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VIDEO POST > What does A.I. think about me?
VIDEO POST rilancia What Does AI Thinks About Me?, video saggio relativo all’installazione realizzata da mots per indagare comportamento e pregiudizi dell’intelligenza artificiale mentre osserva gli esseri umani. L’installazione è stata recentemente esposta al Sónar+D, piattaforma per la collaborazione, la sperimentazione e l’esplorazione delle ultime tendenze della cultura digitale, collegata al Sonar, uno dei festival più popolari che ogni anno si svolge a Barcellona coinvolgendo vari luoghi della città.
mots, What Does AI Thinks About Me?, video essay related to the installation ‘AI & Me’
film di mots | Produzione: mots, Zauberberg Productions | Camera: Octavian Mot, Daniela Nedovescu, Imran Latif, Michal Cajzer | L’installazione AI & Me’ è stata presentata al Sónar+D nel giugno 2024
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The New Atlas of Digital Art
Per il quinto anno consecutivo, il MEET Digital Culture Center di Milano riflette sugli scenari della creatività digitale con professionisti e artisti di spicco internazionale. L’obiettivo è quello di mettere in luce il potenziale delle sperimentazioni creative immersive come possibile driver di innovazione culturale, sociale, economica.
Come le realtà parallele create dal digitale possono convivere con le realtà in essere? Oltre le frontiere della Realtà Virtuale, proveremo ad immergerci in un’immersività sempre più diffusa e pervasiva, che crea commistioni sottili tra reale e virtuale: dall’Augmented Reality all’Extended Reality e Mixed Rality, incluse le potenzialità creative dell’Intelligenza Artificiale.
L’Atlas aprirà una serie di riflessioni per inquadrare il tema da tutte le sue sfaccettature e condividere con esperti, professionisti e con il pubblico, opportunità e futuri possibili.
La mappa disegnerà confini e frontiere delle esperienze immersive, i linguaggi e le correnti espressive che stanno disegnando nuovi modi per fare cultura, i luoghi e i protagonisti dell’immersività, i format e le modalità di coinvolgimento del pubblico con incontri eventi.
The New Atlas of Digital Art | Immersive Realities, MEET Digital Culture Center, Milano, 20-21.06.2024
Consultate qui il sito per il programma aggiornato degli eventi e registratevi (gratuitamente) qui su Evenbrite.
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Harold Cohen: AARON
Con una mostra a cura di Christiane Paul, il Whitney Museum of American Art ripercorre l’evoluzione di AARON, il primo programma di intelligenza artificiale sviluppato nei tardi anni ’60 da Harold Cohen per accompagnarlo creativamente nella sua pratica pittorica, adottato a collaboratore per stimolare conoscenza sperimentazione. I lavori sono attentamente selezionati e tracciano in maniera scientifica i momenti chiave di questo dialogo uomo-macchina. L’approccio curatoriale è cronologico e permette di attraversare il passaggio da analogico a digitale, la transizione da astrazione a figurazione, a metà degli anni ’80, e tutto ciò che questi passaggi ha comportato in termini tecnici e concettuali.
Il Whitney Museum è l’unico museo a possedere nella sua collezione versioni del software AARON che tracciano i diversi periodi di sviluppo di questo progetto e permettono quindi di ritracciare le diverse fasi di evoluzione del software e di questo dialogo cresciuto con una certa gradualità.
Harold Cohen ha stabilito con il software un vero e proprio dialogo. Ha iniziato con il fornirgli regole e conoscenze per quello che riguarda i principi base di colore, forma, composizione e dimensione, fondamenti che appartengono alla sua formazione di pittore. Il loro dialogo è cresciuto, con una certa gradualità. Da un primo ragionamento su disegno e colore attraverso delle regole formulate per vie analogiche avviato negli anni ’60 si è arrivati ai primi anni ’70, quando si presenta l’occasione e il giusto contesto per sviluppare il software AARON alla Stanford University’s Artificial Intelligence Lab.
