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FRAME > Pluma

Par : Arshake
1 juillet 2024 à 10:48

FRAME cattura Pluma di Giacomo Lepri, installazione sonora che rileva il tatto attraverso le piume e genera suoni attraverso una sintesi audio neurale.

Giacomo Lepri, Pluma, 2024, immagine via
Concept, design & sound: Giacomo Lepri | CNC fabrication: Halldór Úlfarsson | Audio neural synthesis: Victor Shepardson | Sviluppato presso Intelligent Instruments Lab come parte del progetto EU ERC INTENT.

 

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VIDEO POST > What does A.I. think about me?

Par : Arshake
29 juin 2024 à 18:42

VIDEO POST rilancia What Does AI Thinks About Me?, video saggio relativo all’installazione realizzata da mots per indagare comportamento e pregiudizi dell’intelligenza artificiale mentre osserva gli esseri umani. L’installazione è stata recentemente esposta al Sónar+D, piattaforma per la collaborazione, la sperimentazione e l’esplorazione delle ultime tendenze della cultura digitale, collegata al Sonar, uno dei festival più popolari che ogni anno si svolge a Barcellona coinvolgendo vari luoghi della città.

mots, What Does AI Thinks About Me?, video essay related to the installation ‘AI & Me’
 film di mots | Produzione: mots, Zauberberg Productions | Camera: Octavian Mot, Daniela Nedovescu, Imran Latif, Michal Cajzer | L’installazione AI & Me’ è stata presentata al  Sónar+D  nel giugno 2024

 

 

 

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VIDEO POST > Heaven’s Gate

Par : Arshake
23 juin 2024 à 10:43

VIDEO POST cattura Heaven’s Gate del video artista Marco Brambilla, opera di psidechedelia digitale concepita come meditazione sulla “fabbrica dei sogni” di Hollywood.

Marco Brambilla, Heaven’s Gate, 2021, Video: Lazaro Llanes

 

 

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CYFEST a Venezia

19 juin 2024 à 18:13

CYFEST è una realtà artistica e culturale nomade, viva e in continua espansione, fondata da un gruppo di artisti indipendenti nel 2007. Trova le sue radici nella sperimentazione e nella ricerca artistica, articolata nello sviluppo delle relazioni fra diversi media. I linguaggi legati alle New Media Art ed alle Nuove Tecnologie vengono fusi, ampliati, connessi dando vita a dimensioni percettive nuove.

CYFEST 15 si è svolto a Yerevan, Armenia e Miami, USA; oggi accolto negli spazi del CREA – Cantieri del Contemporaneo di Venezia, fino al 30 agosto 2024.

Il tema intorno al quale si sviluppa il festival è la vulnerabilità, sviscerata nella sua dimensione più profonda, legata all’essere umano e a tutto ciò che lo circonda, abbattendo i confini di specie, tempo e materia. Tale condizione che abita il nostro pianeta viene sviluppata in una chiave emancipatoria, dove attraverso la declinazione in linguaggi artistici differenti e complementari, diventa testamento della nostra più autentica esperienza.

I moderni spazi del CREA ospitano un programma vasto, che si articola in vari formati, comprendendo installazioni, performance e talk. Tra le principali opere figura il progetto multidisciplinare Drop Tracer, che esplora le dinamiche degli agenti non umani e la relazione tra immagini e mondo naturale, realizzato da Tuula Närhinen. Le pelli generate dalla fermentazione da batteri danno vita ad un un’opera di Ann Marie Maes, la quale esplora il potenziale scultoreo dei materiali organici e le interfacce tra umano e non umano, così come tra il microscopico e il macroscopico. Il collettivo Where Dogs Run, pionieri nella sperimentazione e nella ricerca artistica legata alla New Media Art, analizza i concetti dei set di Mandelbrot mediante modelli di maglieria sviluppati in una performance dal vivo.

Mariateresa Sartori, con l’uso della tecnica del frottage, mette in evidenza una geologia sub-urbana, nascosta all’occhio, indagata nei suoi aspetti materici vivi, facendo luce sulla poco conosciuta storia della cava di Rosà, nel vicentino. L’installazione multimediale di Elena Gubanova e Ivan Govorkov analizza e sviluppa il concetto di «densità temporale» elaborato dall’astronomo sovietico Nikolai Kozyrev. La mostra presenta anche i rari monotipi «Re-Pressions» dell’acclamato artista armeno Samvel Baghdasaryan (1956-2017), opere sperimentali di videoarte di Fabrizio Plessi, sculture gonfiabili in tessuto di Irina Korina, e oggetti architettonici e urbanistici realizzati con LED riciclati di Alexandra Dementieva. Inoltre, una nuova installazione di Anna Frants e molte altre opere arricchiscono l’esposizione.

