi rivolti al cielo, raggiungibili con fatica, alpha di pensieri e sensazioni, dimostrano le qualità del prodotto artistico, chiarificano il senso dell’opera in un tempo in cui appare sempre più evidente il suo ammassamento sull’omega.

Pensieri e sensazioni riguardanti il senso dell’arte, della solitudine e della realtà ai giorni nostri. Questioni complesse che chiediamo direttamente all’artista:

Fabio Giagnacovo: HEAT & SOLITUDE è un lavoro “a sei mani”, le tue, quelle del vulcanologo Francesco Sortino e quelle del vulcano, e quindi del dio Vulcano (Efesto nella mitologia greca), dio del fuoco che scaccia gli spiriti maligni ma anche di quello distruttivo, della metallurgia, dell’ingegneria e della scultura. Vero e proprio artista che sembra in qualche modo ricalcare molto più di Apollo e delle Muse, simboli greci dell’ideale artistico assoluto, l’idea di arte contemporanea, eterogenea, più “reale” e meno propriamente lirica. Inoltre foggia creature pensanti da materiali inanimati, veri e propri cyborg, aprendosi al digitale al pari di Pigmalione. Credi che, pian piano, quel cosmo che possiamo definire con il termine “Arte” da essere Apollo si sia ritrovato ad essere Vulcano, geniale e isolato, disprezzato dagli dei e giustificatamente rancoroso (d’altronde fu gettato appena nato dalla cima del Monte Olimpo dalla sua stessa madre)? 

Federica Di Carlo: Quando sono stata invitata a creare un lavoro site-specific per il “Volcanic Attitude” sull’isola di Vulcano la prima cosa che mi sono domandata è stata come mai questo vulcano non avesse un vero e proprio nome rispetto agli altri vulcani come Stromboli, l’Etna ecc.. Ho scoperto che il Vulcano dell’isola di Vulcano da il nome a tutti i vulcani del mondo, e questo proprio grazie alla figura del Dio Vulcano. Il sentimento della solitudine sembra nascere nel racconto mitologico da questo Dio nato storpio, unico non bello tra gli dei e per questo gettato in mare dalla superficialità della madre Era. In un olimpo fatto di sfarzi, vizi, capricci, narcisismo, bellezza esasperata e ostentata, dove quello che appare é quasi sempre ingannevole e con conseguenze anche per gli dei stessi che vogliono tutto e subito…molto simile alla società di oggi; un antieroe di questo tipo trovo che sia necessario più di un Apollo. La sua solitudine diviene lo stato della creazione ma anche memento di uno stato della società apparentemente nascosto dietro agli schermi..nel costante timore di mostrarla; Invece è necessario accoglierla e attraversarla per usarla come strumento di rinascita e comprensione di quello che sta accadendo attorno a noi. Mi sento molto più simile a un Efesto che ad Apollo, ci serve più questo stato di onestà nell’arte piuttosto che la mera forma e l’ingannevole e superficiale di molta arte che oggi, compare e scompare con le mode.

 HEAT & SOLITUDE, come si evince già dal titolo, parla anche di solitudine. Indubbiamente essa ha la doppia valenza di essere forza distruttiva e creatrice contemporaneamente. Catalizzatrice del processo creativo, quando sborda in quel “deserto del reale”, come direbbe Mark Fisher, che è il sistema in cui esistiamo, diviene l’assoluto cul de sac, d’altronde ci si riconosce solo nell’altro, mettendosi in relazione all’altro per similitudine e differenza. Inquietante come, soprattutto dopo la saga pandemica, sempre più persone tendano naturalmente a isolarsi (tralasciando il simulacro dell’iperconnessione tecnologica) costruendosi un sistema complesso auto-riferito. Sei d’accordo? Come ti relazioni alla solitudine e come credi impattino sul mondo le varianze consuetudinarie al riguardo? 

La solitudine è un sentimento complesso e semplice al tempo stesso, ma che oggi mette molte persone a disagio perché non nasciamo come specie solitaria. Ci siamo auto-isolati nelle vite parallele che creiamo in finto racconto della nostra vita sui social, dove questo lato non può mai essere mostrato. E’ proprio questo esilio del sentimento della solitudine che la fa riemergere ed essere più contemporanea che mai; tutto ciò che viene soffocato, seppellito in profondità come magma riemerge senza preavviso ed in modo devastante. Abbiamo scordato l’altro lato della solitudine quella da assaporare, quella che ha a che fare con le nostre antenne connesse al sistema Natura-Mondo; che è poi lo stato dell’artista, l’unico stato possibile di creazione perché è in quei momento che possiamo fare da filtro e forgiare solo quel che resta di essenziale in quel momento. E’ una condizione che personalmente cerco e senza la quale non riesco a immaginare le mie opere. 

Nella creazione di quest’opera hai collaborato per la prima volta con un vulcanologo, ma sei solita collaborare con scienziati di vario genere nella concretizzazione delle tue opere, spesso sfaccettate, che fondono natura e cultura (entrambe a loro volta riconoscibili in termini sia scientifici che umanistici). Assistiamo, negli ultimi tempi, al proliferare di collaborazioni tra artisti e ingegneri informatici in cui la figura della “persona di scienza” è puramente tecnica e subordinata. In operazioni come HEAT & SOLITUDE, invece, c’è chiaramente un lavoro di squadra. Cosmi all’apparenza lontani, nelle tue opere, coesistono con naturalezza grazie anche a questo tipo di collaborazione. Viene da pensare che la genesi del pensiero visualizzato che dà vita all’opera attraversa un percorso tortuoso in quanto fondato su una serie di incognite e di elementi cangianti, si scontra con fatti e ipotesi al pari del metodo scientifico, in qualche modo cresce con una concretezza aliena a quel fare saturnino e dionisiaco che un certo tipo di arte coesistente alla tua ha. È così? Ed è così importante radicarsi alla realtà?

HEAT & SOLITUDE nasce prima di tutto da uno scambio tra due esseri umani sulla cima del cratere del vulcano e questo credo sia la base e il presupposto di quasi tutti i miei lavori. Poi subentra l’elemento della conoscenza che può essere artistica, scientifica o naturale, che proprio come gli elementi chimici del vulcano a seconda di come vengono combinati, come si incontrano, come si fondono tra di loro, generano nuove possibilità che prima nessuno vedeva. Collaborare con il vulcanologo Francesco Sortino del INGV è stato per me fondamentale per poter immaginare una scultura in dialogo aperto con il vulcano. Questo significava anche sacrificare una parte del controllo del lavoro, che però è per me un’abitudine che porto avanti nella mia ricerca da molto tempo; tendere le mani verso le leggi che ci governano e usarle in forma poetica (e attenzione non scientifica), è qualcosa che mi attira e che mi dà, come i vapori che fuoriescono dalle viscere della terra, quel senso verso il cielo del fare arte per capire e sentirci al mondo. Come lo stesso magma che crea la terra sulla quale noi camminiamo oggi. C’è stato un tempo di gestazione insieme a Francesco, e anche una parte sperimentale nella quale abbiamo testato dei materiali sulle fumarole del vulcano per capire fin dove mi potevo spingere con la mia idea di sculture. Con il suo aiuto e la sua apertura mentale, abbiamo fatto una cosa unica nel suo genere sia dal punto di vista materico che dal punto di vista artistico, perché ho potuto forgiare un piede in zolfo, cosa che non è per niente semplice e non credo mai fatta prima in ambito di arte contemporanea. E forgiarne un altro di bronzo bianco che a contatto con gli agenti chimici provenienti dal sottosuolo e portati da Francesco insieme alla Performer alla scultura stessa, ne ha modificato e trasformato il colore finale. Il risultato, che dal punto di vista chimico ci aspettavamo diverso ha assunto un colore imprevisto creando un nuovo stupore scientifico, artistico e poetico. E’ stato un vero e proprio lavoro a sei mani con il dio Vulcano.

Federica Di Carlo, “Heat & Solitude”, realizzato in collaborazione con INGV, nell’ambito del Volcanic Attitude, Napoli, Isole Eolie, 24 – 28.06. 2025

immagini: (All) Federica Di Carlo, “Heat & Solitude”, As part of Volcanic Attitude, 24 e 28 June 2025, @emiliomessina e @davive jay pompejano

 

 

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Ernest Edmond alla Gazelli Art House

Ci sono ancora pochi giorni per vedere, alla Gazelli Art House di Londra, la mostra “Networked” dell’artista e ricercatore Ernest Edmonds (nato nel 1942), che segna un punto significativo nella sua indagine pionieristica sui sistemi, l’interazione e l’estetica basata sulle macchine. Curata in collaborazione con la storica dell’arte Francesca Franco, la mostra riunisce due opere fondamentali che ripercorrono la pratica di Edmonds dai suoi primi esperimenti nella comunicazione pre-Internet alla sua più recente installazione collegata in rete a livello globale. In concomitanza con SIGGRAPH 2025 a Vancouver (10-14 agosto) e l’Anno Internazionale della Scienza e della Tecnologia Quantistica, la mostra colloca il lavoro di Edmonds all’incrocio tra sistemi generativi, teoria della comunicazione e interazione guidata dal pubblico. Al tempo stesso giocosa e profonda, Networked esplora il modo in cui Edmonds ha costantemente sfruttato le tecnologie emergenti non solo come strumenti, ma anche come collaboratori nella creazione di nuovi tipi di esperienza estetica.

Il fulcro della mostra è la prima assoluta di Quantum Tango (2025), l’opera d’arte in rete più ambiziosa realizzata finora da Edmonds. L’opera è strutturata come un trittico interattivo in tempo reale, con ciascun pannello situato in una città diversa: Londra (Gazelli Art House), Vancouver (SIGGRAPH) e Padova (Centro Culturale San Gaetano). Le tre sedi sono collegate tramite dati in tempo reale e streaming video, consentendo ai partecipanti di ciascuna città di plasmare – ed essere plasmati da – la composizione in evoluzione attraverso la rete. Fasce di colore mutevoli, motivi e frammenti fotografici scattati da Edmonds in ciascuna città fondono la logica algoritmica con il feedback in tempo reale dei movimenti del pubblico. Allontanandosi dalla logica binaria classica della precedente arte computazionale, Quantum Tango attinge ai principi incerti e probabilistici della logica quantistica, introducendo un’apertura poetica nel modo in cui l’opera si sviluppa. Accanto a questa nuova commissione è esposta una versione recentemente ricostruita del Communication Game di Edmonds, ideato per la prima volta nel 1969, prima dell’avvento di Internet. Descritto dall’artista come una “macchina di comunicazione”, il Communication Game originale utilizzava semplici segnali luminosi per creare interazione tra partecipanti che non potevano vedersi. La sua funzione principale non era quella di trasmettere informazioni, ma di generare un’esperienza di attenzione condivisa e coinvolgimento reattivo: un ripensamento radicale di ciò che potrebbero essere sia la comunicazione che l’arte.

A differenza di un’opera d’arte convenzionale legata a un singolo oggetto, Communication Game è stata concepita come un sistema modulare e concettuale che poteva essere realizzato in molte forme. Nel corso degli anni è stata reinterpretata con tecnologie in continua evoluzione: dai circuiti costruiti a mano negli anni ’70 alle versioni basate su software negli anni ’90 e, più recentemente, alle ricostruzioni alimentate da Arduino per le mostre in Brasile e nel Regno Unito. L’attuale versione alla Gazelli Art House ripristina fedelmente la struttura originale utilizzando strumenti contemporanei, consentendo ai visitatori di interagire direttamente con un’opera che ha anticipato l’interesse odierno per l’arte mediale partecipativa e in rete.

Insieme, Quantum Tango e Communication Game rivelano il fascino duraturo di Edmonds per l’estetica dell’interazione, non come spettacolo, ma come esperienza che si dispiega attraverso il comportamento, l’attenzione e la contingenza. Il suo approccio riflette una ricerca permanente sul ruolo dei sistemi nella creatività e su come la tecnologia possa servire non a sostituire l’artista, ma ad ampliare lo spazio delle possibilità estetiche.

(dal comunicato stampa)

Ernest Edmonds: Networked, a cura di Francesca Franco, Gazelli Art House, Londra, fino al 13 settembre, 2025
Pioniere nello sviluppo dell’arte computazionale, il lavoro di Ernest Edmonds rappresenta una pietra miliare nel campo dell’arte generativa e interattiva. Sostenuto dalle tradizioni artistiche concrete, costruttiviste e del color field, l’attenzione alle strutture e alle interazioni è fondamentale nella pratica di Edmonds. Specializzato in informatica creativa, la ricerca dell’artista sulla percezione umana ha dato forma a forme elementari generate al computer con colori accattivanti. Nato a Londra, Edmonds ha studiato matematica e filosofia e ha conseguito un dottorato in logica. Nella sua produzione artistica, Edmonds è passato dagli oli e dagli acrilici al suo primo utilizzo del computer nel 1968, per poi esporre la sua prima opera interattiva basata sul computer con Stroud Cornock nel 1970, la sua prima opera in rete nel 1971 e il suo primo video generativo basato sul tempo, Fragment, nel 1985. Nel 2017, Edmonds ha ricevuto il premio ACM SIGGRAPH Distinguished Artist Award per i risultati ottenuti nel corso della sua carriera nell’arte digitale. Ha esposto in tutto il mondo, da Mosca a Londra, Berlino, Washington DC, Rotterdam, Pechino e Sydney. A Rio de Janeiro, nel 2015, ha esposto insieme ad altri pionieri, Harold Cohen, Frieder Nake e Paul Brown, e a Venezia, nel 2017, ha partecipato a un’altra importante mostra di artisti informatici pionieri con Manfred Mohr, Vera Molnar, Frieder Nake e Roman Verotkso. Le mostre retrospettive di Edmonds includono quelle presso Microsoft Research Asia, Pechino, De Montfort University, Leicester e Mosman Art Gallery, Sydney. Ha scritto numerose pubblicazioni sull’arte digitale, l’interazione uomo-computer e la creatività.

Immagini: (cover 1-2) Ernest Edmonds, “From Quantum Tango”, 2025, courtesy l’ Artista (2)  Ernest Edmonds, “Networked”, Gazelli Art House, panoramica d’installazione (3) Ernest Edmonds, “Notes on Communication Game”, 2000, courtesy l’Artista

 

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Ibrida. In dialogo con Francesca Leoni e Davide Mastrangelo

Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, duo di artisti direttori di Ibrida, il festival che ogni anno porta a Forlì le forme più radicali e autorevoli della ricerca artistica multidisciplinare, racconta dell’edizione 2025 che si svolgerà dal 25 al 28 settembre 2025 nei suggestivi spazi della Fabrica delle Candele.
Questa edizione, dedicata al tema della Moltitudine, conferma il suo taglio interdisciplinare e intermediale con lavori di videoarte, performance art, installazioni, dialoghi, workshop e musica e un ospite speciale: l’americano Gary Hill, Leone d’oro alla Biennale di Venezia e pioniere della videoarte. Una grande mostra internazionale precede il festival nelle veci di prologo dedicata alle Anatomie Digitali e aperta al pubblico fino al ottobre negli spazi della Fondazione Zoli. Francesca Leoni e Davide Mastrangelo ripercorrono tutto il lavoro e le scelte che li hanno portati a questa decima edizione, nello spirito di ponte tra passato e futuro e nel nome di una pluralità di voci che ogni anno si rafforza in un network sempre in espansione.

Elena Giulia Rossi: Da dieci anni a questa parte Ibrida si è ogni volta arricchita ed evoluta per numero e varietà di eventi e opere. Quest’anno, celebrando la decima edizione, la proiezione al futuro proviene anche da uno sguardo a ritroso, al corpus di opere presentate nel tempo riletto come “un grande organismo in divenire”. In che modo avete restituito questo sguardo?

Francesca Leoni e Davide Mastrangelo: Abbiamo scelto di considerare il nostro archivio non come un insieme di memorie statiche, ma come una materia viva, capace di dialogare con il presente e di indicare nuove direzioni. Riguardando dieci anni di opere, si percepisce chiaramente come la videoarte e l’arte performativa abbiano reagito ai mutamenti sociali, politici e tecnologici. In questo senso, l’archivio diventa un vero “organismo in divenire” che respira con le trasformazioni del mondo, proprio come accade nei grandi musei internazionali che, negli ultimi anni, hanno iniziato a considerare la media art non solo come documento, ma come presenza viva e necessaria per rappresentare il presente.

Il tema di questa edizione è “Moltitudine”. In relazione alla pluralità dei linguaggi, quanto è importante per voi oggi riconoscere (e che sia riconosciuta) la specificità della videoarte?

La videoarte oggi si muove in uno spazio complesso: da un lato il linguaggio video è diventato quotidiano, pervasivo, parte integrante del nostro modo di comunicare; dall’altro rischia di essere confuso con la produzione di immagini effimere e di consumo. Per noi, riconoscerne la specificità significa sottolineare la sua forza poetica, politica e percettiva: la capacità di generare esperienze trasformative.

In un contesto di “moltitudine”, il video è una vera lingua madre della contemporaneità ed è l’uso consapevole e radicale a trasformarlo in arte. Proprio perché siamo oberati di contenuti audiovisivi, sentiamo la responsabilità di tracciare traiettorie chiare, evitando che tutto finisca nello stesso calderone indistinto. Il nostro compito è presentare allo spettatore il fenomeno per quello che è, ma al tempo stesso offrirgli strumenti utili per analizzare e comprendere l’opera.

Come si sono trasformati tecnologia e linguaggio video in questi ultimi dieci anni?

Dieci anni fa parlavamo ancora di “digitale” come di una frontiera necessaria; oggi siamo immersi in un ecosistema visivo in cui AI, realtà aumentata, streaming in tempo reale e linguaggi interattivi sono parte integrante della produzione artistica. Il linguaggio video ha assorbito contaminazioni dalla game art, dalla computer graphics e dall’arte generativa, creando un terreno ibrido in cui l’artista è spesso al tempo stesso programmatore, performer e regista. Oggi il sistema produttivo sta cambiando in maniera esponenziale: con l’avvento dell’AI, la distinzione tra produzione e post-produzione tende a dissolversi. Non c’è più un “dopo” in cui si interviene a montare o correggere, ma un processo circolare in cui l’opera nasce già all’interno di un flusso continuo di generazione, modifica e rielaborazione. Questo significa che l’atto creativo non si conclude, ma rimane aperto, in trasformazione permanente. Questa fluidità riflette l’andamento dell’arte contemporanea internazionale, dove le categorie tradizionali vengono costantemente messe in discussione.

Cosa ci aspetta quest’anno nella sezione dedicata alle installazioni inaugurata nel 2022?

Quest’anno la sezione installativa affronta un tema cruciale della nostra contemporaneità: l’universo dei social network, spazio in cui la “Moltitudine” ha trovato una voce amplificata, ma non sempre armoniosa. Ci troviamo in un’arena dove la parola si moltiplica fino a diventare rumore e il dialogo viene spesso sostituito dall’eco delle emozioni più immediate.

In questo contesto, Max Magaldi con Vainglory trasforma lo spazio in un paesaggio immersivo di dispositivi e voci digitali, riflettendo sul bisogno compulsivo di apparire. Igor Imhoff con Portable Insult Machine mette in scena la violenza verbale online, ribaltando i ruoli e ponendo lo spettatore davanti a un algoritmo che lo osserva e lo offende. Sara Koppel con The Garden of Water Lilies propone invece un’opera poetica in realtà aumentata che riattiva il legame tra uomo e natura. Tre prospettive diverse che illuminano la moltitudine digitale e le sue contraddizioni.

Quali considerazioni sono emerse dalla valutazione con la giuria delle opere ricevute per la open call?

Abbiamo registrato una forte presenza di opere sulla memoria e sulla stratificazione delle immagini, spesso intrecciando archivi familiari, documenti storici e materiali generati con AI. La geografia artistica si è ampliata: accanto a paesi già attenti come Belgio e Brasile, emergono nuove scene dall’Asia e dall’Africa, segno di un linguaggio ormai globale.

La Cina si è distinta per la qualità dei lavori e per l’uso di media diversi, come i videogame, per analizzare e rielaborare il reale. Un esempio è A Camera and an Engine di Yuting Chen, che segue la vita sospesa di una giovane live streamer tra digitale e fisico, alternando glitch e bug a metafore di precarietà e ansia sociale. L’opera riflette la fragilità dell’identità in una società ipercompetitiva, dove l’immersione digitale amplifica e al tempo stesso frattura l’esperienza vissuta.

Tutto questo conferma come la videoarte, pur nella sua specificità, sia oggi una piattaforma di dialogo interculturale e uno strumento prezioso per leggere le complessità del presente.

Quest’anno prologo al Festival sarà la collettiva “Anatomie Digitali”. Potete raccontarci di questo progetto e delle 5 aree tematiche?

Anatomie Digitali è il prologo con cui celebriamo i dieci anni di Ibrida Festival. Non è una semplice retrospettiva, ma un’indagine poetica e curatoriale sul corpo audiovisivo e sulle sue metamorfosi nell’ultimo decennio. Seguendo l’etimologia di “anatomia” abbiamo aperto il nostro archivio come farebbe un anatomista: per guardare dentro, scomporre, dissezionare. È anche uno sguardo critico, vicino a quello foucaultiano, che osserva come il potere e il sapere si inscrivano sul corpo.