Da questo momento in poi, percorso è proseguito per fasi, ciascuna un tentativo (sempre riuscito, a volte anche troppo) di spingere oltre i limiti dell’intelligenza artificiale. Ad un certo punto, Cohen si rende conto che la macchina è in grado di fare cose che prima non immaginava possibili. Quando impara a colorare i disegni, prima completati a mano dall’artista, arriva ad un momento di crisi. Non è la mancanza di cose da fare, piuttosto l’arenarsi della collaborazione tra uomo e macchina. “I felt that my dialogue with the program, the very root of our creativity, had been abruptly terminated”, racconta in una conferenza del 2010 all’ Orcas Center.
Ecco perché centrale nella mostra al Whitney è la macchina riportata in vita per fare entrare i visitatori, anche online in streaming sul sito in alcune ore del giorno, nel processo di esecuzione delle opere. Il software “as a central creative force behind the artwork”. Non solo. In mostra anche tutta una serie di ephemera, come quaderni di appunti e disegni personali che fanno parte del momento di progettazione e di riflessione.
Oltre a celebrare un artista riconosciuto come pioniere dell’arte digitale, la mostra entra nel vivo di questo dialogo uomo-macchina, penetra i meccanismi del processo scandendo le tappe, aiuta a riflettere sul nostro rapporto con le moderne tecnologie di intelligenza artificiale con i programmi più recenti come DALL-E, Midjourney e Stable Diffusion.
“Harold Cohen’s AARON has iconic status in digital art history, but the recent rise of AI artmaking tools has made it even more relevant. Cohen’s software provides us with a different perspective on image making with AI,” dice Christiane Paul, Curator of Digital Art at the Whitney. “What makes AARON so remarkable is that Cohen tried to encode the artistic process and sensibility itself, creating an AI with knowledge of the world that tries to represent it in ever-new freehand line drawings and paintings. Watching AARON’s creations drawn live as they were half a century ago will be a unique experience for viewers.”
In questi ultimi anni, in particolare in coincidenza con la crisi pandemica e lo spostamento di interessi economici e culturali online, alcuni termini come arte digitale sono stati particolarmente inflazionati, confusi con strumenti digitali come i certificati NFts, o con progetti di grafica e design. Questo ha significato oscurare buona parte di quelle sperimentazioni che hanno scritto la storia della ricerca in questi ambiti per più di vent’anni.
Queste operazioni che attraverso le mostre facilitano conoscenza e consapevolezza sono particolarmente importanti. In parallelo al Whitney, si è mossa anche la Galleria londinese Gazelli Art House, proponendo, con la mostra “Refractoring (1966-74)”, una selezione molto accurata di lavori di Cohen che hanno tracciato momenti chiave della transizione tra il 1966 e il 1974, momento nodale del suo lavoro ma anche inizio di diffusione delle tecnologie nella società. Tra i lavori, anche Sentinel esposto alla Biennale di Venezia nel 1966, quando è stato invitato a rappresentare il Padiglione Inglese, momento di grande riconoscimento internazionale che non arresta la sua spinta creativa “that arises when the individual starts to question the unquestioned assumptions of his field and to act out of the scenarios that present themselves as a result”.
Alla riflessione pura sul rapporto uomo-macchina le mostre restituiscono parte di questa storia, la rendono comprensibile avvicinando i visitatori al processo nella sua vitalità. Gli incontri, alcuni disponibili online sul sito del Whitney, i documenti prodotti e il catalogo con contributi dei più importanti studiosi che il 9 maggio è stato presentato alla Gazelli Art House, seguiranno la fine delle mostre. Tutto questo ci fa riflettere anche sulla curatela delle mostre, quando tra gli obiettivi c’è anche quello di garantire che i contenuti siano resi disponibili e accessibili ai visitatori, rispettivamente nella misura di un museo e di una galleria.