CYFEST 15 – International Media Art Festival, Giudecca, Venezia, 15.04 – 30.08.2024

immagini: (tutte) CYFEST 15 – Vulnerability, Installation View, CREA — One Contemporary Art Space, 2024. Photo Edith Bunimovich

 

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SHELTER ISLAND

Par : Arshake
5 juin 2024 à 12:08

SHELTER ISLAND è la mostra che si snoda tra gli spazi della Marina Bastianello Gallery di Mestre e Venezia e quelli istituzionali di M9 – Museo del’900 e del Distretto M9. Il progetto, che prevede la collaborazione intergenerazionale di due artisti – Fernando Garbellotto (Portogruaro, 1955) e Luca Pozzi (Milano, 1983), nasce dall’urgenza di viaggiare nello spazio e nel tempo dei linguaggi ibridando ricerca artistica e scientifica attraverso il format inedito della Meta-Conferenza in un periodo storico particolarmente sensibile ai temi della pace. La Mostra riconnette idealmente il pubblico ad un evento accaduto nel 1947 sull’omonima isola nei pressi di New York che vide riuniti tra i più celebri e visionari fisici teorici dell’epoca – nomi del calibro di Richard Feynman, John Archibald Wheeler, Edward Teller, David Bohm, John von Neumann, Hans Bethe, J. Robert Oppenheimer e Freeman Dyson – per discutere i problemi fondamentali della meccanica quantistica agli albori dell’invenzione della bomba atomica. Il Summit, ricordato dalla storia come il leggendario vertice di Shelter Island per l’appunto, fu il primo dopo la risoluzione della seconda guerra mondiale e diede il via a quell’atteggiamento di condivisione della conoscenza scientifica su cui poggiano ancora i delicati equilibri globali odierni.

In un presente post-pandemico caratterizzato da tensioni geopolitiche di carattere energetico, ideologico, economico e religioso, il progetto prende vita dalla rigenerazione di una rete relazionale incentrata sull’importanza della collaborazione e del dialogo come modus operandi e condizione Sine Qua Non.

Attraverso le opere di Garbellotto e Pozzi si è chiamati a prendere parte attiva al Summit del ‘47 che, tele-trasportato nel 2024 e convertito nella forma e nella sostanza, diventa installazione cross-disciplinare a più voci, tra cui spiccano quelle di Carlo Rovelli, Roger Penrose, Shoini Ghose, Raymond Laflamme, Katie Mack, Hildign Neilson, Savas Dimopoulos, Pedro Vieira e Neil Turok, che, con il loro contributo, ne ri-attualizzano i presupposti in chiave eco-sistemica.

Partendo da queste premesse la Meta-Conferenza avviene su una cometa digitale di 4 Km di diametro, all’interno di una GAME ENGINE in Virtual Reality chiamata “Rosetta Mission 2024”, opera di Luca Pozzi, la quale, accogliendo una PLAYLIST di PODCAST realizzata dal Perimeter Institute di Waterloo in Ontario, la ripropone simultaneamente non solo al pubblico in presenza al Museo del Novecento sotto forma di installazione visiva, ma anche sul Megaschermo digitale della Hybrid Tower di Mestre e sui monitor satellite del Distretto dell’M9, andando a costruire una rete delocalizzata di piattaforme di accesso ai contenuti prodotti per un pubblico più vasto e non specialistico.

Rete che include, nelle sue maglie, le due sedi della Galleria Marina Bastianello dove troviamo invece rispettivamente a Venezia una grande installazione a parete di Fernando Garbellotto, ispirata alle teorie di Benoit Mandelbrot ed incentrata proprio sul concetto di Frattale “La Rete come idea del mondo”, mentre Luca Pozzi occupa la galleria di Mestre con un ambiente interattivo composto da dispositivi magnetici a parete, sculture ingegnerizzate con rivelatori di particelle dell’INFN e una postazione di Realtà Virtuale per accedere ai contenuti della “Rosetta Mission 2024” da remoto.