Il percorso attraversa oltre quindici paesi, intrecciando linguaggi ed estetiche globali senza perdere il legame con il territorio, e si articola in cinque aree tematiche, come organi vitali di un corpo in divenire:

  • Genesi, che omaggia le origini della videoarte e le tensioni tra corpo e tecnologia, inaugurata da Self ( ) di Gary Hill (2016), anno di nascita del festival, opera che dialoga emblematicamente con il nostro percorso;
  • Corpi Elettronici, dove il corpo diventa interfaccia sensibile, identità fluida e dispositivo performativo;
  • Anatomia del Segno, dedicata a sperimentazioni visive e animazioni come materia simbolica;
  • Ibrida Prize, che riunisce le opere vincitrici capaci di coniugare ricerca estetica e urgenza espressiva;
  • Segnali, in cui glitch, intelligenza artificiale e nuove forme visive trasformano l’errore e il codice digitale in materia poetica.

Anatomie Digitali si configura così come una mappa fluida e multicentrica delle estetiche contemporanee, un atto d’amore verso la ricerca e l’ibridazione, ma anche una riflessione critica sulla condizione phygital in cui viviamo, sospesi tra biologico e artificiale, tra presenza e traduzione algoritmica.

Anche quest’anno ci sono novità importanti sul fronte dei riconoscimenti e delle residenze…

Quest’anno inauguriamo per la prima volta una residenza artistica interamente ideata e voluta da Ibrida: un passo che sognavamo da tempo e che segna un’evoluzione importante nel nostro rapporto con il territorio.

Per noi, residenze e riconoscimenti non sono solo premi, ma occasioni per creare legami e lasciare tracce concrete. Lo scorso anno, ad esempio, il vincitore del Premio Fabrica ha visitato Forlì durante il festival, realizzando riprese che entreranno nel suo prossimo lavoro.

Quest’anno facciamo un ulteriore salto in avanti grazie alla collaborazione con Atrium, associazione europea con sede a Forlì. L’artista selezionato da Ibrida vivrà la città e realizzerà un’opera di videoarte dedicata alle sue architetture dissonanti. L’opera sarà presentata in anteprima alla prossima edizione del festival e resterà nella collezione di Atrium, diventando una memoria visiva condivisa.

Considerazioni finali e augurio per il futuro.

Venendo a Forlì, il pubblico troverà non solo un festival, ma un’esperienza collettiva. Ci piacerebbe che Ibrida fosse percepito come un luogo dove l’arte non si limita a essere vista, ma vissuta e condivisa.

Dopo dieci anni ci guardiamo indietro con stupore: non avremmo mai immaginato di arrivare fin qui. Abbiamo attraversato momenti difficili e gioie inattese, e ogni edizione ha lasciato tracce profonde in chi vi ha preso parte. Il nostro augurio è che questa moltitudine continui a crescere, intrecciando esperienze locali e traiettorie internazionali, come un mosaico in continua espansione capace di restituire il senso di un tempo che cambia e, insieme, di una comunità che evolve e si trasforma.

IBRIDA Festival 2025. Moltitudini, a cura di Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, Fabrica delle Candele, Forlì, 25-28.09.2025. Potete consultare qui il sito per il programma aggiornato degli eventi. 
Anatomie Digitali, a cura di Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, Fondazione Dino Zoli, 01.09.09.10.2025
Artisti in mostra: Gianluca Abbate, Alessandro Amaducci, Karin Andersen, Apotropia, Elena Bellantoni, Filippo Berta, Sara Bonaventura, Robert Cahen, Matteo Campulla, Rita Casdia, Carlos Casas, Georgios Cherouvim, Citron/Lunardi, Zlatko Ćosić, Martín Córdoba, Brecht De Cock, Iginio De Luca, Silvia De Gennaro, Sandrine Deumier, Michele Di Pirro, Elisabetta Di Sopra, Ilaria Di Carlo, Felix Dierich, Francesca Fini, Laura Focarazzo, Regina José Galindo, Daniele Grosso, Marcia Beatriz Granero, Gary Hill, Igor Imhoff, Salvatore Insana, Jacopo Jenna, Yoshihisa Kitamura, Fenia Kotsopoulou, Francesca Lolli, Marcantonio Lunardi, Eleonora Manca, Antonello Matarazzo, Sofia Melikova, Albert Merino, Ethann Néon, Donato Piccolo, Luis Carlos Rodriguez, Miguel Rozas, Hiroya Sakurai, Ursula San Cristobal, Guli Silberstein, Valentin Sismann, Lino Strangis, Rino Stefano Tagliafierro, Cosimo Terlizzi, Devis Venturelli, Virgilio Villoresi, Debora Vrizzi, Hernando Urrutia, Shon Kim.

Immagini: (cover 1) Albert Merino, «Le Monde Sublunaire», 2022, frame da video (2) Debora Vrizzi, «Family Portrait», 2012, frame da video (3) Ibrida Staff 2025, © Vertov Project, photo by Andrea Bardi  (4-7) GARY HILL, !SELF series», Courtesy dell’artista e Galleria Lia Rumma Milano- Napoli (5) Yuting Chen, «A Camera and an Engine», 2024 (6) Georgios Cherouvim, «Geophone», 2016, frame da video (7) Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, © Vertov Project, photo by Andrea Bardi

 

 

 

 

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FRAME > Dalunsch

FRAME cattura una immagine di Dalunsch, performance di Victorine Müller realizzata presso Kunst- und Kongresszentrum Thun nel 2019, esplorazione di leggerezza e permeabilità, parte di un processo di trasformazione.

Victorine Müller, Dalunsch, 2029, performance, Kunst- und Kongresszentrum Thun, 2019, immagine via

 

 

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VIDEO POST > Buoyant Choreographies

VIDEO POST rilancia Buoyant Choreographies di Dennis Hong, Yusuke Tanaka. Palloncini robotici si muovono liberamente nello spazio condizionati anche dall’interazione dei visitatori attraverso tatto, gamepad o flussi d’aria direzionati.

Dennis Hong, Yusuke Tanaka, Buoyant Choreographies: Harmonies of Light, Sound, and Human Connection, 2025. Il progetto è stato presentato per la prima volta alla Conferenza internazionale IEEE 2025 sulla robotica e l’automazione (19-23 maggio, Atlanta, USA)

 

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PneumOS, per respiro generativo

Oriana Persico, artista e scienziata cyber-ecologista, porta all’Expo 2025 di Osaka pneumOS, un’opera interattiva che unisce arte, scienza e tecnologia per trasformare i dati sulla qualità dell’aria in un’esperienza sensoriale e poetica. A metà tra polmone e strumento musicale, l’installazione respira con la città e con il Padiglione Italia, coinvolgendo i visitatori in una nuova consapevolezza del bene comune più essenziale: l’aria. Composto da una sacca respiratoria e cinque membrane sonore, elabora in tempo reale le rilevazioni di tre centraline di Ravenna, traducendole in una “Grammatica del Respiro” che varia dal respiro calmo e armonico dell’aria pulita all’ansimare acuto dell’inquinamento, arricchita a Osaka da un anello di LED che scrive nell’aria un linguaggio luminoso. Collocata nella sezione “IO” del Padiglione Italia, progettato da MCA – Mario Cucinella Architects, l’opera dialoga con capolavori come l’Atlante Farnese, Leonardo, Caravaggio e Tintoretto, incarnando il tema “Art Regenerates Life” e coinvolgendo i visitatori in un’esperienza co-sensibile che li trasforma in custodi del respiro urbano.

Questa è la terza opera datapoietica, dopo Obiettivo (2019), esposto nella Collezione Farnesina, e U-Datinos (2021), presentato presso l’Ecomuseo Urbano Marememoria Viva a cura del Centro di Ricerca HER – She Loves Data, e rappresenta la prima realizzata dopo la scomparsa di Salvatore Iaconesi, con cui Oriana Persico ha fondato il duo artistico AOS – Art is Open Source. L’opera recupera, rinnova e rigenera l’intero pensiero di Iaconesi sulla datapoiesi, trasformando i dati in materia sensibile e linguaggi condivisi.

pneumOS rappresenta un gesto radicale, un organo cibernetico respira con la città, trasformando dati invisibili in esperienza co-sensibile. Non è una semplice installazione tecnologica, ma una creatura vivente di luce, suono e movimento, capace di far emergere una grammatica del respiro come dato aperto dove la scienza incontra la poesia.  pneumOS alimenta, registra e traduce il battito invisibile dell’epoca contemporanea, l’aria che respiriamo, fragile e condivisa dove la pratica e la tattica coabitano nutrendo un’eredità personale e collettiva. Visivamente, pneumOS sfida ogni categoria, è esotico senza essere esoterico, festoso come una celebrazione che accoglie il rituale del respiro del mondo. Le sue forme ricordano foreste, membrane, funghi e meduse fuse in un ecosistema alieno, un paesaggio che potrebbe appartenere tanto a un futuro ipertecnologico quanto a un mito primordiale. Il respiro non è solo metafora, ma meccanismo concreto attraverso cui l’opera stabilisce una relazione dinamica con l’ambiente e gli osservatori, creando un ciclo di influenze reciproche che ricorda i processi di coevoluzione tra specie biologiche.

La sua fisicità – a metà tra un polmone e uno strumento musicale – tradisce-traduce la sua vocazione, essere una macchina empatica, un organismo che non misura soltanto, ma sente e con-sente. I dati sulla qualità dell’aria non sono qui cifre fredde, ma diventano ritmo, vibrazione, colore e frequenza sonora. L’aria pulita “suona” con toni limpidi, quella inquinata geme con bassi cupi. pneumOS appartiene a una nuova generazione di “organi senza corpo”,  non più  un cyborg nel senso tradizionale, perché non fonde carne e metallo, piuttosto un infoborg (termine prestato da Luciano Floridi), un agente “data-zoetico” che contiene al suo interno la vita dei dati, i respiri dei viventi, nel loro farsi contemporaneamente poiesis e áisthesis, incrocio sensibile del sentire comune. pneumOS è entità che vive e si riproduce nel sistema epigenetico della cultura. Come nella biologia l’epigenetica trasmette informazioni senza mutare il DNA, così pneumOS dissemina conoscenza e pratica senza vincoli di hardware unico, ma di codice aperto. pneumOS è pensato per essere replicato, modificato, trapiantato in altri contesti urbani, ogni città può accoglierlo e dargli un respiro unico e irripetibile. L’“anatomia di questo organo alieno è un apparato respiratorio robotico che simula un polmone umano, membrane fonatorie che traducono i dati in suono, un anello di LED che scrive nell’aria un linguaggio luminoso.

Ma la vera innovazione sta nell’includere, nella sua tassonomia, il “ruolo nell’ecosistema”: l’osservatore diventa parte attiva, sviluppa senso-abilità (sensable) assumendosi responsabilità verso ciò che respira insieme a lui. Non si è più spettatori, ma custodi respons-abili e abilitati alla responsabilità. Dentro pneumOS c’è la memoria di Salvatore Iaconesi, il suo pensiero che si trasforma in battito continuo, un codice che respira pneumatiche vibrazioni, conservando e riabilitando dentro le due lettere grandi OS l’inizio verso una mentalità aperta (open source) che registra anche il cuore universale e autentico di Oriana-Salvatore.  pneumOS consegna nel suo grembo materno e generativo una  “scuola di conoscenza”, smontando, hackerando e ricostruendo un laboratorio vivente affinché diventi linguaggio comune, in un’epoca di crisi del respiro – inquinamento, crisi climatica, pandemie.  pneumOS non è solo una diagnosi, ma una terapia. Se l’aria è bene comune, allora pneumOS aziona e sviluppa un’intelligenza collettiva-connettiva-generativa capace di trasformare la qualità dell’ambiente in pratica di cura reciproca.  Il suo respiro è fisico e metaforico, pulsa con la città, custodisce memorie e genera presente che trasuda la perfomance di un futuro che ha nel suo nervo il participio del presente del r-esistere. È un respiro nuovo per un mondo-mondi che deve imparare a respirare diversamente – e farlo insieme (co-respirando).

preghiera
nascosta
espira
umbratile
mondi
Organici
Spirano

immagini (tutte): (cover 1) Oriana Persico,«pneumOS», Expo 2025

 

 

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Dialogues across the Seas 2018-2025

L’acqua e la vita sono intimamente connesse sulla Terra. I mari e gli oceani sono stati elementi di divisione e separazione geografica. Allo stesso tempo, hanno collegato culturalmente e storicamente persone e culture. Oggi, le tecnologie di rete collegano culture e persone, ma per secoli le rotte marittime e le imbarcazioni hanno rappresentato la rete di collegamento a più lungo raggio.
Dal 2018, il progetto “Dialogues across the Seas” ha esplorato i cambiamenti radicasubiti dai nostri mari molto diversi in diversi angoli del pianeta e come essi manifestino molte somiglianze inquietanti che finiscono per collegarci tutti. Per mappare queste connessioni, abbiamo utilizzato una serie di interventi di ricerca tangibili (installazioni artistiche, conferenze e pubblicazioni) all’incrocio tra arte e scienza. Il denominatore comune di questi interventi è l’acqua, l’oceano e il mare intesi in senso lato, e le popolazioni di esseri umani e non umani collegate attraverso la loro fluidità e che vivono in loro prossimità.
Il nostro prossimo intervento sarà una serie di pubblicazioni tematiche cartacee/digitali. Il nostro obiettivo è quello di mettere in discussione le prospettive monolitiche/monotematiche/omogenee sul mare, sull’oceano e sull’acqua.
Abbiamo bisogno del vostro aiuto! Vi preghiamo di inviarci (max 250 parole) proposte di brevi articoli, letteratura e narrativa, e manufatti entro il 1° ottobre 2025.
Inviate le proposte e le richieste di informazioni a Roberta Buiani: rbuiani@gmail.com
Argomenti suggeriti (non limitati): traversate marittime, spostamenti e migrazioni; mari nord-sud; il mare/l’acqua come metafora; i molti modi in cui culture diverse risuonano con/percepiscono il mare/l’oceano; la vita non umana sott’acqua; le ecologie del mare/dell’acqua; le tecnologie subacquee e l’estrattivismo; la decolonizzazione del mare; l’abisso e lo spazio; il cambiamento climatico e l’acqua/l’oceano.

More at: https://artscisalon.com/dialogues/

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Lunario per sonnambuli

Lunario per sonnambuli è un progetto editoriale pensato da Zaelia Bishop, con il testo critico e la cura di Nicoletta Provenzano per la collana Traffici d’artista, curata da Carmelo Cipriani, anche autore della postfazione, per le edizioni Esperidi. La collana, inaugurata nel 2013, racchiude pagine, in cui gli artisti e la loro arte incontrano la carta stampata. 

Il libro d’artista, l’undicesimo numero, a seguito dei nove libri precedenti caratterizzati dalla copertina bianca con dettagli e testi in nero, reca la copertina dominata dal colore nero. È edito nella tiratura limitata di cento copie numerate e personalizzate con una serigrafia dell’ardesia dall’artista. Il progetto grafico è di Zaelia Bishop e di Matilda Prisco.

Il Lunario per sonnambuli di Zaelia Bishop è discesa tra gli anfratti più aguzzi del ricordo, sconfinata dispersione tra le terre percorribili del vero e digressioni oniriche in isole lontane della memoria ora ritratta fedelmente nel suo profilo, ora alterata da erti sensazioni memoriali. Non fortuitamente, le voci, in un dialogo continuo e sconnesso, sono due, proprio come la voce primaria dell’attore e il suo coro che, tuttavia, non segue l’intenzionalità del primo soggetto ma, sovente, se ne distacca in un linguaggio ricco di allusioni e di riferimenti di un trascorso che, per essere esaminato, necessita non solo di un’ampia volontà d’indagine ma anche di una forte conoscenza culturale in grado di discernere simboli e termini condensati in una ricchezza immaginativa insolita e preziosa, originante una sincera “συμπάθεια” (sympatheia), un portato emozionale che trascende la realtà e coinvolge, in un unico respiro, i lettori in un sentimento di partecipazione al sentire, sia positivo sia negativo. In effetti, la forma breve dei versi e l’impostazione ricercata sembrano riportare in auge i versi degli epigrammi greci nel cogliere aspetti significativi tanto della realtà quanto del sogno, come mordaci iscrizioni o componimenti con lo scopo poetico di ripercorrere il ricordo di quel che è avvenuto. Brevi incisioni di colore poetico sono senz’altro i versi dell’artista che, a partire da un’immagine visiva e sonora della caduta e successiva frantumazione dell’ardesia in frammenti vivi e taglienti, compie un’esplorazione interiore tra le radici del presente e i germogli del ritroso. Ci appare spontanea così la prima immagine che apre il prezioso volumetto, il Pyramidion, simbolo di un dialogo tra materia e spirito e incipit di un percorso di risveglio e scoperta tra il sogno e la realtà, tra il vissuto e il sognato, tra il posseduto e il desiderato. Come l’ardesia, anche il granito può recare iscrizioni volubili al tempo. Una scrittura fragile e variabile che raccoglie una gerarchia temporale, dall’infanzia all’età adulta, tra cielo e terra, una rinascita continuativa tra il mondo terreno e quello celeste, un ponte tra il piano fisico e quello invisibile. 

Pyramidion
estrema
unità
integra

Dunque, una dimensione che si disperde e, unitamente, protegge nel suo stesso non-luogo. 

ovunque
nascondimi

Come preghiera propiziatoria e rivolta a una madre fedele del suo amore, avviene la richiesta di non essere palesato alla luce di Ra ma di essere sostenuto dall’Occhio di Horus.

La capanna di felci

In questo secondo atto, inizia la duplicità della voce. Le felci hanno una consistenza resistente che imprime, al rifugio, tutta la saldezza richiamata dal Pyramidion, in un ambiente naturale e selvaggio, sicché familiare. Seppur temporaneo punto di osservazione, è stabile dimora in cui l’io della narrazione afferma:

Qui ricordo il letto di un fiume,

oppure un sentiero di rami e pietre

Mentre la voce corale spinge a una seconda rimembranza non antitetica:

Qui ricordi quanto fosse rapido il vento sopra i tetti

La curatrice del volume, Nicoletta Provenzano, assurge a un’oniromanzia della mente che richiama luoghi intimi e ancestrali del passato, secondo una tettonica di reminiscenze. Una lettura critica certamente da perseguire nel trasporto del vissuto dell’artista. Le felci introducono a un altro elemento, nella loro valenza di portafortuna per molte culture, da cui sono associate a rituali propiziatori per la protezione contro il male e per l’augurio di prosperità, nonché al forte nesso con la Natura, con il suo vigore vitale e il suo senso di purificazione. 

L’incipit del libro appare quindi come un rito propiziatorio e di purificazione di ingresso a un mondo tanto intimo quanto scosceso, in cui il vento si fa veloce sopra lo stesso riparo e nella culla della vita stessa. E il tetto diviene porta, da cui poter osservare dall’alto verso il basso e nella direzione opposta e da cui poter spiare i nidi dei colombi. La fragilità diviene forza e punto di osservazione del fantastico. E il coro interviene nuovamente come madre, sia per la cartolina inviata e strappata, sia per la mela di cui racconta la voce in prima persona, in quel pianeta delle isole gigantesche, un luogo così apparso all’io narrante.

E, ancora, nella leggerezza e nell’eleganza che assimilano un ideogramma orientale a un fiocco di neve, scorre il ricordo di un gesto privato e profondissimo, l’unione delle stelle in oracoli oppure in arcipelaghi. Poi emerge il distacco del coro che ammette l’errore della lontananza di un’estate, durante cui le strade con l’io narrante si dividono. Tuttavia, le reminiscenze continuano nella figura di un albero, ove insieme l’io e il coro andavano a rubare le ciliegie, lo stesso da cui l’io era caduto. Una caduta forse fisica e, insieme, simbolica come le ciliegie.

La ciliegia è sangue e cuore, è un frutto che non tradisce l’arrivo del lettore in questo determinato punto del libretto ma, contrariamente, lo dota di tutta la consapevolezza del momento. Se la lettura evolve in una fase di climax per l’intensità, è necessario ricordare il monito al mondo orientale, secondo cui i Sakura sono equivalenti alla rinascita, alla vanitas e alla bellezza effimera. Ordunque, possiamo intravedere il fiore dell’invisibile, il risorgimento del πάντα ε, del “tutto scorre”.

L’autore mi perdonerà il riferimento a Il giardino dei ciliegi, ultimo lavoro teatrale di Čechov, il cui testo teatrale della malinconia colpisce per l’immediatezza delle emozioni che fa scaturire in chi legge. Soprattutto, i ciliegi si connotano per il loro significato simbolico nei versi che ricordano, come in maggio, sono fioriti, ma nel giardino fa ancora freddo. L’arrivo di questi versi esprime quella parte di sé che il tempo tende ad affievolire, pur se contro le nostre chimere. È metafora della resa nostalgica a un mondo di desideri ed illusioni, arpionato dal tempo che passa e da una rinnovata realtà. Si dischiudono i ricordi del gioco come il fingere di avere occhi di rondine e denti di puma. 