Harold Cohen, AARON, a cura di Christiane Paul, Whitney Museum of American Art, fino al 19 maggio 2024
Immagini: (cover 1-2) panoramica d’installazione di Harold Cohen: AARON, Whitney Museum of American Art, New York, 3 febbraio –19 maggio, 2024 (3) Harold Cohen, AARON KCAT, 2001 (4) panoramica d’installazione di Harold Cohen: AARON, Whitney Museum of American Art, New York, 3 febbraio –19 maggio, 2024 (5) Harold Cohen, AARON Gijon, 2001 (6) Panoramica di installazione di Harold Cohen, Refactoring (1966-74), Gazelli Art House, Londra (8 marzo–11 maggio 2024). Courtesy Gazelli Art House, Londra.
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19th Conference on Computer Science and Intelligence Systems
13th International Conference on Artificial Intelligence in Music, Sound, Art and Design (EvoMUSART)
Shu Lea Cheang. Premio LG Guggenheim 2024
Il Museo Solomon R. Guggenheim e LG destina a Shu Lea Cheang il Premio LG Guggenheim 2024. La pioniera della Net art, la cui pratica interdisciplinare si estende per oltre trent’anni, è la seconda premiata nell’ambito della LG Guggenheim Art and Technology Initiative, collaborazione quinquennale tra l’istituzione Newyorkese e LG, innovatore tecnologico e leader globale nei settori dell’elettronica di consumo, dei prodotti chimici e dei componenti automobilistici, per sostenere e promuovere gli artisti che lavorano all’intersezione tra arte e tecnologia.
“Shu Lea Cheang è stata una delle prime a riconoscere il potenziale liberatorio del regno digitale. Celebriamo le sue audaci esplorazioni dei corpi, e dei loro desideri, nei nostri mondi digitali e analogici, e siamo entusiasti, insieme a LG, di riconoscere il suo necessario lavoro”, affermano la vice direttrice Naomi Beckwith, e Jennifer e David Stockman, Chief Curator del Guggenheim.
Dagli anni Novanta si è occupata di tecnologie emergenti (spesso fin dalla loro nascita) come strumento, come tema ed in innumerevoli forme, sviluppando una notevole comprensione della loro complessità e del loro ruolo nel plasmare la società. L’uso del codice, dei motori di gioco, del design del software, delle strategie di hacking e di mezzi tradizionali come installazioni, film e performance nei suoi progetti multiformi riflette il suo approccio unico al fare arte, fuori da ogni categoria prestabilita.
Oltre al suo lavoro pionieristico nella Net art, ha avuto una visione anticipata delle valute alternative e delle organizzazioni decentralizzate con Garlic=Rich Air (2002-), ha indagato le società gamificate con Bowling Alley (1995), ha sondato le biotecnologie in Locker Baby Project (2001-2012) e ha esplorato la loro natura mutevole in Mycelium Network Society (2017-).
Il suo lavoro è profondamente radicato nei suoi interessi per la fantascienza, l’estetica queer e la costruzione di comunità. Le sue esplorazioni delle strutture sociali nelle società in rete hanno fatto progredire la comprensione della circolazione delle informazioni e dei modi in cui le persone comunicano. Ha utilizzato strumenti di comunicazione analogici in Those Fluttering Objects of Desire (199293), sensori di movimento e sistemi di gestione dei dati in BabyPlay (2001), per sviluppare un approccio tecnologico alternativo basato sulla produzione condivisa. È anche un’affermata regista e ha prodotto e diretto quattro lungometraggi: Fresh Kill (1994), I.K.U. (2000), Fluidø (2017) e UKI (2023). L’installazione di Cheang, Utter (2023), è un esempio di come negli ultimi anni abbia rivolto la sua attenzione alle implicazioni sociali dell’apprendimento automatico.
“L’opera di Shu Lea Cheang è stata eccezionale tra le candidature di spicco. Le sue opere dinamiche presentano un’energia prorompente, palette di colori ipnotici e installazioni altamente complesse, giocose ed esteticamente piacevoli. In esse, l’artista rende la porosità tra il dominio fisico e quello digitale, offrendo al pubblico amalgami stimolanti con cui confrontarsi.