(dal comunicato stampa)

Shelter Island, Marina Bastianello Gallery (e altre sedi), Venezia Mestre, 22.05.2022 – 24.08.2024

immagini: (cover 1) Luca Pozzi, «Rosetta Mission», 2024, fermo immagine da VR Game Engine in 4K, 2024. Neil Turok / Sulla semplicità della natura, estratto da Conversazioni sul perimetro  (2) Fernando Garbellotto, «Rete Frattale», 2024. (3) Luca Pozzi, «Rosetta Mission 2024» , VR station, tappeto stampato da collage digitale, Oculus Quest, motore di gioco unity. Photo credits: lucapozzi & marinabastianellogallery  (4) Fernando Garbellotto, «Rete Frattale», 2024 (detail).

 

 

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FRAME > Light line

Par : Arshake
4 juin 2024 à 12:32

FRAME cattura Light line di Jenny Holzer per il Guggenheim Museum di New York, installazione che trasforma l’edificio in una serie di scrolling texts dalle sue serie iconiche, come “Truisms” e “Inflammatory Essays”. Il lavoro monumentale è anticamera della retrospettiva che nel museo newyorkese presenta una retrospettiva di suoi lavori dagli anni ’70 ad oggi.

Jenny Holzer: Light Line, Guggenheim Museum, New York,
La mostra è organizzata da Lauren Hinkson, Associate Curator for Collections. Conservazione  dell’installazione realizzata per il Solomon R. Guggenheim Museum è condotta da Lena Stringari, Deputy Director, da Andrew W. Mellon, Chief Conservator, e Agathe Jarczyk, Associate Time-Based Media Conservator.

Jenny Holzer: Light Line

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VIDEO POST > Synchronic

Par : Arshake
30 mai 2024 à 15:57

VIDEO POST rilancia Synchronic, installazione cinetica di Jin Lee, gioco di linee che si muovono sulla base di un piano preciso di velocità e direzione per creare un ‘caos armonioso’ dove i modelli non si influenzano a vicenda.

(…) La convergenza è solo un’illusione e ogni azione è solo l’evidenza dell’individualità.
La combinazione e l’intersezione di queste linee, che non sono causalmente collegate, risuonano e appaiono a seconda della prospettiva (del pubblico). E il significato inizia a nascere dagli eventi visivi collegati per caso
Jin Lee, 2024

Jin Lee, Synchronic, 2024

 

 

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Harold Cohen: AARON

16 mai 2024 à 12:54

Con una mostra a cura di Christiane Paul, il Whitney Museum of American Art ripercorre l’evoluzione di AARON, il primo programma di intelligenza artificiale sviluppato nei tardi anni ’60 da Harold Cohen per accompagnarlo creativamente nella sua pratica pittorica, adottato a collaboratore per stimolare conoscenza sperimentazione. I lavori sono attentamente selezionati e tracciano in maniera scientifica i momenti chiave di questo dialogo uomo-macchina. L’approccio curatoriale è cronologico e permette di attraversare il passaggio da analogico a digitale, la transizione da astrazione a figurazione, a metà degli anni ’80, e tutto ciò che questi passaggi ha comportato in termini tecnici e concettuali.

Il Whitney Museum è l’unico museo a possedere nella sua collezione versioni del software AARON che tracciano i diversi periodi di sviluppo di questo progetto e permettono quindi di ritracciare le diverse fasi di evoluzione del software e di questo dialogo cresciuto con una certa gradualità.

Harold Cohen ha stabilito con il software un vero e proprio dialogo. Ha iniziato con il fornirgli regole e conoscenze per quello che riguarda i principi base di colore, forma, composizione e dimensione, fondamenti che appartengono alla sua formazione di pittore. Il loro dialogo è cresciuto, con una certa gradualità. Da un primo ragionamento su disegno e colore attraverso delle regole formulate per vie analogiche avviato negli anni ’60 si è arrivati ai primi anni ’70, quando si presenta l’occasione e il giusto contesto per sviluppare il software AARON alla Stanford University’s Artificial Intelligence Lab.

Da questo momento in poi, percorso è proseguito per fasi, ciascuna un tentativo (sempre riuscito, a volte anche troppo) di spingere oltre i limiti dell’intelligenza artificiale. Ad un certo punto, Cohen si rende conto che la macchina è in grado di fare cose che prima non immaginava possibili. Quando impara a colorare i disegni, prima completati a mano dall’artista, arriva ad un momento di crisi. Non è la mancanza di cose da fare, piuttosto l’arenarsi della collaborazione tra uomo e macchina.  “I felt that my dialogue with the program, the very root of our creativity, had been abruptly terminated”, racconta in una conferenza del 2010 all’ Orcas Center.