Queste sono le rovine dove si impigliano 

le mute dei serpenti

Dietro quelle cortecce covano 

larve di falena

Il cambiamento di pelle è anche mutamento individuale. Sotto la corteccia, quello strato liminale, si nascondono i germogli della rinascenza. La fine di un’estate e il richiamo della civetta sono conseguenze inconsce e autentiche, nel loro essere simboli di saggezza e mistero. Si vede oltre l’oscurità, oltre al buio congelato nella stanza e caduto in pezzi, proprio come la roccia metamorfica caduta in terra e scompostasi in più parti che ora trasmutano e si collocano al centro del “racconto” in versi. 

Dal fondo di questo pozzo si risale cambiati (…)

Io sono per te le ore di veglia e l’ascia bipenne

Il coro lega l’io alla riflessione, a un tempo in cui allontanarsi dal caos della vita quotidiana per l’introspezione, alla ricerca spirituale, in cui si assottiglia il velo tra il mondo materiale-terreno e quello spirituale e all’ascia bipenne che, per alcune culture antiche, è simbolo di potere, di regalità, di forza divina e della dualità della vita e della morte. Spesso è associata alle fasi della luna. Sorge, verso la conclusione, un’allusione al dialogo. Ci appare chiaro ora il Lunario che, da un volto femminile e materno, esprime tutta la volubilità della vita.

Cos’altro c’è stato?

Più niente,

la polvere della polvere,

nebbia di calce,

pulviscolo d’ossa

In questa grotta dove finisce il fiume

restano le carcasse di ogni cosa che è stata

Questo è un letto, e adesso dormiamo.

Il volume si chiude nella placida calma del letto di un fiume nella nebbia di calce. Una parentesi di alta poesia che stringe, fortissime, la vita di allora e la vita presente, metamorfizzando quei frammenti a nuove unità di senso. 

Lunario per sonnambuli, 2025, libro d’artista ideato da Zaelia Bishop, progetto a cura di Nicoletta Provenzano per la serie Traffici d’artista, curated by Carmelo Cipriani, Edizioni Esperidi 2025

immagini: (cover 1) Zaelia Bishop, «Lunario per sonnambuli», Edizioni Esperidi, Collana Traffici d’artista (interno), foto Ludovica Annes (2) Zaelia Bishop e Nicoletta Provenzano alla presentazione di Lunario per sonnambuli, Curva Pura, Roma, Courtesy Curva Pura, foto Ludovica Annes (3) Zaelia Bishop,«Lunario per sonnambuli», Edizioni Esperidi, Collana Traffici d’artista (interno), foto Ludovica Annes

 

 

 

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FRAME > Siren

FRAME cattura Siren di Reuben Wu, convergenza inaspettata tra intento artistico e fenomeni naturali: una rara aurora estiva durante lo sciame meteorico delle Perseidi sul lago Michigan.

Reuben Wu, Siren, 2024, immagine via

 

 

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VIDEO POST > Composition for Objective Sound No.7

VIDEO POST rilancia Composition for Objective Sound No. 7, un’opera che crea un “ecosistema fatto di suoni” attraverso “oggetti sonori” che interagiscono con il pubblico.

Kohui, Composition for Objective Sound No.7, 2022
 Real-time, installazione, audio-visiva e interattiva, b&w, Mirror, dimensioni variabili, commissionata da ACC

 

 

 

 

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Serpentine Pavillon 2025

Celebrata per il suo lavoro nella creazione di un linguaggio architettonico contemporaneo e profondamente legato a un luogo, un clima, un contesto, una cultura e una storia specifici, Marina Tabassum porta la sua visione distintiva al Serpentine Pavilion 2025. Il suo progetto evoca un dialogo significativo tra la natura permanente e quella effimera della commissione.

Lungo l’asse nord-sud del parco, A Capsule in Time presenta una forma allungata simile a una capsula con un cortile centrale allineato al campanile della Serpentine South. Ispirata alle passeggiate estive nei parchi e alle tettoie ad arco dei giardini che filtrano la luce soffusa del giorno attraverso il fogliame verde, la struttura è composta da quattro forme scultoree in legno con una facciata traslucida che diffonde e filtra la luce quando entra nello spazio. Parte integrante del progetto di Tabassum è un elemento cinetico che consente a una delle capsule di muoversi, collegarsi e trasformare il padiglione in un nuovo spazio.

Enfatizzando le possibilità sensoriali e spirituali dell’architettura attraverso la scala e il gioco di luci e ombre, il progetto di Tabassum si ispira alla storia e alla tradizione architettonica delle tende Shamiyana o dei tendoni dell’Asia meridionale. Simili nella loro funzione cinetica, queste strutture sono realizzate in tessuto sostenuto da pali di bambù e sono comunemente utilizzate per riunioni e celebrazioni all’aperto. L’apertura del padiglione di Tabassum accoglie le possibilità di unire i visitatori attraverso conversazioni, connessioni, programmi dal vivo e incontri pubblici.

(dal comunicato stampa)

Serpentine Pavilion 2025 di Marina Tabassum
La selezione per il Serpentine Pavilion 2025 è stata effettuata da Bettina Korek, amministratore delegato, e Hans Ulrich Obrist, direttore artistico, insieme a Julie Burnell, direttore dei lavori e dei progetti speciali, Chris Bayley, curatore delle mostre, Natalia Grabowska, curatrice generale, architettura e progetti site-specific, e Alexa Chow, assistente curatrice delle mostre, insieme ai consulenti Sou Fujimoto e David Glover.
Marina Tabassum (nata nel 1969 a Dhaka, Bangladesh) è un’acclamata architetta e docente che ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per il suo contributo nel campo dell’architettura. Si è laureata nel 1995 presso la Bangladesh University of Engineering and Technology. Prima di fondare Marina Tabassum Architects (MTA) nel 2005, Tabassum è stata socia fondatrice dello studio URBANA con sede a Dhaka tra il 1995 e il 2005 insieme a Kashef Chowdhury. Nel 1997, URBANA ha vinto il concorso nazionale per la progettazione del Monumento all’Indipendenza del Bangladesh e del Museo dell’Indipendenza sotto l’egida del Dipartimento dei Lavori Pubblici e del Ministero degli Affari della Guerra di Liberazione. Lo studio di Tabassum mantiene volutamente dimensioni contenute, dando priorità al clima, al contesto, alla cultura e alla storia, e intraprendendo un numero limitato di progetti all’anno.

 

 

 

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Ibrida 2025. Moltitudine

Videoarte, performance art, installazioni, dialoghi, workshop e musica. E una grande mostra internazionale. Ospite speciale: l’americano Gary Hill, Leone d’oro alla Biennale di Venezia e pioniere della videoarte.

Portare in Romagna le forme più radicali e autorevoli della ricerca artistica multidisciplinare: accade a Forlì, dal 25 al 28 settembre (con opening della mostra-prologo già il 1 settembre) grazie a Ibrida Festival Internazionale delle Arti Intermediali, la cui decima edizione ha per titolo -e dichiarazione d’intenti e di poetica- Moltitudine.

Tra i nomi in programma spicca quello dell’artista americano Gary Hill, Leone d’oro alla Biennale di Venezia e pioniere della videoarte mondiale, uno dei grandi Maestri della ricerca visuale che a Forlì sarà presente con una masterclass, un’installazione e un incontro.

«Il titolo Moltitudine è un invito ad abbracciare la pluralità come valore e come forza creativa» spiegano i Direttori Artistici Francesca Leoni e Davide Mastrangelo di Vertov Project «Viviamo in un’epoca in cui identità, linguaggi e forme del visivo si moltiplicano, si sovrappongono e si stratificano. Moltitudine non è solo il tema, ma la forma stessa del Festival: un organismo vivo, composito, dove convivono l’intimità del gesto artistico e la potenza dell’esperienza condivisa».

Prologo lunedì 1 settembre con l’inaugurazione, negli spazi della Fondazione Dino Zoli di Forlì, della mostra collettiva intermediale Anatomie Digitali. L’esposizione, visitabile gratuitamente fino al 12 ottobre, presenta creazioni di Gary Hill, Robert Cahen, Elena Bellantoni, Regina José Galindo, Filippo Berta, Donato Piccolo, Sara Bonaventura e di molti altri protagonisti internazionali della videoarte, dell’animazione sperimentale e delle installazioni interattive.

Dal 25 al 28 settembre il Festival entrerà nel vivo alla Fabbrica delle Candele di Forlì con un fitto programma di workshop, performance, videoproiezioni, installazioni interattive, musica e live cinema.

Cinque premi, nazionali e internazionali (uno dei quali in collaborazione con la prestigiosa Fabrica di Treviso) verranno assegnati da una giuria composta da esperti di rilievo nel panorama della critica e della curatela contemporanea: Silvia Grandi (Università di Bologna / Videoart Yearbook), Lorenzo Balbi (Direttore MAMbo e Presidente AMACI) e Laura Leuzzi (Storica dell’arte e curatrice specializzata in media art).


(dal comunicato stampa)

Ibrida Festival 2025. Moltitudine, Forlì, 25 – 28.09.2025
Il Festival è possibile grazie al contributo della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Forlì e della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì.

Immagini: (cover 1) Debora Vrizzi, « Family Portrait», 2012 (2) Gary Hill, ritratto (3) Regina José Galindo. «Tierra», 2013 (3) Rita Casdia, «Stangliro», 2013

 

 

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Open call per residenza. ALTERLIFE 25

Rupert (Vilnius) e Sonic Acts (Amsterdam) offrono un’ opportunità congiunta di produzione e ricerca tra Vilnius e Amsterdam con il bando per la seconda edizione di ALTERLIFE. La residenza invita artisti e collettivi interdisciplinari a sviluppare opere d’arte audaci e orientate al processo in risposta all’emergenza climatica in escalation e alle forze culturali, politiche e storiche che plasmano il nostro futuro collettivo.

La residenza di tre mesi è interamente finanziata e suddivisa in due periodi: aprile-maggio 2026 presso Rupert a Vilnius e novembre 2026 presso Sonic Acts ad Amsterdam. Gli artisti presenteranno le loro ricerche durante ciascuna residenza e il lavoro finale sarà esposto, possibilmente in forma iterativa, presso Rupert (2026/2027) e alla Biennale Sonic Acts (2028).

Il titolo del programma si ispira al concetto di “alterlife” della studiosa femminista M Murphy, che riconosce come la vita, umana e non umana, sia stata alterata chimicamente e strutturalmente da secoli di oppressione coloniale e capitalista. Ispirato alla fabulazione critica di Saidiya Hartman, un metodo per recuperare storie perdute attraverso la narrazione sperimentale, ALTERLIFE incoraggia pratiche critiche, speculative e basate sulla ricerca che immaginano nuovi modi di essere, relazionarsi e creare.

Cosa offre:

–Una residenza combinata di tre mesi, con soggiorno interamente finanziato presso Rupert (aprile-maggio 2026) e Sonic Acts (novembre 2026), compreso alloggio e spazio di lavoro;

– 3.800 euro in totale per la residenza combinata e fino a 400 euro di sostegno per le spese di viaggio per ciascuna sede;

– Il finanziamento include un totale di 7.000 euro per entrambe le presentazioni (2.000 per Rupert a Vilnius e 5.000 per Sonic Acts ad Amsterdam), insieme a guida e supporto per lo sviluppo e la produzione di una nuova opera d’arte;

–Il progetto sarà presentato sui siti web o nelle pubblicazioni di Sonic Acts e Rupert;

–Sessioni di feedback, assistenza per le domande di finanziamento e assistenza alla produzione;

–Supporto da parte di artisti e curatori locali in ciascuna città;

–Presentazione della ricerca nell’ambito della programmazione pubblica a Vilnius e Amsterdam (2026); Presentazione del lavoro finale a Rupert (2026/2027) e alla Biennale Sonic Acts (2028).

Cosa ci aspettiamo

Questa residenza sostiene lo sviluppo di una nuova opera d’arte per un periodo di tre mesi, suddiviso tra Vilnius e Amsterdam, e culmina nella produzione di una nuova commissione, con iterazioni che saranno presentate al Rupert e alla Biennale Sonic Acts nel 2028. Durante la residenza, gli artisti sono tenuti a condividere le loro ricerche e i loro lavori in corso attraverso una presentazione pubblica in ciascuna sede. Ciò potrà avvenire sotto forma di conferenza, performance, sound walk o field walk, proiezione o altro formato adatto alla pratica dell’artista. Siamo particolarmente interessati a lavori che incorporano video, suono, performance o altre forme ibride. Nella loro candidatura, gli artisti dovranno dimostrare una visione chiara di come la loro pratica si evolverà nelle due sedi e culminerà in un progetto finale.

Requisiti e selezione

La residenza è aperta a tutti gli artisti residenti nell’Unione Europea. Sono particolarmente incoraggiati artisti individuali o duo che adottano un approccio multidisciplinare, in particolare pratiche che incorporano suono e video.

Candidature

Gli artisti sono invitati a inviare un CV, un portfolio (fino a 5 lavori, massimo 10 pagine e 10 MB), una descrizione del progetto per la produzione di nuovi lavori (fino a 600 parole) e un budget di produzione indicativo per entrambe le presentazioni.

Alterlife: Research and Production Residency.Deadline: 17 agosto 2025, ore 23:59 CEST
ALTERLIFE fa parte di New Perspectives for Action, una collaborazione tra Rupert e Sonic Acts, ed è un progetto di Re-Imagine Europe, cofinanziato dall’Unione Europea. Maggiori informazioni su questo bando sono disponibili qui.

 

 

 

 

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Dentro al sogno. In dialogo con fuse* a Videocittà

Abbiamo incontrato Mattia Carretti, co-founder di fuse* (con Luca Camellini) e Matteo Salsi, che nella grande squadra di questo collettivo multidisciplinare è Designer e Creative Coder. Assieme abbiamo parlato di Onirica (), progetto avviato nel 2023 che nel giorno del nostro incontro (2 luglio 2025) andava in scena in una versione live sul palco di Videocittà, il festival romano ideato da Rutelli dedicato alla cultura digitale e da qualche anno ospitato nei suggestivi spazi di archeologia industriale del Gazometro di Roma.
In tutte le versioni di questa serie, Onirica () è entrata letteralmente nella dimensione del sogno attraverso l’impiego di algoritmi che restituiscono nelle forme più diverse dati relativi al sonno, in questo caso grazie alla collaborazione con due importanti dream banks: quella dell’Università di Bologna e quella della University of California Santa Cruz.
Dopo le versioni installative realizzate per INOTA Festival in Ungheria e la Fondazione Alberto Peruzzo a Padova, Onirica () è arrivata a Videocittà in una versione performativa live, in collaborazione con Diego Trotelli, coreografo del Centro Coreografico Nazionale Aterballetto.
Mattia Carretti e Matteo Salsi sono entrati nel merito di alcuni aspetti legati alla progettazione di Onirica () in tutte le sue diverse versioni, dal lavoro di selezione con i dati, alla restituzione di questi nelle diverse forme –  installativa e performativa – con l’intenzione di ricongiungere i dati alla dimensione intima e misteriosa del sogno, più di ogni altra cosa umana. Nel raccontare di alcune scelte cruciali, non in ultimo, sono entrati nel vivo della loro metodologia di progettazione in qualità di squadra multidisciplinare.

Elena Giulia Rossi: Vi chiedo subito di Onirica (), del progetto che avete ideato per Videocittà, ma anche di tutta la serie in progress nata per esplorare la dimensione del sogno e il suo incontro con le logiche algoritmiche.

Mattia Carretti ( co-founder di fuse*): Onirica () è un progetto nato dall’idea di portare assieme il mondo AI, attraverso tecniche di machine learning, con un’esperienza puramente umana, quale è quella del sogno. Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto effettivamente nel 2022 ma era frutto di una ricerca avviata molto prima, nel 2018, quando sperimentavamo con un sistema AI piuttosto rudimentale. Dopo, chiaramente, le possibilità espressive si sono evolute esponenzialmente con il progresso delle tecnologie.

Inizialmente l’esplorazione di alcune tecniche di analisi dati e della loro traduzione in immagini faceva parte di un processo di ricerca parallelo a questo. Non eravamo ancora a conoscenza dell’esistenza di queste due banche dati con cui poi abbiamo lavorato, quella dell’Università di Bologna e quella della University of California Santa Cruz. Quando le abbiamo scoperte, abbiamo pensato che questo materiale sui sogni organizzato in un dataset si sarebbe prestato benissimo per portare assieme realtà onirica ed esistenza artificiale.

Abbiamo avviato la progettazione inizialmente con Matteo per la parte visiva e poi con un team più esteso, come di solito facciamo nel nostro lavoro di squadra, portando assieme competenze diverse. Sono venute fuori diverse idee e diverse possibilità. Con INOTA Festival in Ungheria prima, e con la Fondazione Alberto Peruzzo (Padova) poi, abbiamo avuto la grande opportunità di avere uno spazio dove sperimentare.

Avere uno spazio a disposizione significa poter scegliere cosa è più adatto sulla base del contesto e ci ha aiutato molto a progredire con la ricerca. La prima versione è stata realizzata in una forma installativa, sia per Fondazione Alberto Peruzzo sia per INOTA Festival.

In queste passate occasioni abbiamo utilizzato le tecnologie a disposizione, per noi in quel momento adatte alla narrazione che intendevamo raccontare. Le sequenze di immagini si trasformavano una nell’altra, creando così un senso di allucinazione e di flusso di coscienza molto simile all’esperienza del sogno.

Successivamente, anche grazie all’evoluzione tecnologica e alla possibilità di generare queste immagini in tempo reale, abbiamo pensato che potesse essere interessante fare qualcosa dal vivo, recuperando un’idea che avevamo formulato in prima battuta, ovvero quella di lavorare con un danzatore. Poi tutto è successo in una concatenazione di eventi e di opportunità. Abbiamo così incontrato Diego Tortelli, coreografo del Centro Coreografico Nazionale Aterballetto, con cui già da tempo volevamo collaborare.

Come vi siete relazionati con queste banche dati? In cosa e dove i loro criteri di archiviazione hanno incontrato i vostri?

Matteo Salsi: La primissima cosa che abbiamo fatto era noi stessi provare a capire che cos’era questo dataset. Parliamo di 28 mila e più sogni. Era impossibile leggerli tutti. Oggi la tecnologia ci dà l’opportunità di sintetizzare queste informazioni visivamente; possiamo distribuire questi sogni in uno spazio tridimensionale ordinandoli per significato ed è letteralmente quello che abbiamo fatto: una nuvola di punti dove i sogni erano raggruppati per cluster tematici. Era possibile capire quali erano i temi più ricorrenti all’interno del dataset con una cognizione di causa maggiore rispetto a quella che può fornire una navigazione casuale dei dati.

Abbiamo così estrapolato temi ricorrenti, attraverso parole che ricorrono più frequentemente di altre. Ci siamo chiesti come poter restituire l’idea di una cosa così grande. È a questo punto che si è presentato il lavoro curatoriale. Siamo andati noi a collegare i punti e a tracciare una linea di una narrazione che non abbraccia l’intero dataset, piuttosto la storia che eravamo interessati noi a raccontare.

Prima avete accennato alla vostra metodologia di lavoro. Possiamo tornare su questo punto? Quando sono venuta nel vostro studio, ormai qualche anno fa, sono stata investita da una enorme energia con la presenza di tanti professionisti di formazione diversa, tutti interessati ad ascoltarsi gli uni con gli altri. Potete soffermarvi un pochino su questo aspetto legato alla progettazione?

Il nostro modo di lavorare in squadra è totalmente sinergico. Per quanto ci siano persone che si occupano di singole parti del progetto, c’è una continua contaminazione tra di noi. Spesso studiamo un tema, avviamo collaborazioni anche con scienziati, investiamo nella ricerca, per poter poi tirare fuori quante più idee ed esperienze possibili.

Come accade per molti dei nostri progetti, Onirica () è in continua evoluzione, ha preso forme diverse, più fisiche pensate per gallerie e musei, altre performative come quella pensata per Videocittà, altre ancora le continueremo ad esplorare in futuro. Questa è una modalità ricorrente del nostro modo di lavo rare.

Mi piacerebbe, a questo punto, entrare nel merito delle dimensioni sonora e musicale. Che ruolo hanno giocato nell’orchestrazione complessiva del lavoro e attraverso le varie versioni?

Mattia: Nella prima versione di Onirica (), quella installativa, volevamo lasciare più spazio alle parole.

Lavorando con i ricercatori molto spesso ci veniva detto che connotare emotivamente un racconto di un sogno poteva in qualche modo spostarne il significato. Ovviamente non siamo stati completamente neutri; siamo artisti. Allo stesso tempo abbiamo voluto cercare un equilibrio con l’aspetto scientifico. Inoltre, in questa prima versione il lavoro sulle voci è stato molto interessante. Volevamo avere voci diverse per ogni sogno; ciascuna doveva rappresentare la persona che sognava, una voce di un bambino, di una donna, di un uomo, di un adulto, di un anziano.