Traendo ispirazione dalla letteratura e dai film di fantascienza e dai videogiochi, i progetti e le sperimentazioni di Cheang nel campo dell’arte e della tecnologia presentano un’affascinante panoramica delle tecnologie avanzate. L’artista offre continuamente nuove chiavi di lettura dei cambiamenti tecnologici e dei loro effetti sulle nostre società e la sua vasta produzione è, e rimarrà, molto influente per generazioni. Siamo onorati di sostenere la sua pratica innovativa attraverso questo prestigioso premio”.
Cheang riceverà un onorario non vincolato di 100.000 dollari per celebrare i suoi risultati innovativi in questo campo. La giuria di quest’anno era composta da Eungie Joo, Curatore e Responsabile dell’Arte Contemporanea del San Francisco Museum of Modern Art; Koyo Kouoh, Direttore Esecutivo e Curatore Capo dello Zeitz Museum of Contemporary Art, Città del Capo; Noam Segal, Curatore Associato LG Electronics, Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Carolyn Christov-Bakargiev, Direttrice del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino; e Stephanie Dinkins, artista e destinataria inaugurale del Premio LG Guggenheim.
LG Guggenheim Prize 2024. Shu Lea Cheang
Shu Lea Cheang, sarà festeggiata il 2 aprile in occasione del 2024 YCC Party sponsorizzato da LG Display. Altri tre artisti saranno premiati fino al 2027.
Un programma pubblico nel Peter B. Lewis Theater il 2 maggio sarà l’occasione per ascoltare direttamente l’artista che parlerà della sua pratica creativa e dei nuovi lavori in fase di sviluppo.
Shu Lea Cheang è un’artista e regista americana, taiwanese e francese. Celebrata come pioniera della Net art con Brandon (1998-99), la prima web art commissionata dal Museo Solomon R. Guggenheim di New York, Cheang ha rappresentato Taiwan con 3x3x6, un’installazione a tecnica mista alla Biennale di Venezia del 2019: May You Live In Interesting Times. I suoi lungometraggi sono stati proiettati alla LAS Art Foundation di Berlino, al Centre Pompidou di Parigi, al Museum of Modern Art di New York, all’Institute for Contemporary Art di Londra e in molte altre sedi. Ha esposto in molte istituzioni sperimentali e affermate, tra cui Walker Art Center, Minneapolis; Whitney Museum of American Art, New York; Centre de Cultura Contemporània de Barcelona; Tai Kwun, Hong Kong; Museion Bolzano, Italia; Singapore Art Museum; Hammer Museum, Los Angeles; Onassis Cultural Centre, Atene; Museo Centro de Arte Reina Sofía, Madrid; Palais de Tokyo, Parigi; FACT Center, Liverpool. Ha partecipato a mostre internazionali come la Whitney Biennial for American Art (1993, 1995); la Johannesburg Biennial (1997); Documenta 14 (2017); la Gwangju Biennial (2018); la Taipei Biennial (2018); la Performa Biennial (2019); la Biennale di Venezia (2003, 2019, 2024). Le sue opere sono presenti nelle collezioni del Whitney Museum of American Art di New York, del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, del NTT InterCommunication Center di Tokyo, del Walker Art Center di Minneapolis, della Fondazione KADIST, della Fondazione Museion, del Centre Pompidou di Parigi e del Museum of Modern Art di New York.
immagini (cover 1) Shu Lea Cheang, «UKI», 2023, still, digital color video, with sound, 80’ (2) Shu Lea Cheang, «Baby Love» (from «Locker Baby Project»), 2005. Networked media installation, dimensions variable. Installation view: «Baby Love», Palais de Tokyo, Paris, December 8, 2005–January 8, 2006. Photo: Florian Kleinefenn (3) Shu Lea Cheang, «Uttering», 2023. Digital color video, silent, 36 min., 26′ (4) Shu Lea Cheang with Dondon Hounwn, «Hagay Dreaming», 2023, performed at Taipei Backstage Pool, Taiwan, October 28–29, 2023. Documentary photograph. Photo: Hsun Lang Lin
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