Ecco perché centrale nella mostra al Whitney è la macchina riportata in vita per fare entrare i visitatori, anche online in streaming sul sito in alcune ore del giorno, nel processo di esecuzione delle opere. Il software “as a central creative force behind the artwork”. Non solo. In mostra anche tutta una serie di ephemera, come quaderni di appunti e disegni personali che fanno parte del momento di progettazione e di riflessione.

Oltre a celebrare un artista riconosciuto come pioniere dell’arte digitale, la mostra entra nel vivo di questo dialogo uomo-macchina, penetra i meccanismi del processo scandendo le tappe, aiuta a riflettere sul nostro rapporto con le moderne tecnologie di intelligenza artificiale con i programmi più recenti come DALL-E, Midjourney e Stable Diffusion.

“Harold Cohen’s AARON has iconic status in digital art history, but the recent rise of AI artmaking tools has made it even more relevant. Cohen’s software provides us with a different perspective on image making with AI,” dice Christiane Paul, Curator of Digital Art at the Whitney. “What makes AARON so remarkable is that Cohen tried to encode the artistic process and sensibility itself, creating an AI with knowledge of the world that tries to represent it in ever-new freehand line drawings and paintings. Watching AARON’s creations drawn live as they were half a century ago will be a unique experience for viewers.”

In questi ultimi anni, in particolare in coincidenza con la crisi pandemica e lo spostamento di interessi economici e culturali online, alcuni termini come arte digitale sono stati particolarmente inflazionati, confusi con strumenti digitali come i certificati NFts, o con progetti di grafica e design. Questo ha significato oscurare buona parte di quelle sperimentazioni che hanno scritto la storia della ricerca in questi ambiti per più di vent’anni.

Queste operazioni che attraverso le mostre facilitano conoscenza e consapevolezza sono particolarmente importanti. In parallelo al Whitney, si è mossa anche la Galleria londinese Gazelli Art House, proponendo, con la mostra “Refractoring (1966-74)”, una selezione molto accurata di lavori di Cohen che hanno tracciato momenti chiave della transizione tra il 1966 e il 1974, momento nodale del suo lavoro ma anche inizio di diffusione delle tecnologie nella società. Tra i lavori, anche Sentinel esposto alla Biennale di Venezia nel 1966, quando è stato invitato a rappresentare il Padiglione Inglese, momento di grande riconoscimento internazionale che non arresta la sua spinta creativa “that arises when the individual starts to question the unquestioned assumptions of his field and to act out of the scenarios that present themselves as a result”.

Alla riflessione pura sul rapporto uomo-macchina le mostre restituiscono parte di questa storia, la rendono comprensibile avvicinando i visitatori al processo nella sua vitalità. Gli incontri, alcuni disponibili online sul sito del Whitney, i documenti prodotti e il catalogo con contributi dei più importanti studiosi che il 9 maggio è stato presentato alla Gazelli Art House, seguiranno la fine delle mostre. Tutto questo ci fa riflettere anche sulla curatela delle mostre, quando tra gli obiettivi c’è anche  quello di garantire che i contenuti siano resi disponibili e accessibili ai visitatori, rispettivamente nella misura di un museo e di una galleria.

Harold Cohen, AARON, a cura di Christiane Paul, Whitney Museum of American Art, fino al 19 maggio 2024

Immagini: (cover 1-2) panoramica d’installazione di Harold Cohen: AARON, Whitney Museum of American Art, New York, 3 febbraio –19 maggio, 2024 (3) Harold Cohen, AARON KCAT, 2001 (4) panoramica d’installazione di Harold Cohen: AARON, Whitney Museum of American Art, New York, 3 febbraio –19 maggio, 2024 (5) Harold Cohen, AARON Gijon, 2001 (6) Panoramica di installazione di Harold Cohen, Refactoring (1966-74), Gazelli Art House, Londra (8 marzo–11 maggio 2024).  Courtesy Gazelli Art House, Londra.