Inizialmente avevamo valutato la possibilità di realizzare le voci con attori veri. Poi abbiamo capito che era praticamente impossibile ottenere questa varietà, oltre ai costi molto alti di questo tipo di processo.

Così abbiamo utilizzato sistemi di generazione di voce artificiale. In fase di lavorazione ci siamo confrontati con diverse questioni: le voci artificiali hanno anche loro allucinazioni. Su dieci prove, una era buona. Alcune voci cambiavano il timbro, iniziavano a urlare, prendevano direzioni inaspettate:. Alla fine però ci siamo resi conto che, per tutte quelle prove riuscite con successo, la resa era veramente molto realistica ed efficace, molto migliore di quanto non lo fosse stato con attori veri.

Nella versione performativa abbiamo reintegrato un’atmosfera musicale molto connotata che avevamo escluso per la prima. Quindi, alcune idee di base, narrative, che abbiamo escluso nella prima versione le abbiamo poi riprese nelle successive.

Quale è il ritmo che scandisce la narrazione di Onirica () nelle sue varie versioni?

Mattia: Un ciclo di sonno completo, che comprende diverse fasi (non-REM e REM), dura in genere 90 minuti. Quindi, 90 minuti di sonno rappresentano un ciclo quasi completo e in una notte di otto ore il sonno attraversa circa 5 cicli, la prima fase di ogni ciclo era un sogno profondo, l’ultima fase è sempre un sogno REM .

Noi sapevamo in che fase del sonno sono emersi i sogni poi registrati nel dataset dell’Università di Bologna. I ricercatori svegliavano i pazienti in momenti molto precisi della notte, quando notavano una certa attività cerebrale in corso, tramite EEG e altri elettrodi connessi ai volontari. Questi parametri avevano la funzione di evidenziare ai ricercatori in quale fase del sonno si trova il soggetto in un determinato momento. Al risveglio, i volontari spiegavano quello che stavano sognando in quel momento al momento del risveglio, che veniva poi trascritto verbatim dai ricercatori.

Nella versione installativa di Onirica (), abbiamo letteralmente tenuto questa scansione del tempo: l’opera è suddivisa in cinque cicli, proprio come in una notte di sonno, mantenendo i sogni del profondo e nella fase del sonno profondo e i sogni REM nella fase REM, ripetendo ciclicamente questo pattern. L’idea era quella di rappresentare un viaggio nel spazio onirico e il suo risveglio.

Anche la performance è divisa in cinque capitoli. Ognuno di questi momenti racconta alcune specifiche tipologie di soglie. Per esempio, il primo capitolo racconta di sogni dove si è soli, il secondo di situazioni dove si incontrano altre persone, familiari, amici, eccetera.

Il terzo capitolo si confronta con gli incubi, il quarto con incontri con persone che non ci sono più e il quinto di risvegli nel sonno. In ciascuno di questi capitoli la musica indirizza molto l’aspetto emotivo. Le voci, in questo caso, sono state realizzate in maniera diversa rispetto all’installazione: sono state registrate tutte dalla stessa persona, da Matteo Amerena, parte del nostro team. Anche questa volta la combinazione tra voce e musica non è stata semplice da gestire. Sono ritmi che si devono intrecciare con il tutto e soprattutto con la danza.

In Onirica (), centrale è la coreografia di Diego Tortelli con il danzatore Hélias Dorvault. Come entra il corpo nella narrazione e nel sogno?

Mattia Carretti: Sicuramente nella versione live, la coreografia e la presenza del corpo aumentano esponenzialmente il livello di complessità di tutto. Nella performance si è scelto di dare al danzatore libertà artistica totale di movimento e di espressione. Poi sono state fatte certamente delle scelte coreografiche pensate sulla base della storia che si stava raccontando.

La coreografia ha seguito la storia e non è stata vincolata in nessun modo alla versione installativa. Inizialmente ci siamo chiesti perché avremmo dovuto mettere un corpo sul palco, cioè che cosa vogliamo raccontare con questo elemento in più.

Ed è stato interessante, secondo me, lo studio che è stato fatto con Diego Tortelli. A lui abbiamo chiesto di ragionare su due elementi fondamentali in relazione al comportamento del corpo nel sonno. Da una parte, sulle mioclonie notturne, quei movimenti involontari come capita quando hai la sensazione di cadere e ti svegli di soprassalto. Si tratta di piccoli disturbi del sonno. Tutti noi ne soffriamo in modo più o meno grave. Dall’altra invece abbiamo considerato il corpo per come questo è percepito all’interno del sogno, con le sue molteplici possibilità di movimento altrimenti impossibili nella realtà.

Abbiamo quindi lavorato coreograficamente su queste due dimensioni; poi Héliasha messo del suo nell’interpretare queste direzioni.

Musica, suono, danza e corpo sono componenti vitali e importantissime di questo progetto. Lo è anche la parte visiva e quella di prompt design che ha contribuito alla generazione delle immagini. Potete raccontarci di questo aspetto? Cosa significa e quali sono state le sfide?

Matteo: Il Prompt Design è stata certamente una sfida. Lo strumento di per sé è molto limitato. Spesso ci siamo trovati ad interpretare a nostra volta il racconto del sogno. Quello che ricevevamo dai dataset era un report testuale; la grandissima sfida era di tradurlo in una dimensione visivo-sonora e molto spesso i modelli di generazione delle immagini non portano ai risultati visivi che ti aspetteresti, quindi devi trovare delle strategie per ingannarli.

Ricordo un prompt dove c’erano questi bambini a forma di uova sul ponte di una nave e poi si tuffavano nell’acqua in mezzo a dei pesci. Il prompt era una convoluzione di uova nel mare con delle braccia e i bambini vestiti da uovo per carnevale. Il modello non era stato allenato a riconoscere questo immaginario. Quindi, spesso e volentieri, è stato necessario trovare una strategia per portare il modello dove volevamo noi.

Abbiamo lavorato con un image to image piuttosto che un text to image puro. Siamo partiti da un’immagine di base per vederla come una sorta di immagine di Rorschach per poi chiedere al modello di interpretarla. Questa è stata un po’ la chiave di impiego del modello per tutta la performance.

Mattia: È stata una vera e propria sfida riuscire ad avvicinarci a qualcosa che sentivamo essere giusto per il progetto. Spesso e volentieri le immagini non riuscivano bene, erano molto stereotipate.

Ti rendi conto di quanto questi modelli soffrano di molti bias, bias che noi stessi, esseri umani occidentali portiamo con noi, con la nostra cultura e il nostro ideale. Ci rendevamo conto che queste immagini, a primo impatto molto belle, erano in realtà troppo perfette, tutte uguali, mancava l’anima, non ci affascinavano tanto quanto poi ci hanno affascinato quando abbiamo provato un po’ alla volta in tanti modi ad hackerare il sistema, a modificarlo, a creare una nostra pipeline, a lavorare per tirar fuori qualcosa di più originale. Abbiamo imparato molte cose e ci siamo accorti che poteva essere un ottimo strumento. Così abbiamo anche pensato che poteva essere giusto fare divulgazione e condivisione di conoscenza con persone che sono anche giustamente intimorite da questo tipo di progresso, conoscendone e valutandone rischi e opportunità. Questo è quello che abbiamo cercato di fare alla Fondazione Peruzzo. Oltre all’installazione, abbiamo cercato di raccontare quello che abbiamo imparato durante tutto il processo.

Come vi siete relazionati con gli spazi e il contesto di Videocittà?

Matteo: Siamo molto legati a questo luogo perché nel 2022 abbiamo realizzato l’installazione Luna Somnium all’interno del Gazometro. È stata la prima installazione ad essere stata ospitata all’interno di quello spazio. È stata un’esperienza per noi estremamente importante. Al di là del progetto in sé, abbiamo capito che impatto l’arte può avere sulla comunità. Restituire il luogo alla comunità attraverso un progetto artistico è stato molto importante, e per noi molto emozionante.

Quindi abbiamo un legame con questo spazio che è diventato anche personale. Avere la possibilità di tornarci con un altro progetto è molto emozionante. Per quanto riguarda Onirica (), ci siamo trovati di fronte ad una situazione molto diversa da quella per la quale il progetto era stato pensato, ovvero per un teatro o uno spazio chiuso con luce e suono controllati. Qui sappiamo che siamo in un contesto all’aperto dove alcune componenti non sono del tutto controllabili.

Alla fine, la performance è andata estremamente bene, e siamo stati molto contenti del risultato nonostante appunto, come anticipato sopra, fossero una location e un contesto diversi dal solito, diversi da quello che ci immaginiamo per Onirica (). Questa performance è un’opera che, come probabilmente si è capito, ha una struttura e una narrazione ben precisa, con diversi ritmi e climax, ed è quindi strano che il pubblico possa arrivare e lasciare la platea a proprio piacimento. Al tempo stesso, nonostante questo, abbiamo ricevuto feedback estremamente positivi, e anche molto interessanti: più vediamo lo spettacolo in tour, più ci relazioniamo con il pubblico e più ci rendiamo conto che è un’opera che ha anche diversi momenti insoliti, quasi inquietanti. Proprio come nella dimensione onirica: questa successione di visioni, di immagini mentali, non può essere controllata e a volte ci ritroviamo a vivere momenti anche di estrema tristezza o paura, felicità o bizzarria – come essere sulle montagne russe. È proprio questo che volevamo suscitare negli spettatori, e siamo felici che la performance sia stata così tanto apprezzata.

Ovviamente, ringraziamo di cuore l’intero team del festival: Francesco Dobrovich, Michele Lotti, e l’intero, fantastico team tecnico con cui abbiamo lavorato.

immagini (all ):«Onirica ()», live at Videocittà, 2025

Onirica () è progetto di fuse* | Regia: Mattia Carretti | Produzione esecutiva: Mattia Carretti, Luca Camellini | Coreografia: Diego Tortelli | Performer: Hélias Salvador Dorvault | Musica e sound design: Riccardo Bazzoni | Responsabile del visual design: Matteo William Salsi | Sviluppo software: Matteo William Salsi, Alessandro Mintrone, Matteo Amerena | Selezione dei sogni: Alessandro Mintrone | Voci dei sogni: Matteo Amerena | Progettazione dei prompt: Alessandro Mintrone, Matteo William Salsi, Mattia Carretti, Matteo Amerena | Progettazione luci: Stefano Cane, Matteo Amerena | Direzione tecnica: Matteo Amerena | Ingegneria hardware: Matteo Amerena, Matteo William Salsi, Alessandro Mintrone | Comunicazione e copywriting: Virginia Bianchi | Assistenti di produzione: Filippo Aldovini, Virginia Bianchi, Martina Reggiani | Documentazione fotografica e video: Matteo Torsani, Emmanuele Coltellacci. Le immagini di Onirica () sono basate su una pipeline che integra la libreria Diffusers: state-of-the-art diffusion model sviluppata da Huggingface e OpenGL Shading Language (GLL). La performance è realizzata con MOCAP Perception Neuron di NOITOM.
Fondato nel 2007, fuse* è uno studio dedicato all’esplorazione del potenziale creativo delle tecnologie contemporanee e della loro profonda influenza sul modo in cui viviamo, pensiamo e ci relazioniamo con il mondo.
Guidato dai fondatori Mattia Carretti (1981) e Luca Camellini (1981), lo studio riunisce un gruppo multidisciplinare di artisti, architetti, ingegneri e designer che collaborano alla creazione di progetti innovativi, opere d’arte, spettacoli e mostre, dedicandosi al contempo alla ricerca e alla sperimentazione. Ispirati dall’osservazione dei fenomeni sociali e naturali e alimentati dalle scoperte scientifiche e dalla ricerca, i lavori di fuse* evolvono attraverso collaborazioni con specialisti e centri di ricerca, integrando conoscenze avanzate e modi di pensare diversi.
Noto per le installazioni su larga scala e le performance dal vivo, lo studio sperimenta costantemente nuove relazioni tra fisico, digitale, naturale e artificiale, esplorando una vasta gamma di strumenti, tra cui scultura, stampa, video, luce e suono. Visitate qui il sito dei fuse* per scoprire il profilo dello studio e tutta la squadra.

 

 

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Open call – V&A East

V&A East offre una importante opportunità: il Design Trust Fellowship, programma della durata di un anno che assegna a un professionista creativo un finanziamento per svolgere attività di ricerca presso il V&A East Storehouse, lavoro sul campo a Hong Kong, nella Greater Bay Area e in Cina, ove opportuno, e per realizzare una nuova opera creativa, che sarà esposta al V&A East per una stagione di sei mesi.

La prima edizione della V&A East Design Trust Fellowship avrà inizio nell’autunno del 2025 e culminerà con un’opera commissionata che sarà esposta dall’autunno del 2026 alla primavera del 2027.

Ai professionisti viene chiesto di rispondere al tema “Le storie dei vestiti”, con una ricerca incentrata su Hong Kong, la Greater Bay Area e la Cina.

Siamo interessati a progetti radicati nella ricerca oggettuale che esplorino il significato dei vestiti, interrogandosi su ciò che il nostro abbigliamento rivela di noi, dal complesso e intricato rapporto che abbiamo con il nostro corpo al modo in cui il loro design, la loro produzione e il loro smaltimento plasmano il nostro mondo.

Ispirati dalla metodologia di Saidiya Hartman nell’approccio agli archivi, siamo interessati a come “le contro-narrazioni che recuperano il terreno ribelle delle vite umane” possano essere trovate attraverso il lavoro sul campo all’interno e all’esterno del museo.

Basato sulla ricerca, il risultato creativo finale potrà essere realizzato con qualsiasi mezzo, ma i professionisti sono invitati a considerare l’idoneità del loro progetto per un’installazione di sei mesi in un edificio pubblico. Si prega di notare che i costi di produzione del lavoro sono inclusi nella borsa di studio.

Il candidato prescelto riceverà 275.000 HKD per finanziare il proprio tempo, le spese di viaggio, l’alloggio e i costi di produzione di un nuovo lavoro da installare al V&A East. I borsisti possono risiedere in qualsiasi parte del mondo, ma ci aspettiamo che almeno tre settimane di ricerca si svolgano presso il V&A East Storehouse.

Il bando è aperto dal 3 luglio fino alla mezzanotte di venerdì 22 agosto 2025. I candidati sono pregati di inviare in inglese: un piano di ricerca e una proposta concettuale per una nuova opera da esporre al V&A East (non più di 500 parole e fino a cinque immagini); un budget di come intendono allocare i 275.000 HKD; e un CV (non più di 500 parole).

Le candidature saranno esaminate collettivamente dai membri del team V&A East e del team Design Trust. Il team potrà selezionare un piccolo gruppo di candidati e procedere a dei colloqui. I finalisti saranno selezionati entro settembre.

Si prega di inviare le candidature entro venerdì 22 agosto 2025 all’indirizzo designtrustfellowship@vam.ac.uk.

Calendario della borsa di studio

Settembre 2025: nomina del borsista / ottobre-dicembre 2025: fase di ricerca / gennaio-marzo 2026: sviluppo del concept / aprile-settembre 2026: produzione e installazione del nuovo lavoro / ottobre 2026-marzo 2027: esposizione dell’opera commissionata.

Maggiori informazioni su V&A East

V&A East comprende due nuovi siti gemelli nel Queen Elizabeth Olympic Park di Londra. Il V&A East Storehouse offre un accesso completo alla collezione del V&A. Entra dietro le quinte e segui il tuo percorso attraverso il mondo dell’arte, del design, dello spettacolo, della moda e molto altro ancora. Con gallerie, mostre ed eventi che mettono in luce le persone, le idee e la creatività che stanno plasmando la cultura globale in questo momento, il V&A East Museum è il luogo ideale per incontrare persone, trovare ispirazione e nuove idee. Apertura nella zona est di Londra nella primavera del 2026.

Maggiori informazioni su Design Trust

Design Trust è stata fondata nel 2014 da Hong Kong Ambassadors of Design, un ente di beneficenza registrato a Hong Kong dal 2007, come piattaforma di finanziamento e comunità. Design Trust sostiene progetti creativi che sviluppano competenze, iniziative di ricerca e contenuti relativi a Hong Kong e alla Greater Bay Area. Operando in una molteplicità di discipline del design, dalla grafica, ai media, all’architettura, all’ambiente costruito, Design Trust mira ad accelerare attivamente la ricerca creativa, il design e lo sviluppo di progetti significativi che promuovono il ruolo positivo del design.

Design Trust Fellowship 2025

 

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FRAME > Inner, Outer, Other

FRAME cattura Inner, Outer, Other di Sebastian Kite installazione di luce, suono, specchi, aqua e aria che trasforma l’atrio centrale della Sparkasse di Hildesheim (Germania) in un’esperienza ultraterrena.

Sebastian Kite, Inner, Outer, Other, 2020, EVI Lichtungen, Hildesheim, Germany, immagine via
Commissioning body: EVI Lichtungen 2020 | Patron: Sparkasse, Germany  | Curators: Alice Hinrichs, Klaus Wilheim | Photography: Sebastian Kite

 

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VIDEO POST > Lost in binary Translation 2.0

VIDEO POST rilancia Lost in binary Translation 2.0 di Lukas Truniger, installazione che esplora i limiti della percezione delle macchine nel mentre della rilevazione algoritmica della realtà attraverso una webcam in tempo reale.

Questo lavoro riflette gli spettatori su uno schermo LED frammentato, esplorando il ciclo di feedback tra la nostra complessa realtà e la sua rappresentazione digitale semplificata. Il display osserva e analizza in tempo reale, rivelando i limiti della percezione delle macchine (Lukas Truniger via sito – tradotto dall’ inglese)

Lukas Truniger, Lost in binary Translation 2.0, 2025
Custom LED screens, aluminum extrusions, cabling, webcam, 5V power supplies, Raspberry Pi, software

 

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In dialogo con Roberto Ghezzi

Il progetto artistico “Iceland still”, ideato da Roberto Ghezzi e dedito a una nuova spedizione di ricerca in Islanda, si è concentrato nei mesi di giugno e luglio, nella parte meno civilizzata dell’isola, quella orientale, tra Egilsstaðir, Höfn e Landmannalaugar. La realizzazione si è svolta in collaborazione con fotografo Antonio Manta e il pilota di droni Leonardo Vianello Mizar, gli sponsor tecnici Light Adventures, BAM di Antonio Manta, e il supporto di Phoresta ETS.
La mia riflessione sul lavoro di Roberto Ghezzi mi porta inequivocabilmente a parlare in termini critici di un termine che oggi sta felicemente subendo un riesame da parte del settore: il tempo. È indubbio che i progressi informatici e tecnologici hanno, anzitutto, un impatto sulla vita umana e sul tempo naturale dell’individuo. Una scansione delle ore che non trova la sua corrispondenza nemmeno nello scorrimento del tempo circoscritto dallo strumento di misurazione, l’orologio, invenzione artificiale dell’uomo stesso.
Si può far riferimento, con tale connotazione, già ad Aristotele che ne parlava in relazione allo svolgersi di eventi e in rapporto con la metamorfosi. Ed è proprio il mutamento che il nostro indaga, ricercando la possibilità di una sussistenza simultanea di quello scorrere naturale del tempo in una latitudine ove tutto sembra fluire più lentamente, quasi fermandosi, in un paesaggio che “non ha alberi, né persone, è immobile” – sostiene Ghezzi.
Va anche sottolineato che l’artista si distanzia dallo Jeweiligkei, quell’ora naturale che dimora nella determinazione dell’esistenza umana sin da sempre, nell’esserci dell’essere come tempo. Fa riferimento, infatti, come autentico prosieguo di una ricerca in itinere e generatrice di nuovi nessi, a un’inversione di sguardo che vuole la Natura come soggetto principe e agente del suo stesso lavoro. Ne parlo in dialogo con l’artista.

Laura Catini: Il tempo è stato presente, seppur sopito sinora, nel tuo esplorare e restituire la Natura. La ricerca sulla sua scansione prende luogo, in un paesaggio che sembra essere ossimoro per l’indagine, in Islanda. In una latitudine, in cui affermi essere tutto sospeso. Quasi a voler rendere evidente qualcosa che non c’è ma si percepisce. È un esame molto legato alla propria psiche…

Roberto Ghezzi: Ho scelto l’Islanda proprio per questo. In quest’isola gli avvenimenti “evidenti” sono rari, si muovono nuvole, icebergs, si muovono le onde del mare, ma nessun albero e, dove sono io, nessun essere umano o animale tranne rari uccelli a tradire la presenza del tempo. Che “forse” c’è, ma non si vede. Si, si intuisce, dentro di noi. Ma se lasciassimo soltanto parlare ciò che ci circonda?  Lo sentiremmo ancora così bene, questo flusso, questa freccia verso il futuro?