 

 

 

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Adrian Piper al PAC di Milano

15 mai 2024 à 16:55

Che il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano sia da alcuni anni una delle istituzioni pubbliche italiane più ricettive alle ricerche di artisti attenti ai contesti sociali, nonché alla performance è abbastanza noto tra gli addetti ai lavori: a definire tale identità ha contribuito in maniera cospicua la direzione artistica di Diego Sileo che, con competenza, curiosità e senza disdegnare la provocazione, dedica parte della programmazione a tale medium, attraverso mostre tanto di italiani quanto di figure internazionali, riannodando tragitti che segnano la storia dell’istituzione milanese. Quello che forse è meno evidente a chi non frequenta sistematicamente il PAC è che l’edificio stesso sembra favorire andamenti laterali rispetto alla tradizione delle arti visive, “naturalmente” aperto a esplorazioni che eludono “l’armadio chiuso” del modernismo: la grande vetrata affacciata sui giardini di Villa Reale è membrana osmotica con l’area verde retrostante, la sua continua mutevolezza cromatica e luminosa, la sua piacevole ma invadente presenza. E ugualmente il ballatoio che corre parallelo al vano centrale del piano terra si trasforma agevolmente nel balcone da cui assistere a quanto si svolge in basso. Un ideale loggione, tropo di una dimensione teatrale celata appena sotto la pelle dello spazio museale.

Dal 19 marzo e fino al 9 giugno, il PAC ospita la prima retrospettiva italiana di Adrian Piper (New York 1948), figura di spicco dell’arte post-concettuale statunitense, particolarmente rappresentativa per il costante impegno su aspetti e questioni legate al razzismo, ma con rare apparizioni italiane, tra cui il tempestivo Parlando a me stessa. L’autobiografia progressiva di un oggetto d’arte, edito in italiano da Marilena Bonomo nel 1975, con la presumibile mediazione di Sol Lewitt; il prestigioso Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 2015, quella diretta da Owki Enwezor; la traduzione di Meta-art (1973) per Castelvecchi nel 2017 a cui aggiungere qualche inclusione di lavori in rassegne collettive. Sebbene la dimensione performativa a cui si è accennato in apertura, questa volta sia affidata solo alla documentazione fotografica e audiovisiva con cui si da conto di numerosi interventi di Piper, in particolare della splendida Funk Lessons (1983-85) tramite il film di Sam Samore, lo stile del curatore è ben riconoscibile. Infatti, tranne pochi lavori giovanili, tutto guarda al mondo, oltre i convenzionali problemi del visuale.

Il visitatore è accolto da un brusio di voci che provengono da installazioni sonore e video che punteggiano il percorso espositivo: una dimensione corale messa in evidenza sin dalle prime opere, con Negative Self-Portrait (1966), lavoro figurativo su carta, firmato “Adrienne”, subito prima quindi dell’adozione del più neutro – ma con sfumature maschili – Adrian. L’artista si presenta quindi con una identità multipla e sfaccettata: sebbene ricorra sovente alla propria immagine disegnata, fotografata, ripresa in video, i suoi connotati restano volutamente sfocati tanto rispetto all’appartenenza a un gruppo etnico definito – come avverte la definizione che campeggia su materiali promozionali dell’esposizione, Race Traitor – quanto dal punto di vista del genere. Se questo secondo aspetto è mobilitato solo indirettamente in The Mythic Being (1973-1980), Race Traitor è il titolo di un lavoro del 2018  in cui l’artista rielabora la riflessione sulla propria identità formulata quarant’anni prima, con i Political Self-Portraits (1978-1980), giocati sull’associazione tra la riproduzione della fotografia del passaporto – per antonomasia lo strumento di identificazione burocratica del cittadino – e una serie di eventi biografici in cui Piper ha preso coscienza del gruppo razziale a cui apparteneva o al quale gli altri ritenevano appartenesse. Il titolo della mostra, quindi, allude anche all’esperienza del passing, tematizzata dall’artista in questi e altri interventi, rievocandone le ambiguità sulla scorta sia della tradizione letteraria, sia delle pressioni sociali.

Attraverso approcci spiazzanti, Piper lavora per erodere le linee delle costruzioni sociali che dividono le persone in gruppi razziali: dalla riproposizione dei cliché al loro ribaltamento, fino all’esplorazione di situazioni in cui i presenti – visitatori inclusi – sono disorientati. In tal senso si muove la celebre installazione Cornered (1988) in cui il pubblico del museo diventa anche il destinatario del monologo della professoressa Adrian Piper[1], trasmesso da un televisore installato tra due certificati di nascita in cui un medesimo individuo viene definito “octoroon” nel 1953 e “white” nel 1965.

Nel video, infatti, Piper spiega – rivolgendosi direttamente al visitatore in sala – proprio l’impossibilità teorica di definirsi bianco o nero nella società statunitense, dove i contatti tra i due gruppi sono antichi e ramificati. La sensazione di essere parte in causa, parte del problema, di essere tra gli interlocutori dell’artista non ci abbandona mai: dal reiterato impiego del pronome “you” nei titoli, fino all’adozione dell’indagine sociologica che nella serie Close to Home (1987) fa emergere – potenzialmente nelle biografie di ciascuno – omissioni circa il proprio inconfessato razzismo; dalle luci che alternativamente si accendono e si spengono in Black Box /White Box (1992) trasformando l’osservatore in osservato al ricorso agli specchi in Das Ding-an-sich bin ich (2018).

Pur rinunciando alla narrazione lineare con l’intento di calare il pubblico nel bel mezzo delle prove di un coro, in cui le voci si alternano e si sovrappongono, la mostra dipana una conversazione che copre una carriera lunga quasi sei decadi, puntellata da prestigiosi riconoscimenti, come si deduce dalle collezioni da cui provengono i pezzi in mostra, coerente nel nucleo semantico ma diversificata per medium e stili, dai lavori d’esordio debitori dell’arte concettuale, fino alle recenti animazioni digitali, passando per installazioni, video e variazioni attorno all’impiego della fotografia e della scrittura.

Tra le opere stilisticamente più sorprendenti i Vanilla Nightmares (1986-1989, fig. 6) disegni a carboncino eseguiti sulle pagine del New York Times. Resi celebri dalle riflessioni di Hal Foster in Il ritorno del reale, le opere insistono sulle paure che alimentano il razzismo: con fisionomie esagerate e corpi vistosamente erotizzati, l’artista tratteggia donne e uomini bianchi e neri che visivamente interagiscono con le figure riprodotte nelle pubblicità o fotografate per la cronaca, e in generale entrano in risonanza con le notizie relative al Sudafrica pubblicate dal quotidiano. Ma dal vero si apprezza quanto il tratto, volutamente caricaturale e semplificato, non si sottragga alle atmosfere neoespressioniste di quegli anni, mettendo ancora una volta in comunicazione personale e collettivo, pubblico e privato, e con un approccio intersezionale ante litteram.

[1] Oltre che artista visiva, Piper ha insegnato filosofia teoretica in numerosi atenei statunitensi; dal 2005 vive a Berlino.
Adrian Piper, RACE TRAITOR, PAC- Padiglione Arte Contemporanea, Milano, 19.03 – 09.06.2024

images: (cover1) Adrian Piper, «Das Ding-an-sich bin ich», 2018, photo Nico Covre (2) Adrian Piper, «Race Traitor», 2018, stampa digitale (3) Adrian Piper, «Cornered», 1988 (4) Adrian Piper, «Close to Home», 1987, fotografie, testo, audiotape  (5) ) Adrian Piper, RACE TRAITOR», PAC, Milano, ph Nico Covre – Vulcano Agency (6) Adrian Piper, «Vanilla Nightmares #11», 1986, carboncino su pagina di giornale.

 

 

 

 

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FRAME > THE ORDER OF THINGS

Par : Arshake
13 mai 2024 à 23:20

FRAME cattura Ball Track Venus Italica, opera di Wim Delvoye per rilanciare la mostra “The Order of Things” di cui è parte al Musée D’Art et D’Histoire, riflessione dell’artista sulla relazione con l’arte e con gli oggetti.

Wim Delvoye, Ball Track Venus Italica, 2023 Bronze patiné ; H. 173 cm © Studio Wim Delvoye, immagine via
parte della mostra The Order of Things, Musée D’Art et D’Histoire, Ginevra, 26.01 – 16.06.2024

 

 

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VIDEO POST > Forays into Clamor

Par : Arshake
12 mai 2024 à 09:25

VIDEO POST rilancia la documentazione di Forays into Clamor, installazione generativa di Yoshi Sodeoka curata dalla Generative Gallery nel 2021.

Yoshi Sodeoka, Forays into Clamor, 2021, ph: Andrey Kashurin Denis Zubritsky
Nizhny Novgorod Fair, Russia, 27-29.08. 2021, immagine cover via

 

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VIDEO POST > EXPOSOMES SINGULIERS

Par : Arshake
4 mai 2024 à 09:43

VIDEO POST rilancia Singular Exposomes: Revealing the Invisible di Nicolas Michel, installazione generativa che ruota attorno all’exposome, concetto che misura i fattori non genetici che hanno un impatto sulla salute dell’uomo.