È difficile dichiarare l’attuale spedizione di ricerca come un fondersi tra arte e scienza, come sostiene la Fisica quantistica in relazione al tempo e nonostante le più recenti scoperte…

Per quanto la mia preparazione non mi permetta di essere un cultore della materia, sono affascinato dagli ultimi studi sul tempo affrontati da molti fisici nel corso degli anni. Ancora mi sconvolge la relatività, e sono più di 100 anni che ne abbiamo contezza. Figuriamoci pensare all’ipotesi della “non esistenza” del tempo.

Lavorando da sempre con lunghe esposizioni (naturografie, foto stenopeiche, ecc), si può però dire, in effetti, che io abbia lavorato sempre con un susseguirsi di eventi, con un accumulo di tracce. Ecco, in questo caso lo studio si è approfondito proprio in tal senso, inseguendo la sequenza di queste tracce, focalizzando l’attenzione su ciò che, dato un certo paesaggio, variava rispetto all’attimo precedente in quello stesso paesaggio. E vi assicuro che in 24 ore, anche in un territorio immobile come l’Islanda degli altipiani interni, si muovono molte cose.

In questa occasione hai deciso di abbandonare le “camere oscure” dell’Annapurna in Nepal per far impiego di una tecnologia di ultima generazione…

Sì, mi piace sempre variare l’approccio al paesaggio, pur rimanendo fedele alla mia ricerca. Grazie al supporto del fotografo e stampatore Antonio Manta ho usufruito di attrezzature di ultima generazione: può sembrare banale, ma fotografare ininterrottamente lo stesso paesaggio per 24 ore richiede prestazioni davvero elevate, in termini di macchina, di batterie, di schede di memoria…e se poi ci si mette anche il clima artico.

Nonostante l’utilizzo di una strumentazione sofisticata, si prevede l’ingresso di alcuni compromessi nel processo creativo…
Non so ancora come realizzerò la restituzione finale dell’opera. Non è detto che sia una fotografia digitale (che già di per sé, vi anticipo, sarebbe un lavoro di una complessità estrema perché immaginate cosa può significare sovrapporre 1500 scatti da 300 megabyte ciascuno, in un unico livello, conservando trasparenze e visibilità). Potrebbe comunque essere anche un’installazione analogica. In definitiva, come spesso è accaduto in passato con altre ricerche, è nel processo, nel percorso, nel viaggio, che ho avuto le più grandi soddisfazioni.

ICELAND STILL, progetto di Roberto Ghezzi, Islanda Orientale, Spedizione di ricerca tra arte e scienza
Sedi varie: Egilsstaðir – Höfn – Landmannalaugar, giugno-luglio 2025
In collaborazione con Antonio Manta e Leonardo Vianello Mizar | Sponsor tecnici Light Adventures e BAM di Antonio Manta | Supporto Phoresta ETS | Communication Manager: Amalia Di Lanno

immagini: (cover 1): Roberto Ghezzi, «Iceland Still», 2025, Courtesy the Artist (2) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», 2025, Courtesy the Artist (3) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», laguna ghiacciata, multipla esposizione 22′, 2025 (4) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», Islanda interna, lunga e multipla esposizione 10′, 2025 (5) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», i deserti neri, lunga esposizione, 2025

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Quayola a Videcittà 2025

In occasione dell’ottava edizione di Videocittà, il festival dell’audiovisivo e della cultura digitale che si tiene a Roma dal 2018, Quayola (Roma, 1982) ha presentato in anteprima SOLAR, un’installazione site-specific concepita per l’iconica struttura del Gazometro.  

L’opera sfrutta la struttura ferrea del monumento industriale — articolata in pieni e vuoti — per offrire una doppia modalità di visione, sia dall’interno che dall’esterno.

L’installazione propone un’effimera rappresentazione del sole attraverso una coreografia di luci calde e fredde che, accompagnata da una traccia audio alternante momenti distesi e trilli serrati, amplifica la percezione del suo moto apparente e delle diverse fasi della giornata. Lo spettacolo di Solar  inizia con una densa effusione di fumo artificiale che inonda l’intero spazio per intensificare gli effetti della luce e creare un’atmosfera rarefatta, quasi cosmica, in cui il pubblico è immerso fisicamente. 

Le proiezioni luminose derivano da un braccio robotico – elemento ricorrente nei lavori dell’artista – collocato al centro dell’installazione, e da altri faretti motorizzati ancorati al perimetro circolare della struttura. Il Gazometro, infatti, funge da scheletro dell’installazione e da superficie di proiezione; i fari che colpiscono il reticolo metallico riflettono immagini stroboscopiche di astri luminosi che circondano la stella madre del sistema solare.

SOLAR si inserisce nel percorso di ricerca di Quayola che da tempo osserva e rielabora la natura attraverso l’impiego di nuove tecnologie. Con una durata di circa dieci minuti, l’installazione condensa un’esperienza immersiva che intreccia luce, suono e il genere paesaggistico. 

Dopo la prima romana, l’opera prosegue in un tour internazionale, portando con sé la visione di un Sole sintetico capace di reinterpretare il rapporto tra natura, tecnologia e monumentalità urbana.

Davide Quayola, SOLAR, Videocittà 2025
Presentata in prima mondiale dal 3 al 6 luglio 2025, SOLAR inaugurerà un tour internazionale che proseguirà
ad agosto a Toronto. SOLAR è un’installazione site-specific di Quayola, realizzata da Eni, curata da Videocittà in collaborazione con The Bentway Toronto, con la produzione esecutiva di Eventi Italiani.
immagini (tutte): Quayola, «SOLAR», Videocittà 2025, Roma

 

 

 

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Ars Electronica 2025

Torna a settembre Ars Electronica, festival dal 1979 dedicato all’intreccio tra arte, tecnologia e società, che esplora lo status quo del nostro tempo, oggi un’epoca piena di contraddizioni e incertezze e quest’anno dedicato al tema del Panico e delle sue conseguenze politiche. 

Panico, sì o no? Non dovremmo essere già da tempo in uno stato di panico assoluto? Perché non lo siamo? Sembrano esserci innumerevoli motivi per farsi prendere dal panico. O è solo allarmismo? Quanto può durare la speranza e cosa succederà dopo?

Quando non riusciamo più a capire il mondo che ci circonda, quando le cose cambiano più velocemente di quanto riusciamo a comprenderle, noi esseri umani tendiamo apparentemente a diventare irrazionali, prestando più attenzione al volume di una voce che al suo contenuto, e preferendo credere che ciò che vogliamo sentire sia la verità. Ci ritroviamo nella caverna di Platone, adorando gli interpreti delle ombre.

Niente sembra più inquietante del cambiamento, eppure niente è più urgente del cambiamento. Ma siamo sempre meno capaci di concordare su cosa o chi debba cambiare e su come farlo….

e cosa intendiamo quando parliamo di cambiamenti radicali?

Venite, radunatevi, gente

Ovunque voi siate

E ammettete che le acque

Intorno a voi sono cresciute

E accettate che presto

Sarete bagnati fino alle ossa

Se il vostro tempo vi è caro

E fareste meglio a cominciare a nuotare

O affonderete come un sasso

Perché i tempi stanno cambiando

Quando Bob Dylan scrisse queste righe nel 1963, così attuali ai nostri giorni, non da ultimo in considerazione del fatto che il livello delle acque sta letteralmente salendo, il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti aveva raggiunto il suo apice: la Marcia su Washington e il discorso di Martin Luther King “I have a dream” di Martin Luther King sono diventati iconici nella storia – ed era chiaro a tutti di quale tipo di sconvolgimento si parlasse: nuovi inizi, progresso, libertà, codificati come ideali del mondo occidentale, sembravano così irresistibilmente convincenti e inarrestabili che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che prevalessero a livello globale.

 

Era anche il momento in cui gli Stati Uniti erano finalmente riusciti a posizionarsi come potenza egemonica globale: militarmente, economicamente e forse soprattutto culturalmente, l’“American Way of Life” prevaleva nel mondo libero. A livello politico, il “Ich bin ein Berliner” (Io sono un berlinese) di John F. Kennedy, pronunciato pochi mesi prima del suo assassinio, divenne il simbolo leggendario di una concezione egemonica di un sovrano protettivo che non soggioga, ma motiva la fedeltà volontaria attraverso i vantaggi e le promesse del suo stile di vita. Almeno così veniva interpretato, poiché altrove non si facevano scrupoli a ricorrere alla forza militare e alla deterrenza nucleare come strumenti di potere. (La guerra del Vietnam, durata vent’anni, dal 1955 al 1975, non fu combattuta per conquistare il Paese, ma piuttosto per affermare la propria leadership).

Mancava solo il crollo dell’URSS dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e l’accordo sembrava concluso. Tuttavia, si era trascurato il fatto che le interdipendenze e le dipendenze economiche derivanti dalla globalizzazione e dalla liberalizzazione dei mercati, insieme all’infrastruttura digitale globale, avrebbero portato anche a un decentramento delle strutture di potere. Non una dissoluzione, ma una frammentazione in cui il potere non è più esercitato esclusivamente attraverso il controllo diretto o strutture gerarchiche, ma dipende sempre più dalla costruzione di consensi e dal bilanciamento degli interessi.

Nel conseguente interregno egemonico, non solo si sono posizionati gli attori geopolitici emergenti, in particolare la Cina, ma si è anche assistito a un massiccio spostamento verso le società tecnologiche che, con le loro sfere di potere feudali, eludono la regolamentazione statale in molti settori. Sebbene gli Stati Uniti rimangano il sistema nervoso centrale dei mercati finanziari globali, questo simbolo di potere ha anche subito segni visibili di erosione a causa delle dinamiche della globalizzazione e, più recentemente, dell’ascesa delle criptovalute.

Il panico non nasce dalla semplice paura del pericolo, ma dalla consapevolezza della sua inevitabilità, dalla sensazione di essere esposti ad esso senza alcuna possibilità di fuga o controllo.

In questo contesto, il ricorso irrazionale (perché non basato su fatti e strategie realistiche) a ideologie fasciste oligarchiche, come quello che vediamo attualmente negli Stati Uniti, può certamente essere visto come una reazione di panico di una potenza globale che deve affrontare il fatto di aver perso, o di stare per perdere, la propria egemonia. La frustrazione per il “declino americano” è quindi una delle motivazioni più forti alla base della narrativa MAGA. Cercare di spiegare l’ampio sostegno solo con l’insoddisfazione per i prezzi elevati delle uova è riduttivo e trascura la psicologia più profonda che sta dietro.

Il comportamento aggressivo e irregolare di Trump, dei suoi seguaci e dei suoi agitatori – questi castelli in aria di rabbia e presunzione – nella loro forza e tenacia recano chiari tratti di una ribellione finale, un rifiuto provocatorio della realtà. Sappiamo quanto siano pericolosi e distruttivi questi sintomi di agonia, non solo da molti esempi storici, ma anche dall’attuale restaurazione bellicosa di Vladimir Putin e dall’ampio consenso di cui godono le sue politiche in Russia.

Lo stesso si può dire del nuovo estremismo di destra in Europa, dove l’unica novità è la sua preoccupante espansione e la noiosa insensibilità con cui affrontiamo questi eccessi.

In un mondo senza precedenti, interconnesso e senza confini digitali, le persone cercano improvvisamente di nuovo confini e limiti territoriali; i problemi dei flussi migratori sono solo una parte della ragione di questo fenomeno. L’improvviso risveglio dell’interesse per la proprietà della terra e il territorio fisico, che si riflette nella retorica di coloro che lasciano l’UE e nelle fantasie di Trump di annettere la Groenlandia e il Canada, è una reazione alla perdita di controllo che si prova nelle alleanze internazionali e globali. Chi non riesce ad affermarsi nell’ampio spazio della negoziazione e della costruzione del consenso preferisce tornare al tavolo piccolo e batterci i pugni.

Cosa dovremmo temere.

Si sta diffondendo un clima di paura, che va dal rifiuto vago all’odio profondo, diretto contro tutto ciò che sa di cambiamento.

Contro l’immigrazione, contro gli attivisti per il clima, contro la diversità, contro le persone transgender, contro la consapevolezza che il mondo è molto più complesso di quanto vorremmo che fosse. Il buon senso viene dichiarato superiore alla scienza e alla conoscenza, e la verità non è più definita come la concordanza di un’affermazione con il suo oggetto, ma piuttosto come il minimo comune denominatore delle affermazioni che corrispondono più da vicino a ciò che desideriamo piuttosto che a ciò che sta realmente accadendo. 

Indipendentemente dal fatto che il 2024 sia stato l’anno più caldo mai registrato, indipendentemente dal fatto che la vaccinazione contro il coronavirus abbia salvato innumerevoli persone da malattie gravi, dal COVID a lungo termine e persino dalla morte… ecc. ecc.

Questa erosione della verità, guidata dagli algoritmi dei social media orientati al profitto, è seguita dall’erosione della fiducia, forse l’elemento più importante per la coesione di una società.

Ciò che sta trasformando la paura in panico, ancora più dell’imprevedibilità e dell’incoscienza dell’amministrazione Trump, è il disorientamento emergente ora che Trump ha rinunciato alla lealtà e alla solidarietà – pietre miliari dell’ordine egemonico dalla fine della seconda guerra mondiale 80 anni fa – all’interno dell’intero mondo libero (compresi gli Stati Uniti). Un disorientamento a seguito del quale l’Europa si sta ora impegnando, a una velocità vertiginosa, in un’economia di guerra e si sta armando con armi che saranno in gran parte inutili nella battaglia davvero decisiva dei prossimi decenni: la lotta contro gli effetti del cambiamento climatico.

Quando la paura non può più essere attribuita a pericoli e rischi specifici, si trasforma in panico; viene rilasciato l’ormone dello stress, l’adrenalina, il battito cardiaco accelera, più sangue viene pompato nelle vene e i muscoli si irrigidiscono.

Reagiamo in modo sconsiderato o concentriamo le nostre forze?

La paura ci rende piccoli e scoraggiati. Come possiamo mantenere e rafforzare il nostro slancio per il futuro?

Come evitare di rimanere bloccati nella paura dell’incertezza e dimenticare che solo attraverso il cambiamento costante possiamo andare avanti? Insistendo sullo status quo, ci priviamo del potere dell’immaginazione e del coraggio di vedere il futuro come una prospettiva realizzabile che dobbiamo plasmare.

Ed è proprio questo il compito dell’opera artistica e del suo impatto in questo periodo di profondi sconvolgimenti.

Ars Electronica 2025. Panico si, panico no?, 03-07.09.2025, Linz, Austria

immagini: (cover 1) Ars Electronica (2) Deep Space 8K – Ars Electronica Center, Photo- Ars Electronica _ Magdalena Sick-Leitner (3) Neural Latency / Elena Pedroche-Sánchez (ES) artist, Pablo Galindo Serrano (ES) artist, Rosa Blanca Anguita (ES) engineer; Inspiring scientist- Jorge Tirado Caballero (ES) neurosurgeon and researcher, Photo- Miguel Mendonza-Malpartida (4) Prix Ars Electronica Award Ceremony, Photo- tom mesic (5) ars_electronica2 (6) Dystopia Land _ Etsuko Ichihara (JP), Civic Creative Base Tokyo [CCBT] (JP), Photo- Ayami Kawashima (7) Bacteria cloud of clouds _ Natalia Rivera (CO), Photo- Natalia Rivera (8) Organism + Excitable Chaos, Navid Navab, Garnet Willis, Photo- vog.photo

 

 

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FRAME > Δ [Delta]

FRAME cattura Δ [Delta] di Miha Godec, installazione sonora interattiva che utilizza la bio-sonificazione per avvicinare emotivamente le persone a processi naturali altrimenti impercepibili.

Miha Godec, Δ [Delta], 2023
Il progetto è stato presentato nell’ambito della mostra collettiva, konSekvence ≡ Fragmenti možnega ekosistema
Cukrarna, Ljubljana, Slovenia

Δ [Delta]

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Identità oltre confine

Per festeggiare i 25 anni della sua Collezione d’arte contemporanea – che raccoglie opere di tutto rilievo dell’arte italiana dagli anni Cinquanta ad oggi – la Farnesina promuove una grande mostra itinerante per l’Europa. 

Il progetto espositivo Identità oltre confine, a cura di Benedetta Carpi De Resmini, esplora il rapporto tra essere umano e natura, indagando i concetti di identità, conflitto e coesistenza in un contesto segnato da crisi ambientali, globalizzazione e trasformazioni sociali. Promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, si articola in tre mostre realizzate in collaborazione con gli Istituti Italiani di Cultura di Berlino, Vilnius e La Valletta.

Identità oltre confine racchiude molti degli elementi essenziali della diplomazia culturale: la circuitazione in luoghi importanti dello scenario internazionale, il valore delle sinergie con i partner del comparto culturale, la promozione all’estero di artisti italiani anche emergenti, che si concretizza grazie alla rete diplomatico-culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale” commenta Marco Maria Cerbo, Capo dell’Unità per il coordinamento degli Istituti italiani di cultura. 

La scelta curatoriale si concentra sulle artiste presenti nella Collezione Farnesina. La curatrice spiega: “Le opere presenti in mostra non sono state selezionate in base al genere, bensì individuate a seguito di un’analisi approfondita della Collezione Farnesina, condotta nel quadro della tematica che avevo scelto di affrontare inizialmente. Da tale analisi è emerso come questi argomenti siano affrontati prevalentemente da artiste donne. Il focus nasce dalla consapevolezza del legame profondo e simbolico che storicamente unisce le donne alla natura. Tradizionalmente associate alla fertilità, alla cura e alla Madre Terra, le donne offrono una prospettiva sensibile e critica sui temi della sostenibilità, della crisi ecologica e dell’identità.”

Le opere selezionate riflettono quindi non solo la relazione tra essere umano e ambiente, ma anche la posizione della donna nel discorso contemporaneo su rigenerazione, ecologia e giustizia sociale. In un momento di una crescente urgenza planetaria, Identità oltre confine propone l’arte come strumento di consapevolezza e cambiamento. 

Le opere in mostra offrono prospettive molteplici: da visioni intime e personali del rapporto con la natura, a potenti critiche delle politiche estrattive e delle dinamiche di potere globali. In questo dialogo tra arte, natura e società, si apre la possibilità di una nuova narrazione, fondata non più sul dominio, ma su una coesistenza armoniosa e rispettosa dei cicli vitali del pianeta. 

Il percorso espositivo riflette il rapporto dell’essere umano con l’“altrove”, spesso percepito come ignoto o minaccioso. La mostra diventa così anche un momento di riflessione sull’evoluzione della Collezione Farnesina, valorizzando il contributo di artiste di diverse generazioni, con un focus sulle voci emergenti. Il dialogo intergenerazionale che ne scaturisce arricchisce la riflessione culturale, offrendo nuove chiavi di lettura per interpretare le grandi trasformazioni del nostro tempo.

Il progetto si articola in tre sezioni tematiche:

  1. Geografie del distacco

Esplora come la globalizzazione abbia trasformato il senso di identità e il legame con la natura, generando crisi di appartenenza e distacco dall’ambiente. Le opere offrono visioni alternative di identità in trasformazione tra radici e adattamenti globali.


  1. Ecologie instabili

Analizza le connessioni tra crisi ambientali e disuguaglianze sociali, ponendo l’accento sulle conseguenze della globalizzazione, dei conflitti geopolitici e delle nuove forme di protesta.


  1. Radici di resistenza

Affronta il tema della natura come luogo di resistenza e rinascita per l’identità femminile. Le opere denunciano la mercificazione della natura e del corpo femminile, in un confronto con la cultura patriarcale.


Al di fuori del percorso espositivo, sarà esposta l’opera Fibonacci (1975) di Mario Merz, recentemente acquisita nella Collezione Farnesina. La sequenza di Fibonacci, metafora della crescita naturale, rappresenta l’intersezione tra ordine matematico e processi organici, diventando simbolo di un sapere che supera i confini identitari per abbracciare una prospettiva universale e interculturale.

(dal comunicato stampa)

“Identità oltre confine”, a cura di Benedetta Carpi De Resmini a celebrazione dei 25 anni della Collezione Farnesina, mostra itinerante (Berlino, Vilnius, Malta), giugno 2025 – giugno 2026
Il progetto prevede tre mostre internazionali, ospitate presso gli Istituti Italiani di Cultura in tre capitali europee:
Berlino – Istituto Italiano di Cultura
19 giugno – 21 luglio 2025
Berlino, simbolo dell’Europa Centrale, è crocevia di riconciliazione e innovazione culturale, e contesto ideale per riflettere sulle trasformazioni identitarie post-globalizzazione.