Nicolas Michel (Sound by: Valentin Fayaud), Singular Exposomes: Revealing the Invisible, 2024
Il progetto è stato realizzato a seguito di una residenza artistica organizzata in collaborazione tra Le Cube Garges e il Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica (CNRS) e finanziata dall’Agenzia Nazionale della Ricerca (ANR)

 

EXPOSOMES SINGULIERS // CNRS

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FRAME > Borrando la Frontera

Par : Arshake
30 mars 2024 à 10:50

FRAME cattura Borrando la Frontera, ‘scultura sociale’ di Ana Teresa Fernández che in un mattino di giugno del 2011, complici una grande scala e una pistola a spruzzo, ha ‘cancellato’ le barre della frontiera tra Messico e USA con un pallido blu polvere.

Ana Teresa Fernández, Borrando la Frontera, 2011, immagine via

 

 

 

 

 

 

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VIDEO POST > What is for sure

Par : Arshake
28 mars 2024 à 19:39

VIDEO POST rilancia What is for Sure, installazione luminosa che esplora il rapporto tra spazio e tempo manipolando il ritmo apparentemente naturale e cronologico della luce.

Studio Verena Bachl + Karsten Schuhl, What is for Sure, 2024

 

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Prisma Art Prize - 8th edition

 


Deadline: 12 May 2021


Il Varco is glad to inaugurate the eight edition of Prisma Art Prize, a quarterly award with cash prizes for artists from all around the world that will become a collective exhibition for the first time in June 2021 in Rome.

Organized with the goal of creating a space for visual artists to share their work with hundreds of colleagues from all around the world, it offers 2000€ in cash awards every year, purchase prizes and packages of services worth 2500€ from Biafarin and Vivivacolors in four seasonal competitions and an online gallery where the artworks are put on display forever.

Jurors are qualified and esteemed painters, curators, mixed media artists and digital artists from different countries all around the world. The exhibition will take place at Atelier Montez, a contemporary art factory born in 2012 from the redevelopment of an urban wreck on a project by the Artist Gio Montez, that has already attracted international artists like Hermann Nitsch, Cheikh Zidor and Turi Sottile.

Visit our finalists gallery and submit on our official website.

Signing up is fast and you can do it entirely online.


Entry fee:

25€


Prizes & Awards:

Various prizes: 

Cash prize (500€), service prizes and interview every three months, live exhibition in a gallery in Rome every year


Details:

https://www.prismaartprize.com/



Lab.18 art contest

 


Deadline: 11 March 2021


"Lab.18 art contest, is a call for submissions open to all kind of artists. Works allowed in the art competition are: drawings, paintings, sculptures, photographs, graphics, mix media and video. A great opportunity for the artists, which can win a cash prize, have the opportunity to exhibit the artworks and much more. 

The following types of works are admitted: Painting, Sculpture, Photography, Mixed media, Digital, Video, Graphics, Net art, other (all visual works that can be reproduced through a picture are allowed).

The contest is addressed to professional and amateur artists, graphic designers, painters, photographers, etc. from all over the world. 


Entry fee

45€


Prizes / Awards

5000,00€

- collaboration award for a new Malamegi collection

- artwork acquisition award

- cash prize

- monographic book prize


Details:

https://www.lab.malamegi.com/

GETXOPHOTO OPEN CALL 2021

 


Deadline: 10 February 2021


"GETXOPHOTO’s Open Call provides an opportunity for visual artists and photographers to exhibit their work in the Festival’s next edition, in September 2021. To Share will be the theme of GETXOPHOTO’s 15th anniversary, aiming to create and use non-conventional installations in physical and digital spaces.


The international jury made up of Cristina de Middel –photographer–, Mariama Attah –curator of the Open Eye Gallery Photography Museum (Liverpool) –, Jon Uriarte –digital curator of Photographers’ Gallery– and Gwen Lee –director and co-founder of the Singapore International Photography Festival (SIPF)– will select 3 projects that will be part of the artistic programme in the next edition of the Festival."


Entry fee:

20€


Prizes / awards

"3 artists will benefit from (if the jury finds it convenient, the number of winners may be increased):


    The production of an exhibition at GETXOPHOTO Festival alongside recognized contemporary visual artists

    Fee of 400€ as participant of the Festival

    Accomodation for 2 nights during the Opening Week.