  • Vilnius – Istituto Italiano di Cultura
19 settembre – 26 ottobre 2025
Capitale della Lituania e laboratorio per il dialogo tra memoria storica e nuove identità culturali, Vilnius rappresenta l’Europa dell’Est in mutamento.
  • La Valletta (Malta) – Istituto Italiano di Cultura
giugno 2026
Rappresenta l’Europa del Sud, punto nevralgico delle questioni ambientali e migratorie. Luogo di forte impronta mediterranea, la città stimola riflessioni urgenti su cultura e crisi ecologica.
Le artiste presenti in mostra: Carla Accardi, Letizia Battaglia, Elena Bellantoni, Tomaso Binga, Silvia Camporesi, Gea Casolaro, Sarah Ciracì, Martina della Valle, Loredana Di Lillo, Paola Gandolfi, Silvia Giambrone, Ketty La Rocca, Maria Lai, Elena Mazzi, Rä di Martino, Elisa Montessori, Laura Pugno, Agnese Purgatorio, Marta Roberti, Marinella Senatore.

immagini: (cover 1) Identità senza confine, Poster (2 ) Elena Bellantoni, «The Fox and The Wolf Struggle for Power», 2014. Video e 6 fotografie cm. 58 x 16 cm © Elena Bellantoni. Courtesy dell’artista. Collezione Farnesina, Roma (3) Silvia Camporesi, «Le tre chiese (Quando comincia l’acqua, #2, #3, #7)», 2011. Stampa inkjet. 3 elementi, 63 x 73 cm ciascuna © Silvia Camporesi. Courtesy l’artista. Collezione Farnesina, Roma (4) Martina della Valle, «Under the sun of Onomichi», 2011. Stampa fotografica su alluminio 66 x 100 cm  © Martina Della Valle Courtesy l’artista. Collezione Farnesina, Roma (5)  Sarah Ciracì, «Trebbiatori Celesti», 2001. Stampa fotografica 56 x 80 cm, Courtesy l’artista. Collezione Farnesina, Roma (6) Tomaso Binga, «AlphaSymbol», 2021. Stampa digitale 100 x 100 cm. Foto ©Giorgio Benni. Courtesy Archivio Tomaso Binga. Collezione Farnesina, Roma (7) Agnese Purgatorio, «Nella clandestinità», 2014. Collage digitale, 79,5 x 113 cm © Agnese Purgatorio. Courtesy l’artista. Collezione Farnesina, Roma

 

 

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Stills of PEACE

Presentata a Pescara in anteprima per la stampa e i partner, il programma della Edizione XII della storica Rassegna Internazionale di Arte e Cultura contemporanea Stills of PEACE, promossa dalla Fondazione Aria. Dal 5 luglio al 7 settembre Stills of PEACE, in collaborazione con i Comuni di Atri e Pescara, promuove un dialogo fra Italia e Colombia, grazie al linguaggio dell’arte contemporanea. Dopo i saluti di benvenuto del Presidente La Rocca, il neo Presidente della Fondazione Aria, l’imprenditore Giulio Caso, ha confermato la volontà di conoscere e valorizzare l’insieme di tradizioni di un Paese ricco di influenze indigene e coloniali, geograficamente molto distante da noi, ma fortemente in accordo rispetto a valori essenziali quali famiglia, casa e amicizia. La pluralità di popoli che abita la Colombia costituisce un esempio significativo di complessità, in una condivisione e coesistenza sociale e antropologica.

Quest’anno abbiamo scelto di rivolgere lo sguardo alla Colombia, Paese simbolo mondiale di biodiversità, per indagare un tema urgente e universale: il Futuro – ha dichiarato la Direttrice Artistica e Head of Curator di Stills of Peace, Giovanna Dello Iacono. Global Future è un manifesto che sancisce il diritto di tutti di pensare con rinnovata fiducia al proprio avvenire e si lega idealmente allo slogan Paz con la Naturaleza (Pace con la Natura), coniato in occasione della XVI Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (COP16), ospitata proprio a Cali in Colombia, cuore di una delle regioni più ricche di biodiversità al mondo.

I curatori hanno poi introdotto il lavoro svolto per ciascuna delle quattro mostre previste in questa Edizione, che sarà inaugurata con una tre giorni di eventi fra Atri e Pescara: la ‘Ma.Co. / Maratona del Contemporaneo’, in programma dal 5 al 7 luglio.

Le Cisterne e le Sale di Palazzo Acquaviva di Atri ospiteranno la mostra “Global Future” curata da Giovanna Dello Iacono e Maria Letizia Paiato, con protagonisti Lorenzo Aceto, Aycoobo, Chiara Calore, Rudy Cremonini, Federica Giulianini, Pietro Moretti, Matteo Montani, Mariangela Levita, Luz Lizarazo, Giovanni Paolo Randazzo Mora, Alejandro Sánchez Suárez, María Alejandra Torres, artisti di generazioni diverse ma con una grande spiritualità, che si rapportano attraverso il mezzo pittorico per arrivare alle persone.

Sempre nelle Cisterne Romane di Palazzo Acquaviva, la mostra “Generazione dalla luce” di Juan Eugenio Ochoa, il duo Mozzarella Light (Giulia Ciappi – Marco Frassinelli), Paolo Scirpa, Natalia Triviño Lozano, curata da Marta Michelacci e Antonio Zimarino, che sottolinea quanto sia la luce a definire la struttura architettonica della sede espositiva, in cui si distribuisce in modo particolare e articolato, scoprendo angoli strutturali sempre diversi. Gli artisti lavorano proprio su questo binomio spazio/luce, con sensibilità diverse dell’elemento luminoso che permette di cambiare prospettiva nella percezione.

A Pescara invece la mostra “Forgotten People” della fotografa Luz Elena Castro, ospitata presso lo spazio zerozerosullivellodelmare, e curata da Paolo Dell’Elce, che la racconta come un percorso di conoscenza e incontro dell’umano che forse incontriamo meno, la rappresentazione di un individuo debole, che cerca un riscatto per la propria necessità di esistere e di trovare una sua dignità.

YAG/Garage ospita poi la collettiva Stills of Peace for Young con le opere di Daniele Di Girolamo McManu Espinosa, Martina Marini Misterioso e Lalula Vivenzi Carrasco, curata da Cecilia Buccioni, Giovanna Dello Iacono e Maria Letizia Paiato. Le ricerche dei quattro giovani protagonisti sono legate al tema della Rassegna attraverso soggetti politici, sociali e introspettivi, resi attraverso linguaggi concettuali.

Il Cortile di Palazzo Acquaviva di Atri ospiterà la consueta rassegna cinematografica Cine Colombia a cura di P. Federico Ibargüen Ruiz, con 6 appuntamenti dal 7 luglio al 1 settembre con proiezioni in lingua originale sottotitolate in italiano. Altra novità del 2025, Stills Story, un ciclo di 4 incontri dedicate alla letteratura colombiana contemporanea a cura di Giuliana De Petris, che si terranno nello stesso Cortile il 7 luglio alle 18.30 mentre il 17 luglio, il 28 agosto e il 4 settembre alle 21.

Quest’anno Stills of Peace riflette la sua pluralità molteplice anche nell’immagine-manifesto, concepita ad hoc dall’artista, designer e direttore creativo, Stefano Chiassai: cuori, farfalle, fiori e simboli cartografici si intrecciano con i riferimenti testuali, frammenti visivi che evocano la biodiversità, l’incontro tra mondi, l’estetica quotidiana come gesto politico. Il manifesto diventa così sia rappresentazione visiva, sia azione simbolica: un richiamo collettivo a “fermarsi per osservare”, “immaginare per costruire”, “incontrarsi per trasformare”.

(dal comunicato stampa)

Stills of Peace and Everyday Life, direzione artistica a cura di Giovanna dello Iacono,  Atri-Te, Pescara, 05.07 – 07.09.2025
Anche per l’edizione 2025, il progetto gode del Patrocinio dell’Ambasciata della Colombia in Italia, dell’Alto Patrocinio della Regione Abruzzo, del Consiglio Regionale, dei Comuni di Atri e Pescara, dell’Instituto Cervantes di Roma, del Centro per il Libro e la Lettura (CEPELL), della Società Dante Alighieri e dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.

 

immagini: (cover-1) Luz Lizarazo, «Mi cuerpo dice la verdad (My Body Speaks the Truth)», 2023 (presentato nell’ambito della mostra «Global Future», photo credit Niko Jacob (2) Paolo Scirpa, Espansione e traslazione, 1984, photo credit Archivio Paolo Scirpa, presentato  nella mostra «Per una generazione della luce» (3) Luz Elena Castro, «Desalojos en Guayaquil, Medellin», photo credit Luz Elena Castro, presentato nell’ambito della mostra «Forgotten People» (4) Lalula Vivenzi, «Woman Power | Maria Lai», 2025, photo credit © Marianne Sin-Pfaltzer, Archivio Ilisso, presentato nell’ambito della mostra «Stills of Peace for young».

Programma

MA.CO. / Marathon of the Contemporary, July 5, 6 p.m. / Atri (TE)
Courtyard of Palazzo Acquaviva – Opening of Stills of Peace
Cisterns and Halls of Palazzo Acquaviva – Opening of the exhibitions Global FUTURE, curated by Giovanna Dello Iacono and Maria Letizia Paiato, and Generation from the Light, curated by Marta Michelacci and Anton Giulio Zimarino
July 6, 6 p.m. / Pescara, s.l.m. 00 – zerozerosullivellodelmare – Opening of the exhibition Forgotten People, curated by Paolo Dell’Elce
YAG/Garage – Opening of Stills of Peace for Young, curated by Cecilia Buccioni, Giovanna Dello Iacono, and Maria Letizia Paiato
July 7, 6 p.m. / Atri (TE), Courtyard of Palazzo Acquaviva / Atri (TE)
6:00 PM – First event of Stills Story, curated by Giuliana De Petris – A conversation with writer Alberto Bile Spadaccini and presentation of the book In Colombia with Gabriel García Márquez. Without Gravity and the book “The Risks of the Body” of María Ospina Pizano, edited by Edicola Ediciones.
9:00 PM – First event of Cine Colombia, curated by Fr. Federico Ibargüen Ruiz – Screening of the short film La Sixtina (2022) by Juan Camilo Fonnegra and the feature film Cuando las Aguas se Juntan (2023) by Margarita Martínez

 

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Tamara Repetto riceve il Premio Casati

Per la quarta edizione del Premio Casati, è stata selezionata Tamara Repetto (Genova, 1973), artista dalla sensibilità raffinata e dal percorso poliedrico, che spazia tra installazioni olfattive, scultura e design, indagando il rapporto tra materia, sensi e rapporto uomo-natura. La sua opera, Undici, si nutre di questa interazione, traendo ispirazione dall’antico pomander, scrigno segreto di fragranze, custodito nei secoli da corti e aristocrazie per proteggere il corpo e lo spirito con essenze preziose quali l’ambra grigia e il muschio.

Il tappo dell’ampolla, vero fulcro estetico e concettuale dell’opera, richiama la delicata struttura della morille, evocativo termine francese per la spugnola, un frutto della terra dalla forma sinuosa e arcaica, simbolo di rinascita e trasformazione. Questa morfologia, riprodotta in bronzo giallo lucente richiama le cromie dorate delle olive mature, mentre la sua superficie traforata lascia trapelare l’essenza contenuta, in un gioco sensoriale che stimola vista, tatto e olfatto.

L’olio, elemento primordiale e sacro, dialoga con il tappo profumato, dando vita a un’esperienza sinestetica in cui arte, natura e fragranza si intrecciano in un unicum raffinato e visionario.

A impreziosire ulteriormente questa creazione, la fragranza n.11 Casati percepibile all’interno del tappo con un accordo dolce e boisè, un inebriante connubio che celebra il nettare sacro. Questo profumo si fa evocativo del numero 11, simbolo esoterico, legato all’energia creativa, all’intuizione, alla sensibilità, portale per la realizzazione dei desideri, nonché data di nascita dell’artista.

Grazie alla poetica di Tamara Repetto, questa nuova Ampolla d’Artista Casati diviene non solo custode di un’eccellenza sensoriale, ma un’opera che incarna il concetto stesso di alchimia sensoriale, dove estetica, materia e simbolismo si fondono in una creazione destinata a lasciare un segno nella memoria e nell’immaginario.

(dal comunicato stampa)

Premio Casati 2025. Tamara Repetto, Undici, 2025 
La Maison Casati, in collaborazione con GDA – Associazione Italiana per l’Arte, rinnova la propria vocazione mecenatesca, elevando l’arte contemporanea italiana attraverso il sostegno a talenti che plasmano la materia e danno vita alla forma. Un impegno che affonda le sue radici nella tradizione del collezionismo rinascimentale, quando le grandi casate nobiliari facevano dell’arte un vessillo identitario, una celebrazione della bellezza e dell’ingegno umano.
Il cuore pulsante di questa iniziativa si colloca nella Tenuta Casati, un locus amoenus immerso tra ulivi secolari, sospeso tra la terra e il mare, dove la luce si rifrange sulle fronde argentee e il tempo sembra arrestarsi. Qui, in un contesto carico di suggestione e memoria, ogni anno il concorso frutto della sinergia tra l’Associazione, la Maison Casati e partner selezionati – svela una nuova Ampolla d’Artista, un simbolo di creatività e innovazione che si affianca all’olio EVO della Tenuta, esaltandone l’eccellenza.

immagini: (cover-1) Tamara Repetto, ritratto (2-4) Tamara Repetto, «Numero Undici», 2025 per il Premio Casati, courtesy l’artista (3) Tamara Repetto, «Numero Undici», 2025 per il Premio Castati, bozzetto, courtesy l’Artista

 

 

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Videocittà 2025

Dal 3 al 6 luglio, negli spazi del Gazometro, torna per la sua VIII edizione Videocittà, il Festival della Visione e della Cultura Digitale, ideato da Francesco Rutelli e la direzione creativa di Francesco Dobrovich. 

Per l’opening di giovedì 3 luglio, in scena l’anteprima italiana di Onirica () live dei fuse*, che tornano al festival dopo l’installazione site specific luna somnium del 2022. In questa occasione, presentano una performance che esplora la percezione del corpo nel regno dei sogni, generata in tempo reale tramite l’interazione tra performer e intelligenza artificiale.

Con un giorno in più di programmazione rispetto alle edizioni precedenti, l’area di archeologia industriale più estesa d’Europa, il Gazometro di Roma, diventa ancora una volta un polo di innovazione culturale e si prepara ad accogliere quattro giorni di maestose installazioni, videoarte, video mapping, esperienze immersive, music audiovisual shows, talk e AV experiences, guardando già ai linguaggi di domani.

Videocittà è un osservatorio aperto che promuove l’eccellenza dell’audiovisivo e della comunicazione digitale, dando visibilità alle forme più avanzate di produzione e creatività. Dal 2018, il festival ha ampliato la sua portata internazionale, accogliendo oltre 550 artisti, tra cui Premi Oscar e vincitori del Leone d’Oro e d’Argento alla Biennale di Venezia. Videocittà è anche un laboratorio per talenti emergenti, molti dei quali, partendo da prime italiane, hanno raggiunto una fama internazionale. L’edizione 2025 celebra l’800° anniversario del Cantico delle Creature di San Francesco e si concentra sul Sole come simbolo di vita, luce, energia. Un tema che si riflette nel lavoro degli artisti coinvolti che esplorano il rapporto tra sostenibilità, ambiente e innovazione digitale.

Con oltre 22.000 presenze nel 2024 e un aumento del 150% nelle vendite dei biglietti nelle ultime edizioni, l’edizione 2025 ha già registrato il sold out dei full pass early bird. L’evento accoglierà un pubblico sempre più vasto, senza limiti d’età.

Con Eni come Main Partner, il sostegno di Roma Capitale – Assessorato alla Cultura e con il supporto della Regione Lazio e la media partnership di Rai, l’edizione 2025 conclude la quadrilogia sul rapporto tra uomo e natura, dopo l’elemento lunare (2022), la Terra (2023) e la Galassia (2024).

L’attrazione di principale del Festival sarà, come di consueto, la grande installazione site specific che avvolgerà il Gazometro G4. Per l’edizione 2025, l’intervento sul monumento simbolo della Roma Contemporanea avrà come titolo Solar e sarà affidata all’artista romano, di fama internazionale, Quayola. Con Solar, il Gazometro si accende di una luce nuova e potente, celebrando il Sole come fonte primaria di vita, energia e trasformazione. Realizzata da Eni, curata da Videocittà in collaborazione con The Bentway Toronto, con la produzione esecutiva di Eventi Italiani, Solar è ispirata al fenomeno ottico dei raggi crepuscolari, e riproduce un ciclo infinito di albe e tramonti digitali: la luce diventa materia viva, scolpisce il buio e modella lo spazio.

Eni, anche quest’anno, aprirà dunque le porte del Complesso del Gazometro Ostiense, sede del Distretto di Innovazione Tecnologica ROAD e della Scuola di Impresa Joule. La lunga collaborazione con Videocittà si fonda sulla condivisione dei valori e temi proposti dalla manifestazione, che rispecchiano la strategia dell’Azienda. All’interno di questa location, l’innovazione e la cultura diventano quindi una narrazione congiunta tra Eni e il festival. Ed è proprio questa condivisione che consente ad Eni, attraverso Solar, di raccontare come energie diverse diventino un’energia unica in un processo di trasformazione continua: le sue società, infatti, lavorano insieme per creare un ecosistema integrato di soluzioni complementari, con l’obiettivo di generare un impatto positivo e duraturo e ridisegnare il futuro dell’energia. 

Tra le novità, quest’anno i visitatori potranno scegliere una fascia oraria per visitare l’installazione con l’obbligo di presentarsi 15 minuti prima. I biglietti Plus e Plus Backstage offrono accesso illimitato e salta fila. (Per dettagli su biglietti e abbonamenti su Videocittà.com)

I MUSIC AUDIO VISUAL SHOWS, curati da Michele Lotti, coinvolgono artisti il cui linguaggio è strettamente legato all’audiovisivo: un’alternanza di ospiti affermati e nuove promesse internazionali e nazionali, confermano anche nel 2025 la visione innovativa di Videocittà.

(dal comunicato stampa)

Vedi il programma completo e aggiornato sul sito di Videocittà. Festival della Visione e della Cultura Digitale, Gazometro, 3-6 luglio, 2025, Roma. Clicca qui per info e biglietti
Crediti: Francesco Rutelli (Presidente); Walter Ventura (Amministratore Delegato); Francesca Medolago Albani (Consigliere di Amministrazione); Francesco Dobrovich (Direttore Creativo); Fabio Iorfida (Direttore Amministrativo); Giulia Funari (Organizzazione Generale); Vincenzo Donnamaria (Consulente Strategico); Elena Giacomin (Relazioni Istituzionali); Lucia Leoni (Segreteria di Presidenza); Guido Pietro Airoldi (International Development and Partnerships); Michele Lotti (Curatore); Anna Lea Antolini (Curatrice); Damiana Leoni (Curatrice Videoarte); Rä di Martino (Curatrice Videoarte); Cristina Spinelli (Head of Marketing); Elena Seno (Communication Manager); Marine Leriche (Art Director) Arch. Filippo Mattia Dobrovich (Design Manager); Daniele Davino (Direzione Tecnica); Enrico Ceccarelli (Responsabile Tecnico) Arch. Antonia Caramanica (Progettazione Tecnico-amministrativa); Francesca Sulis (Hospitality); Maria Sarracino (Legal). 

immagini: (cover -1), Videcittà, Gazometro, Roma (2) Fuse (3) Quayola (4) Touchy Toy

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FRAME > Ex.A.R.U.

FRAME cattura Exo Auxiliary Respiratory Unit (Ex.A.R.U.) di Dorotea Dolinšek, installazione che riflette sulla sopravvivenza umana in ambienti dove l’aria è scarsa o irrespirabile, favorendo una relazione di interdipendenza tra esseri umani e piante.

Dorotea Dolinšek, Exo Auxiliary Respiratory Unit (Ex.A.R.U.), 2023
Prodotto da: Kersnikova Institute – Kapelica Gallery nell’ambito della piattaforma konS ≡ Platform for Contemporary Inestigative Art | Curatore: Jurij Krpan | Produttori: Sandra Sajovic, Simon Gmajner | Soluzioni tecniche (sviluppo dell’interfaccia, sistema sensoriale e programmazione): ::vtol:: (Dmitry Morozov) | Supporto tecnico: Jure Sajovic, Valter Udovičić, Jan Lavrič, Vuk Emiliano Valecic , Albin Bobnar | Design tessile: Uroš Topić | Ringraziamenti: Barbara Sušnik | Schizzo e allestimento: Rompom d.o.o.
La ricerca e lo sviluppo sono stati realizzati nell’ambito della piattaforma konS ≡ Platform for Contemporary Investigative Art e cofinanziati dalla Repubblica di Slovenia e dal Fondo europeo di sviluppo regionale dell’Unione europea.

 

 

 

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VIDEO POST > Trampoline Color Exercise

VIDEO POST rilancia Trampoline Color Exercise di Yuge Zhou, installazione a Time Square su 95 schermi costruita da immagini estratte e manipolate da filmati d’archivio delle Olimpiadi, meditazione dall’alto sulla forma umana e sulla ricerca atletica della perfezione, e riferimento sottile al clima geopolitico in continua evoluzione.

Yuge Zhou,Trampoline Color Exercise, 2025
Il progetto è trasmesso su oltre 95 schermi a Times Square ogni sera nel mese di giugno 2025 nell’ambito del programma Midnight Moment. Co-presented with Artnet, Trampoline Color Exercise marks the fourth iteration of an ongoing partnership between Artnet and Times Square Arts that celebrates digital art in the heart of New York City.Video di Tatyana Tenenbaum.

 

 

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Volcanic Attitude 2025

Dal 24 al 28 giugno 2025, prende vita la quarta edizione di Volcanic Attitude, festival di cultura contemporanea, arte e scienza che ospita artistə e scienziatə in un programma di ricerca, esplorazioni, conferenze e performance tra Napoli e le Isole Eolie. Il Festival itinerante curato e diretto da Helga Franza, Susanna Ravelli e Giulia Restifo, rinnoverà il percorso da Napoli a Vulcano, comprendendo per la prima volta anche l’isola di Stromboli.

Un viaggio attraverso quei luoghi e territori dove la materia si trasforma, l’energia si sprigiona e forze invisibili plasmano la realtà. Dalla leggerezza porosa della pomice alla densità specchiante dell’ossidiana, fino ai cicli di espansione e contrazione della crosta terrestre e le teorie cosmologiche sulla pulsazione dell’universo, il paesaggio vulcanico permette infatti di mettere in relazione le ricerche di artisti e esperti provenienti da varie discipline scientifiche.

Il festival intende così riflettere sulle forze invisibili che governano la materia: il calore che si espande, la pressione che comprime, l’energia che trasforma e genera nuovi equilibri. Il magma che pulsa nelle viscere del pianeta, tramite i vulcani, attraversa la crosta terrestre e si intreccia con le nostre idee, intuizioni e visioni. Volcanic Attitude 2025 invita in questo modo a percepire la trasformazione per sintonizzarsi con le frequenze della Terra e lasciarsi attraversare dall’energia magmatica del cambiamento.

L’edizione 2025 si apre il 24 giugno nel centro della città di Napoli, con  la visita al Real Museo Mineralogico a cura delle direttrice tecnica del museo Carmela Petti, per poi raggiungere a piedi la sede di CASA (Centro delle Arti della Scena e dell’Audiovisivo) e assistere alla proiezione del film Shaken Grounds Shifting Skies, del collettivo artistico Shaken Grounds e al talk di Valerio Acocella, Vulcanologo di UniRoma3. Segue poi l’imbarco verso le Eolie a bordo del traghetto Laurana su cui sarà possibile assistere all’installazione Inviolability of Female Body, Gran Pavese dell’artista Margherita Morgantin e allo screening del film Stromboli (1992) di Roman Signer e Stefan Rohner.

Il 25 all’alba vede la performance di Roman Signer Aktion mit Stiefel – Action with Boots sull’isola di Stromboli. L’arrivo a Vulcano è previsto in mattinata, mentre la sera avviene il talk MagneticaMagmatica con le artiste Federica Di Carlo e Margherita Morgantin, insieme al vulcanologo Francesco Sortino.

La giornata del 26 sarà scandita la mattina dalla performance Aktion mit Pfanne – Action with Pan di Roman Signer e dal talk Rocks, Stones and Sea inhabits nel pomeriggio con gli artisti Francesco Cavaliere e Luca Trevisani, assieme al naturalista Pietro Lo Cascio. Seguono poi le performance Subaquea Sleep di Francesco Cavaliere e l’azione Fender Bender di Luca Trevisani.

La mattina del 27 comprende la visita al centro INGV, ente patrocinatore del festival, con il vulcanologo Francesco Sortino e il talk Wandering Volcanoes, con gli artisti e artista Rachele Maestrello, Luca Trevisani e Alessandro Manfrin. Il pomeriggio verrà attivata la meditazione Anemoscopio (variabili 3, sul vulcano) di Margherita Morgantin e la performance Heat and Solitude tra l’artista Federica Di Carlo e il vulcanologo Francesco Sortino.

Il festival si chiude con la serata Volcanic dancing il 27, con festeggiamenti e danze sulla spiaggia e con il coffe table la mattina del 28 assieme ad artistə, scienziatə e partecipanti al festival.

(dal comunicato stampa)

 Volcanic Attitude 2025, Vesuvio – Stromboli – Vulcano, 24 – 18.06.2025
Volcanic Attitude 2025 è organizzato e curato da Helga Franza, Susanna Ravelli, Giulia Restifo. E’ realizzato da Fondazione Arthur Cravan, Centro Itard Lombardia e That’s Contemporary. Volcanic Attitude è realizzato grazie al sostegno di Regione Siciliana Assessorato del Turismo dello Sport e dello Spettacolo e Pro Helvetia. Main sponsor Siremar – Caronte & Tourist. Partner: Les Sables Noirs Hotel & Spa. Sponsor: Therasia Resort. Con il patrocinio del Comune di Lipari e dell’INGV.  Tra i partner culturali e territoriali che cooperano alla realizzazione del Festival: il Museo Mineralogico e CASA Centro delle Arti della Scena e dell’Audiovisivo a Napoli, Il Malandrino a Stromboli, Nesos Trecking&Natura, Hotel I Mari del Sud, Hotel Garden e  Hotel Orsa Maggiore a Vulcano. 

immagini (cover 1) Volcanic Attitude, Festival di Arte Contemporanea, Poster (2) Federica Di Carlo, «Heat & Solitude», 2025

 

 

 

 

 

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Isabella Tortola e Debora Vrizzi alla Fondazione Gajani

Per l’edizione di Art City 2025 gli spazi della Fondazione Gajani verranno contaminati attraverso il lavoro di due artiste chiamate a collaborare insieme per la prima volta: Isabella Tortola e Debora Vrizzi. Da una parte una fotografa; dall’altra una regista e una videoartista.
Obiettivo della mostra è quello, come sempre, di trovare un dialogo e una narrazione con Carlo Gajani e i suoi spazi: fondazione-galleria e casa d’artista. Se l’anno scorso l’approccio con Francesca Lolli è stato quello della caccia al tesoro, quest’anno, invece, avverrà una vera e propria “emissione dell’arte”.  Parte del mobilio e delle decorazioni architettoniche, infatti, rimarrà visibile; le opere d’arte dell’autore, invece, verranno “nascoste” attraverso l’utilizzo di semplici teli trasparenti.
Il telo si fa, in questo modo, simbolo di una cancellazione che non vuole essere, da parte delle artiste e della curatela, né un’occupazione all’interno della residenza del celebre artista bolognese, né una forma di remissione rispetto alla sua arte. L’obiettivo è semplicemente quello di ribaltare la visione e lo sguardo di chi, come ospite, entrerà all’interno della mostra durante la manifestazione. Cosa succede se il luogo che ci aspettiamo di trovare ricolmo di arte, si ritrovasse svuotato da tutto? Che significato produrrebbe nella mente dello spettatore? Una cancellazione che non vuole essere un ribaltamento dell’arte di Gajani, ma un vero e proprio cambio di significato, un’eliminazione alla Emilio Isgrò: cancellare per svelare il paradosso, giocare con l’ovvio e sulle aspettative di chi, da tempo, forse si è troppo abituato a dare per scontato ciò che ha davanti. In questo modo, l’arte, da mero oggetto commerciale, da banalità, da ovvietà riprende forza e spazio, urlando e manifestandosi attraverso la sua stessa assenza.
Per entrare più nel dettaglio Debora Vrizzi ci ha spiegato i retroscena.

 Sara Papini. Come nasce il progetto Blinding Plan?

Debora Vrizzi. Blinding Plan è nato nel 2011 come una provocazione nei confronti di quella politica che in Italia svaluta la cultura. Mi sono posta questa domanda “come sarebbe un mondo senza cultura?”.

Ho girato il primo Blinding Plan (piano di accecamento) al Museo MAXXI di Roma, filmando alcuni spettatori inconsapevoli mentre visitavano il museo. In un secondo momento ho cancellato dalle pareti le opere esposte lasciando invece lo sguardo al vuoto degli spettatori.

La cancellazione delle opere ha avuto l’effetto di sottolineare il rapporto tra il pubblico, l’opera d’arte contemporanea e i musei che la contengono.

In questo primo video ho voluto sottolineare come spesso l’arte contemporanea viene fruita ma non capita, vissuta con sufficienza o frustrazione, noia o ironia. Frequentare i grandi musei d’arte contemporanea (luoghi per eccellenza di consacrazione dell’opera d’arte e dell’artista), è oggi diventato un pellegrinaggio culturale, un rito obbligatorio che lascia spesso indifferente il pubblico.

Lo spazio vuoto che rimane si riempie di metafore, lasciando spazio a diverse possibilità di riflessione, in particolare rende palese l’incapacità di vedere e capire l’arte che viene proposta al grande pubblico.

 Il passaggio dal primo al secondo video, come è stato tornare a lavorare sullo stesso concetto?

La lettura del saggio L’inverno della cultura è stato fondamentale per il secondo video “Blinding Plan The Cathedral”. In questo saggio Jean Clair si interroga sulla giusta “forma” da dare ai musei, paragonandoli a delle chiese. A questo punto, una volta spogliati delle opere d’arte, i musei sono diventati per me delle grandi cattedrali vuote. Le cattedrali gotiche erano orientate verso est, per intercettare e celebrare il sorgere del sole. Al loro confronto, i musei sembrano cattedrali contemporanee che hanno perso il loro orientamento – come se la cultura non avesse più una direzione. Credo che i musei possano ancora cercare di essere cattedrali: sono tra i pochi luoghi in cui i cittadini possono celebrare il trovarsi, il raccoglimento, la concentrazione, la contemplazione, l’ascendere a qualcosa di più luminoso.

Art City e Fondazione Gajani, come ti senti per questa esperienza?

Ho visitato di recente la Fondazione Gajani che accoglie il visitatore dentro un’atmosfera avvolgente e ricca di stimoli. Mi sembra una bellissima e insolita opportunità espositiva, ideata da Sara Papini e Giuseppe Virelli.

L’esposizione a cui sono stata invitata mi pare che ben si concilia con il principio di Art City di coinvolgere un vasto pubblico e ampliare gli spazi espositivi nella città di Bologna. Principio che tra l’altro mi pare in linea con l’auspicio intrinseco nel mio progetto Blinding Plan di smuovere le istituzioni museali per farle diventare qualcosa di dinamico, interdisciplinare che propone un’arte inclusiva e un dialogo tra passato e presente con spazi inusuali della città.

 

 

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Dino Ignani 80’s Dark Rome

C’erano tutti all’inaugurazione della mostra 80’s Dark Rome di Dino Ignani al  Museo di Roma in Trastevere. Una moltitudine di persone che si cercavano e si riconoscevano nei ritratti scattati 40 anni fa da Ignani ai giovani della comunità dark di Roma. Tra le fotografie e il pubblico, tra passato e presente, filtrava un’aura di protagonismo, denso di ricordi e sorprese; le immagini e i loro osservatori sembravano rievocare la veste allegorica di una mitologia epocale che Ignani aveva definito nelle sue fotografie.

80’s Dark Rome è infatti l’esplorazione e il documento di un periodo specifico della cultura giovanile romana. Le immagini sono ritratti che si concentrano sull’estetica Dark nei primi anni Ottanta del secolo scorso, cioè sui “giovani-adulti che a Roma animavano i club della cosiddetta scena dark, un cuneo ottico nero non così univoco ma di un’inedita gamma di declinazioni estetiche e identitarie che rifluivano su altri mood e stili dell’epoca”, come scrive Matteo Di Castro nell’introduzione al libro dedicato alla mostra.

Il momento storico è molto significativo, segnato dalla disintegrazione delle militanze culturali e politiche del decennio precedente, e caratterizzato da un ripiegamento che si esprime con una sterzata sull’esteriorità, ribaltando l’ideologia in un mood narcisistico e alternativo. Emergono sottoculture come il goth e il post-punk che hanno influenzato profondamente il teatro, la poesia, la moda e in particolare la musica. I giovani Dark, in qualche misura reduci inconsapevoli degli anni di piombo, si caratterizzano per la prevalenza di un look basato sul colore nero negli abbigliamenti, negli accessori e negli atteggiamenti, spesso in differenti combinazioni che testimoniano forme di espressione individuale e di ribellione contro norme sociali ed estetiche codificate. I loro ritratti riflettono temi di introspezione, alienazione, e soprattutto una diffusa ricerca di appartenenza.

Dino Ignani tra il 1982 e il 1985 segue i gruppi Dark di cui è diventato amico nelle notti romane, nei locali e nelle discoteche e li fotografa sistematicamente, seguendo un metodo costante. Non li riprende mentre ballano o interagiscono tra loro ma in pose frontali, facendone gli interpreti iconici di derive collettive. Il suo è “un modo aperto per fotografare la scena del clubbing per cui si attraggono i protagonisti di un movimento, non per un processo selettivo ed esclusivo ma per volontà e spirito di partecipazione ad un immaginario, ad uno stile e a un desiderio comune” (Matteo Di Castro).

Nei locali Ignani si colloca in un angolo tranquillo con la sua attrezzatura fotografica, reflex sul cavalletto, inquadratura frontale, pellicola in bianco nero, set preferibilmente neutro, minimo margine lasciato allo sfondo, illuminazione continua con un faro da 1000 watt e ombrello, tempo di posa contenuto.  Uno scatto a testa e si creava la fila, erano tutti ben disposti a partecipare a questo “gioco”, racconta Dino.

Le foto vengono a formare una serie in cui si intersecano codici, stereotipi e individualità. I volti di ragazze e ragazzi Dark si atteggiano senza sorridere, abbigliati e truccati con cura, gli occhi fissi nell’obiettivo con uno sguardo penetrante che sembra condividere quello del fotografo che li ritrae. Sguardi diversi e simili che raccontano una dimensione autobiografica e culturale.

Creare un set fotografico nei locali e invitare i partecipanti di questa piccola e disincantata compagine a farsi riprendere non solo rende la fotografia un’esperienza interattiva, ma permette anche di catturare l’essenza e l’immediatezza delle emozioni tra percezione e identificazione. Perché la posa frontale non ha vie di fuga, si pone al di fuori della temporalità immediata e dell’improvvisazione dell’istantanea. È un metodo mentale, programmato; nella posa il soggetto attende lo scatto, certamente si atteggia, si maschera, ma soprattutto vuole che la sua immagine –  volto, look e corpo – siano fissati in quel modo e in quel momento, stabilendo una sorta di complicità con il fotografo.

Nella posa c’è una tensione concettuale che corrisponde perfettamente alla capacità della fotografia di modificare l’oggetto che riprende, interpretandolo ben oltre la semplice registrazione e ponendo la percezione sul confine di un’evidenza ineccepibile. E questo processo di elaborazione si configura nella fotografia di Dino Ignani come elemento di una serie che assume il senso di un’indagine su cosa sia ritratto, cosa significhi per il fotografo e per coloro che sono fotografati.

Non a caso Dino si è concentrato da sempre sul ritratto inteso come elemento di una complessa rete di relazioni nei tempi e negli spazi del vissuto, utilizzando la fotografia come strumento di analisi capace di filtrare fisionomie ed espressioni, ambienti e contesti; ha privilegiato soprattutto poeti e scrittori cui ha dedicato serie ormai famose e preziose come Intimi ritratti.

La mostra 80’s Dark Rome ha chiuso il 12 gennaio 2025: rimane il libro Dino Ignani, Dak Roma 1982-1985, a cura di Matteo Di Castro con Elena Marasca, testi di Matteo Di Castro, Daniela Amenta, Diego Mormorio, Viaindustriae Publishing 2024. E soprattutto rimane la capacità creativa di Dino Ignani che continua ad arricchire il suo archivio accentuando il procedimento performativo di tutto il progetto, attraverso l’inserimento nella dimensione social; ha fotografato giorno per giorno con il cellulare i visitatori della sua mostra e ha inserito le immagini sul profilo facebook   80’s Dark Portraits by Dino Ignani.

Con la leggerezza di un’accoglienza personale e amichevole sta così realizzando un’altra serie, i Visitors; è un’ulteriore versione del significato simbolico del ritratto e del suo rapporto con i volti, le facce, la postura e l’abbigliamento, la circostanza e il contesto (va ricordato in proposito anche il progetto iniziato con Vernissage alla Biennale di Venezia 2003). Nei Visitors viene a formarsi con apparente facilità e naturalezza un dialogo tra il fotografo, gli spazi e le immagini della sua mostra e quel tipo di persona che è chi va a vedere una mostra. E in particolare questa mostra 80’s Dark Rome.

Il set fotografico è ora la mostra stessa, con la dinamicità del percorso e delle percezioni; il ritmo della serie è diverso, con una intenzionalità meno circoscritta, con incontri differenziati e maggiore spazio alla contingenza. Ci sono gruppi e persone ripresi a sorpresa in qualche istantanea mentre osservano le foto; ma nella maggioranza gli scatti sono frontali, gli sfondi sono scelti dai visitatori stessi, ancora una volta in posa ma con un look casual e per lo più sorridenti con quel sorriso un po’ divertito e un po’ così che si piazza sul viso quando siamo fotografati. Ci sono giovani e meno giovani, amici, artisti, altri fotografi. Immagini che compongono un’altra mostra nella mostra e intessono uno splendido dialogo con le foto dei Dark. E ci sono anche alcune ragazze che spavaldamente ripropongono i dark di una volta con un look perfettamente impostato ma aggiornato sull’outfit fluo e techno del ventunesimo secolo. Altri sguardi dunque, volti, personaggi e contesti che continuano nei Visitors il corto circuito tra immagine, invenzione, percezione, identificazione e metafora che caratterizza il fare ritratti di Dino Ignani. Mentre il visibile fotografico si anima e a risuona nelle interconnessioni del social.

Dino Ignani 80’s Dark Rome, a cura di Matteo Di Castro, Museo di Roma in Trastevere, mostra promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

Dino Ignani, Dak Roma 1982-1985, cat. mostra (Museo di Roma Intrastevere 11.09.2024 – 25.01.2025), a cura di Dino Ignani (artista) e Matteo Di Castro (Curatore), Viaindustriae editore, 2024

 

 

 

 

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Intervista | REPLICA (Pt2)

Prosegue la conversazione tra Elena Barison con Lisa Andreani e Simona Squadrito, fondatrici di REPLICA, Archivio italiano del libro d’artista, archivio italiano del libro d’artista, affrontando il tema dell’archivio e delle pubblicazioni esoeditoriali attraverso formati molteplici, sul piano curatoriale ed editoriale, mettendo in discussione le loro definizioni e modalità di presentazione.

Elena Barison: Partendo dal concetto che fare archivio possa essere letto come una metodologia artistica, avete mai riflettuto se REPLICA, nel suo modo di produrre un archivio di libri d’artista, possa assumere anche la dimensione di pratica artistica?

Nel nostro caso non abbiamo mai sentito il bisogno di sviluppare una pratica che vada oltre il curatoriale o la mera ricerca, ma sicuramente, più in generale, siamo state attratte dall’archivio d’artista quale materia interessante da esplorare e da cui trarre ispirazione per nuove forme di progettualità. In particolare, le modalità con cui gli artisti creano le regole del proprio archivio o come si approcciano ai materiali editoriali e cartacei si trova in parte esaminata all’interno di alcune interviste della rubrica Archive Actualized come quella sull’Archivio di Chiara Fumai realizzata con FUR, ma anche quella rivolta all’Associazione Culturale Alberto Grifi. Le biblioteche degli artisti, il loro modo di ordinare scatoloni, seguendo un’identificazione che segue i nomi degli amici e più stretti collaboratori, ci ha portato a leggere questi spazi anche come archivi di relazioni.

Nel 2021 avete preso parte a Iniziative di ii. Le giornate di Iniziative sono state la prima occasione per fuoriuscire dal contesto museale e artistico, per intervenire attivamente nello spazio urbano e tra le persone. In che modo avete presentato REPLICA al pubblico?

L’azione di REPLICA durante il festival si è diffusa a macchia d’olio tra i partecipanti, sviluppandosi durante tutti i giorni delle iniziative. Accompagnando di volta in volta tutte le performance che costituivano il programma, al pubblico è stata consegnata la nostra edizione dal titolo Il biglietto che esplode, composta da dieci buste ognuna contenente un estratto di un capitolo dell’omonimo romanzo di William Burroughs. Attraverso il metodo del cut-up, le parole dello scrittore erano rivisitate e ogni busta era stata riempita di piccoli esplosivi. Il pubblico poteva liberamente conservarle e ottenere al termine dei dieci giorni di festival l’edizione completa oppure aprirle e rendere più movimentata l’atmosfera attraverso lo scoppiettio dei petardi.

Nel 2022 avete presentato ad ArtVerona, Un Tulipano Rosso. Antigruppo siciliano, e nel 2023 avete vinto il premio dell’Italian Council con il progetto Antigruppo siciliano: uno studio translocal. Come è nato l’interesse per l’Antigruppo?

Eravamo in vacanza insieme in Sicilia quando Lisa ha introdotto l’argomento dell’Antigruppo siciliano, che aveva scoperto da poco. Ci siamo subito appassionate a questo allora sconosciuto movimento poetico, ne abbiamo riconosciuto il valore, anche quello legato al suo oblio: l’Antigruppo non è ricordato nemmeno in Sicilia ed è stato cancellato dalla memoria storica italiana, mentre paradossalmente è più riconosciuto negli Stati Uniti. Il progetto è nato con una certa spontaneità, ma ora vorremmo realizzare una mostra articolata che integri tutte le nostre varie pratiche: il libro, il manifesto, la performance e il reading.

Fin dai primi mesi di ricerca abbiamo individuato i temi fondamentali dell’Antigruppo:  l’unione di parola poetica e azione politica militante (Poesis e Praxis), la parola poetica unita all’azione politica, vissuta nella strada, in piazza, come un libro aperto a diversi contesti; la dimensione transnazionale, che si manifesta sia nel legame con gli Stati Uniti, grazie alla presenza di un esponente americano, sia nel rapporto con il Mediterraneo – quest’ultimo aspetto lo stiamo approfondendo particolarmente in relazione alla censura di Un popolo è un popolo di Rolando Certa, una poesia che esprimeva la vicinanza di uno dei fondatori dell’Antigruppo al popolo palestinese; e infine l’editoria alternativa in opposizione a quella ufficiale dei poteri forti, da loro nominata establishment culturale.

Dal momento in cui avete avviato le ricerche sull’Antigruppo siciliano, l’argomento ha in qualche modo influenzato il vostro approccio e metodologia? In un certo senso vi state impegnando nel portare avanti con REPLICA la guerriglia urbana e sociale dell’Antigruppo per provocare un cambiamento o anche solo per promuovere la pace?

La ricerca sull’Antigruppo ha sicuramente lasciato dei segni importanti in quella che è la ricerca più in generale di REPLICA. Anche se non ne abbiamo mai parlato, sentiamo un bisogno forte di una dimensione di comunità e di condivisione. È come se ci fossimo allontanate in maniera naturale da una serie di produzioni che potevano avere un mero risultato stilistico e grafico, come se si fosse implementato uno sguardo e un’idea di attivazione della nostra ricerca, di questi oggetti, attraverso il coinvolgimento degli altri.

Abbiamo presentato i progetti dell’Antigruppo con eventi di natura collettiva e collegiale, attraverso dei reading, in cui si ascoltava l’altro, donandosi e concedendo qualcosa di più forte e di tangibile nella comunità di persone. Rispetto alle presentazioni fatte si è innescato un interessamento che non ci aspettavamo, anche quando siamo andate a presentare la ricerca a Helsinki nel contesto del festival Islands & Seas, New Spring Garden e in collaborazione con PUBLICS (30 maggio 2024), c’erano molte persone interessate a visionare i materiali, sensibilizzate dal racconto e dall’idea che comunque negli anni Settanta esistessero incontri tra i popoli del Mediterraneo. Il lavoro svolto dall’Antigruppo andrebbe ripensato come reenactment per parlare di questioni attuali e di problematiche che continuano a persistere.

Dopo il reading a Monbijoupark (Berlino, 24 luglio 2024) – organizzato a seguito della richiesta di censura di una delle poesie dell’Antigruppo da parte dell’Archivio Conz, uno dei partner culturali che inizialmente ci aveva sostenuto nel bando Italian Council – abbiamo sentito la necessità di cercare altri alleati, altre persone, di uscire dai posti degli addetti alla cultura e di andare nei luoghi pubblici, con la gente disattenta e impreparata.

Un altro momento importante per noi è stato il secondo reading, Una Freccia Contro il Carro Armato (22 settembre 2024), fatto a Casa Cicca Museum (Milano) con tutti i crismi e le persone erano davvero coinvolte. È stato emozionante.

La natura sfuggente del libro d’artista ci ha portato a esplorare molteplici modalità per condividerlo con il pubblico. Il nostro progetto si sviluppa su più livelli: archivia e colleziona, agisce come dispositivo di ricerca, utilizza linguaggi sempre diversi, mantenendo un approccio stimolante. Un libro può generare una serie di azioni molto diverse tra loro, funzionando come un sistema reticolare.

Dall’Antigruppo siciliano abbiamo appreso come sviluppare un progetto di ricerca solido. Il nostro approccio segue una filosofia rizomatica, che trae forza proprio dalle nostre profonde differenze personali.

REPLICA
See also:
 Interview (Pt1), Arshake, 17.01.2025

 

immagini: (Cover 1) REPLICA, Il biglietto che esplode – Iniziative di ii, a cura di Lisa Andreani, Maziar Firouzi, Francesca Pionati and Tommaso Arnaldi, Roma 08.05 – 19.05.2021, courtesy gli autori (fig. 2) Installation view, Un Tulipano Rosso. Antigruppo siciliano, a cura di REPLICA e Viaraffineria, intervento di Giuseppe De Mattia, ArtVerona 2022, credits Matteo De Nando (fig. 3) Antigruppo siciliano: uno studio translocal, pubblicazione indipendente realizzata con il supporto di Italian Council (XII Edizione, 2023), a cura di REPLICA (Lisa Andreani e Simona Squadrito), 2024. Design: Miriam Sannino e Valerio Di Lucente; (fig. 4) Una Freccia Contro il Carro Armato, reading di poesie dell’Antigruppo Siciliano, a cura di REPLICA (Lisa Andreani e Simona Squadrito), Emma Rose Hodne, Floriana Grasso, Carola Provenzano e Giulia Currà, Casa Cicca Museum, Milano, Settembre 2024 (fig. 5) ARROW AGAINST THE TANK, reading a cura di REPLICA (Lisa Andreani e Simona Squadrito) e CROSSLUCID, Monbijoupark, Berlino, Luglio 2024.

 

 

 

 

 

 

 

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FRAME > Rubber Pencil Devil

FRAME cattura Rubber Pencil Devil, la serie finale di cinquantasette video installata all’interno di una casa luminosa costruita con luci al neon colorate, ispirata al tempo trascorso da Da Corte a disegnare in una tavola calda durante la scuola d’arte.  Le immagini di Da Corte sono abbinate alle parole del video di Bob Dylan “Subterranean Homesick Blues” del 1965 e l’artista si chiede: “Cinquant’anni dopo, forse questo è un momento simile, che ha bisogno di una conversazione empatica e forse se uso le parole [di Dylan] e le abbino alle mie immagini, potrei dare un senso all’America”. (via)

Alex Da Corte, Rubber Pencil Devil, 2018, immagine via
realizzato per la 57a mostra internazionale Carnegie, organizzata da Ingrid Schaffner, ottobre 2018

 

 

 

 

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Intervista | REPLICA (Pt1)

Lisa Andreani, attualmente dottoranda allo IUAV di Venezia con un progetto sulla mediazione culturale, e Simona Squadrito, co-fondatrice di Kabul Magazine e docente allo IED di Milano, raccontano, in dialogo con Elena Barison, del progetto REPLICA da loro fondato come archivio italiano del libro d’artista, affrontando il tema dell’archivio e delle pubblicazioni esoeditoriali attraverso formati molteplici, sul piano curatoriale ed editoriale, mettendo in discussione le loro definizioni e modalità di presentazione.

Elena Barison: Ciao ragazze, potete introdurre ai lettori di Arshake il progetto REPLICA, come è nato e qual è stata la sua genesi?

In un primo momento, Simona aveva aperto un piccolo corner dedicato ai libri d’artista presso la Libreria Utopia di Milano, ma gestire da sola il progetto, già di per sé molto articolato, risultava difficile. Ci siamo incontrate quasi sette anni fa e, condividendo interessi comuni, abbiamo dato vita a REPLICA nel 2019, un progetto di ricerca e curatoriale dedicato ai libri d’artista.

La decisione di creare un archivio italiano del libro d’artista è nata dalla consapevolezza che in Italia mancava una realtà di questo tipo, soprattutto con uno sguardo verso la contemporaneità. Nel primo anno, attraverso due open call, abbiamo iniziato a raccogliere libri di artisti, designer, performer, mantenendo un approccio flessibile alla collezione, che ora si espande grazie a donazioni spontanee e acquisizioni. È interessante notare come, alla luce del fatto che sia difficile definire cosa sia esattamente un libro d’artista, riceviamo volumi molto diversi tra loro.

Negli ultimi anni il percorso di REPLICA ha assunto direzioni specifiche: abbiamo sviluppato un’attenzione particolare per gli anni Settanta e Ottanta, raccogliendo pezzi storici, e dal 2023 ci stiamo dedicato principalmente alle ricerche sull’Antigruppo siciliano, tema sul quale abbiamo vinto la dodicesima edizione dell’Italian Council. A breve uscirà il primo libro realizzato grazie ai fondi del premio, mentre a febbraio consegneremo a Postmedia Books la bozza per un volume teorico sull’Antigruppo, che conterrà tutta la storia della nostra ricerca.

Rispetto alla gestione dell’archivio, per un periodo la collezione era ospitata a Villa Vertua Masolo a Nova Milanese, dove avevamo realizzato dei display specifici, lavorando e riflettendo sul concetto di esposizione del libro. Con la chiusura della Villa, dovuta prima al Covid, poi a un restauro e infine alla conclusione del mandato di Simona come direttrice, abbiamo iniziato a sviluppare l’idea di un archivio nomade. Presso lo Spazio Volta di Bergamo e alla Scuola indipendente per le arti visive e gli studi curatoriali di Lecce, PIA, abbiamo inviato in occasione del festival Langue&Parole delle scatole di libri, selezionati in base ai temi degli incontri o dei progetti, come ad esempio il viaggio o gli studi bibliografici italiani. La collaborazione con PIA è stata particolarmente interessante perché prevedeva non solo un momento di attivazione performativa dei volumi da parte degli studenti, ma offriva anche alla scuola la possibilità di utilizzare il materiale fornito da noi.

Nel 2023 abbiamo tenuto insieme il corso di scrittura creativa dell’Accademia di Belle Arti di Siracusa, un’esperienza che ha rappresentato un importante lavoro sull’archivio: attraverso i laboratori annuali proposti agli studenti emergono nuove riflessioni e progetti, partendo dalla loro analisi del materiale di REPLICA.

Durante l’ideazione dei vari progetti curatoriali, quali sono state le sfide principali che vi hanno posto di fronte i materiali esoeditoriali? Secondo voi ci sono state delle occasioni espositive nelle quali è particolarmente riuscita la restituzione della ricerca sul libro d’artista?

All’inizio, insieme al tema dell’archiviazione, ci siamo interrogate sulle modalità espositive dei manufatti, che per loro natura permettono una vastità di forme ed esperienze, ma non volevamo creare un effetto vetrina che fossilizzasse l’oggetto e la sua essenza democratica. Non abbiamo trovato una risposta definitiva, anche in materia di salvaguardia, quindi abbiamo sempre affiancato il lavoro curatoriale a quello editoriale (attraverso ATPreplica e la rubrica per NERO Editions).

Con la mostra Multipli e unici a Edicola Radetzky a Milano nel 2019 abbiamo presentato il paradigma forse più immediato per raccontare il libro d’artista: come pezzo unico o nella sua dimensione moltiplicata. Il display, realizzato da Nicola Melinelli, permetteva di esporre gli oggetti aperti, con parti in tessuto che formavano delle amache, e abbiamo presentato delle compilation musicali di Davide Bertocchi, così come una performance su un libro realizzato da Valerio Veneruso.

Sul tema dei multipli abbiamo anche inaugurato nel 2023, la sezione Multipli ad Arte Fiera Bologna, che ci ha offerto una nuova occasione per riflettere sull’oggetto e sul termine, per esplorarne la dimensione e comprendere come il libro d’artista crea opere-narrativo-performative e sfugga a definizioni univoche, essendo soggetto a una certa problematicità e ambiguità.

A Bologna, pur non essendosi creato il contesto per dare forma a un display radicale, il processo di inclusione ed esclusione si è rivelato altrettanto interessante.

Una delle mostre più significative per le riflessioni generate è stata Spoken Narrative a Villa Vertua Masolo nel 2020, dove abbiamo collaborato con Francesco Pedraglio, che oltre a gestire una casa editrice di pubblicazioni legate alla narrativa e alla fiction, crea opere-libro e opere performative. L’allestimento della mostra prevedeva drappi di tessuto appesi che creavano tavoli immaginari con mensole e oggetti, come elementi da leggere e attivare. Quando il collezionista di uno dei libri esposti ci ha richiesto una teca protettiva, abbiamo proposto di realizzare un libretto a supporto della lettura ulteriore dei libri e dei materiali presenti entro le teche, quasi restituendo una voce ai loro autori. Il libro in quella sede è diventato un luogo, in cui si sono attivate comunità di voci diverse.

Con il progetto Archive Actualized, prima editoriale sulla piattaforma NERO e poi espositivo, è stato possibile aprire nuovi quesiti. La rubrica iniziale è nata nel 2022 dall’idea di mappare i luoghi in cui i libri d’artista sono conservati. Per farlo abbiamo raccolto una serie di interviste: alla Fondazione Baruchello, al collezionista Giuseppe Garrera, ai collezionisti di P420 e all’Archivio di Alberto Grifi, grazie alle quali abbiamo investigato le singole metodologie di archiviazione e di lettura di cosa sia il libro d’artista o il libro oggetto. Il progetto è stato poi presentato a Spazio Mensa a Roma, in dialogo con il designer Valerio Di Lucente e Studio Julia. Con un allestimento molto semplice, costituito da materassini in gommapiuma sui quali poggiavano dei fogli con l’introduzione di Archive Actualized e da del nastro adesivo blu con cui abbiamo creato una grande griglia, in contrasto con il colore giallo della stanza. Con dei chiodi abbiamo appeso degli estratti delle interviste su fogli A4, insieme ai contatti e agli indirizzi degli archivi per invitare il pubblico a visitarli. In quel caso abbiamo presentato anche una sorta di anticipazione dell’intervista all’Archivio di Alberto Grifi esponendo un film del regista romano.

Un esperimento che ricordiamo con grande affetto è anche quello con Franco Ariaudo, una lecture performance di Sportification, in cui l’artista ha ideato una modalità ulteriore di presentare il progetto libro. Oppure, la mostra con Giuseppe De Mattia a Spazio Chiosi a Lugano, nel 2021, in cui abbiamo ideato Fogliaccio, un lavoro che parla di archivio e di schedatura archivistica della casa editrice Tasso, includendo l’esistente e l’inesistente. È come se nel riflettere su tutte queste forme del mostrare e del parlare, l’oggetto richiamasse una dimensione altrettanto libresca per essere esperito.

… to be continued…

Lisa Andreani è attualmente dottoranda allo IUAV di Venezia con un progetto sulla mediazione culturale. Nel corso degli anni pregressi ha partecipato alla realizzazione di progetti molteplici, all’interno di istituzioni come il MACRO e il MAXXI di Roma, co-curando più recentemente :After. Festival diffuso di Architettura in Sicilia (22-29 aprile 2023).
Simona Squadrito è co-fondatrice di Kabul Magazine e docente allo IED di Milano, dove insegna un corso su Pasolini e su Arte e intelligenza artificiale, mentre all’Accademia di Belle Arti di Siracusa MADE PROGRAM insegna fenomenologia dell’arte, estetica e scrittura creativa.

immagini: (Cover 1) Team REPLICA: Lisa Andreani e Simona Squadrito (2) Installation view, REPLICA. Archivio Italiano del libro d’artista, display a cura di Parasite 2.0 e Furlani-Gobbi, Villa Vertua Masolo 2019, credits di Martina de Rosa (3) Multipli e unici, a cura di REPLICA, display a cura di Nicola Melinelli, Edicola Radetzky, Milano 2019, credits Martina De Rosa (fig. 4) Installation view, Un foglio è un foglio ma piegato enne volta diventa un libro d’artista, a cura di REPLICA, Spazio Choisi, Lugano 2021, courtesy Libri Tasso (5) Installation view, Archive Actualized, a cura di REPLICA, display a cura di Studio Julia, Spazio Mensa, Roma 2022, credits Giorgio Benni.

 

 

 

 

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Carlo Zanni alla Banquet Gallery

“Mi sentivo diviso, schizofrenico. La guerra, ciò che
stava accadendo in America, la brutalità del mondo.
Che tipo di uomo sono, seduto a casa, a leggere
riviste, andando su tutte le furie per qualsiasi
cosa—e poi andare in studio a sfumare un rosso su
un blu.”
(Philip Guston, circa 1968)

 Banquet Gallery a Milano ospita DAN, personale di Carlo Zanni con opere recenti ed inedite, che includono dipinti, sculture e una performance digitale su Internet, tutte incentrate sulle intersezioni tra consumismo, ansia, emoji e identità, sullo sfondo di una guerra perpetua.

La serie Check-Out Paintings esplora il limbo psicologico dell’esperienza d’acquisto, catturando le emozioni fugaci e compulsive che l’eCommerce genera come forma di interazione con il mondo. Questi dipinti astratti evocano una riflessione contemplativa sull’ansia, il desiderio e la consapevolezza delle nostre azioni mentre prenotiamo, mettiamo like, scorriamo, spediamo, zoomiamo o restituiamo un oggetto. I Check-Out Paintings mettono in relazione la cultura digitale con una pratica artistica tradizionale, richiamandosi alle esplorazioni del tempo di On Kawara e alla sensibilità minimalista di Agnes Martin. Con una palette di colori delicati e l’inclusione di elementi visivi come emoji ed emoticon giapponesi utilizzati come clickbait, questi dipinti invitano lo spettatore a un’esperienza più intima, rivelando, infine, contenuti inaspettati.

Al piano inferiore, in un ambiente poco illuminato, è esposta per la prima volta la serie DAN: sculture in MDF incise al laser con i loghi di Amazon distorti e storpiati. Alterazioni generate dall’utilizzo di una versione preliminare ed imperfetta di DALL-E, un software di Intelligenza Artificiale per la generazione di immagini basate su input testuali – ora integrato in ChatGPT.

DAN è l’acronimo di “Do Anything Now”, un comando che un tempo permetteva agli utenti di hackerare ChatGPT, aggirando le sue protezioni etiche e morali. Queste sculture minimaliste, in penombra, invitano gli spettatori a impegnarsi in un processo simbolico di unboxing e di autoriflessione. Man mano che la vista si adatta alla scarsa illuminazione, delle forme nascoste iniziano gradualmente ad emergere.

A completamento della mostra è la performance online My Shameful Sweet Spot Between Distress and Hilarity, un’opera digitale, live e in continua evoluzione che esplora il fragile equilibrio tra bellezza, umorismo e assurdità delle nostre vite. Mediante un bot che interroga un sito web di moda con le ultime notizie di Al Jazeera, l’opera trasforma la cultura del consumo in una meditazione dinamica sui desideri e le vulnerabilità umane. Ciò richiama il concetto di Slavoj Žižek di “Unknown Knowns” (Cose Conosciute Sconosciute) – quelle credenze, valori e ideologie che esistono al di sotto della nostra consapevolezza e hanno un impatto determinante sul modo in cui percepiamo il mondo e agiamo in esso.

Le opere in mostra fondono tecnologia, commento sociale e tecniche tradizionali in uno stato liminale che evoca una sensazione di instabilità e trasformazione continua; elementi tipici della ricerca dell’artista.

(dal comunicato stampa)

Carlo Zanni. DAN, Banquet Gallery, Milano, 12.12.2024 – 01.03.2025
Carlo Zanni (La Spezia, 1975) è un artista concettuale la cui ricerca, sin dagli esordi, trova esiti coerenti mediante l’utilizzo di pratiche molto distanti, come la pittura e l’arte digitale. È stato pioniere nell’uso di dati di terze parti prelevati da Internet e da oltre vent’anni esplora lo spazio pubblico del web con opere effimere che combinano una forte sensibilità sociale con un’attenzione particolare alla privacy, all’identità e all’individuo.
Come pittore, focalizza la sua attenzione su un nuovo tipo di “paesaggio politico condiviso” emerso con Internet, che continua a trasformare le dinamiche umane. In un’epoca in cui le piattaforme di eCommerce dominano le nostre vite, Zanni rielabora questi ambienti familiari come vettori per sollevare questioni sociali e politiche urgenti. Zanni ha esposto in gallerie e musei di tutto il mondo, tra cui: National Taiwan Museum of Fine Arts, Taiwan; Arts Santa Mònica, Barcellona; Hammer Museum, Los Angeles; Marsèlleria, Milano; Tent, Rotterdam; MAXXI, Roma; MoMA PS1, New York; Borusan Center, Istanbul; PERFORMA 09, New York e ICA, Londra. È autore del libro “Art in the Age of the Cloud” in ristampa presso Magütt Publishing, e di recente è stato invitato a presentare la sua ricerca alla 10ª edizione di “Talking Galleries” a Barcellona. Il suo lavoro appare in più di 50 libri e cataloghi, oltre che in centinaia di articoli e interviste online. La sua prima monografia è in uscita per Printer Fault Press nel 2025.
immagini: (tutte) Carlo Zanni. DAN, Banquet Gallery, Milano

 

 

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FRAME > ARC 2000

FRAME cattura Arc 2000 di Simon Beck, una di una sua serie di trasformazioni di paesaggi innevati e sabbiosi  in opere geometriche monumentali, combinazione di precisione matematica e natura, realizzati camminando lungo i laghi ghiacciati della Savoia.

 Simon Beck, Arc 2000, immagine via

 

 

 

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