    Inclusion in the Festival’s programme and publication

    Inclusion in the Festival’s communication marketing campaign

    Dedicated entry on the Festival website

    Being seen by a large number of visual arts and media professionals"


Details:

https://contests.picter.com/getxophoto-open-call-2021

60th Toronto Outdoor Art Fair

 



Deadline: 8 March 2021


Canada’s leading contemporary outdoor art fair is celebrating 60 years of of launching artists careers, and the #CallForArtists is now open! Visual artists and makers of all backgrounds are invited to apply for the hybrid online/outdoor 60th @torontooutdoorartfair in July 2021. Each year, a loyal following of Fair-goers spend $2 million on art purchases, providing an income to independent artists that contributes to their economic prosperity. The 60th Anniversary Fair will be one to remember with new special programs and awards!
Accepting applications until March 8. Get more info and apply now at www.torontooutdoor.art


Entry fee

$50 CAD


Prizes / Awards

$40,000 cash and in-kind awards, Biggest prize $6,000 to one artist


Details:

https://torontooutdoor.art/

THE CREATIVE ROOM

 



Deadline: 3 January 2021


a.topos Venice is pleased to present THE CREATIVE ROOM, an original initiative created by the Curatorial Collective to promote emerging creatives, following the CC’s commitment to enhance their visibility by providing an exhibition space to selected artists in the venetian contemporary art scene.


In this OPEN CALL first edition, we are inviting participants to send proposals that address a challenge imposed by the exceptional reality of lockdown and social distancing during the COVID-19 pandemic: How to recreate oneself? Exercising the gaze towards the outside? Repositioning self as subject/object? Share your artwork with us so that we can convert our gallery in an extension of your own CREATIVE ROOM.


Entry fee:

20€


Prizes / Awards:

2 exhibitions


Details:

https://atoposvenice.com/thecreativeroom

Sonica Glasgow 2022

 


sound installations and/or live music performances

Deadline: 26 November 2020


Cryptic is inviting Scottish based artists to submit existing sound installations and/or live music performances with visuals to be shown at Sonica Glasgow which returns for its sixth edition from 10 – 20 March 2022.

No entry fee

The successful artist will receive:
– A guaranteed fee of £500, which is above the Scottish Artist Union and Musicians’ Union 2020 rates of pay. Please note, the fee will remain the same for submissions from two or more artists working collaboratively. Fees will be revised if necessary in line with 2022 rates of pay;
– Travel and accommodation expenses for artists based out with Glasgow;
– Support in sourcing basic technical equipment;
– Support for install/de-install;
– Venue, PR and marketing support.

Details:


FRAME > Through the Looking Prism

Par : Arshake
17 mars 2024 à 20:11

FRAME rilancia Through the Looking Prism di Takanao Todo, finestra costituita da una parete di prisma di vetro che permette di vedere molteplici prospettive e possibilità per il futuro.

Takanao Todo, Through the Looking Prism, 2024, immagine via
Designer: Takanao Todo | Collaboration: ambiguous  | Fabricator: Duriflex.co

 

 

 

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VIDEO POST > Windy Field

Par : Arshake
17 mars 2024 à 10:47

VIDEO POST cattura il post Instagram di Chen Yi per rilanciare Windy Field, installazione meccanica di LuxuryLogico, collettivo fondato nel 2010 da Chen Yi, Lin Kun-ying, Chang Keng-hau e Chang Geng-hwa e dalle loro diverse formazioni e prospettive.

LuxuryLogico, Windy Field, 2021 – 23
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Intervista | Pietro Cardarelli

16 mars 2024 à 11:37
Lavorare con la luce è un’arte complessa, soprattutto quando la luce stessa si fa soggetto di vita. Luce emozionale, luce intima, luce che danza. Pietro Cardarelli, lighting e visual artist, mescola ogni giorno lighting design, live video, videomapping, live media, graphic design, scenografia contemporanea e perfoming art.
Nato sotto il segno dell’Ariete, Pietro esplora le costellazioni della luce consegnandoci lo stupore magico della ribalta, illuminando la parte più profonda di ognuno di noi nel momento che ci attraversa e ci fa ‘riflettere’.

Giorgio Cipolletta: Raccontami della tua ricerca artistica. Come inizia e in che direzione si sta evolvendo? Puoi descrive il tuo lavoro, i tuoi metodi, le tue fonti di ispirazione?

Da che ne ho memoria, la luce ha sempre occupato i miei pensieri, in qualsiasi sua forma. Un fascino irresistibile, da sempre, quasi fossi una falena.

La mia ricerca si basa prevalentemente su due campi: la manipolazione dello spazio attraverso la luce e la luce intesa come elemento fisico con una sua vita propria, in grado di interagire con tutto ciò che essa avvolge. In altre parole la luce può essere esperita come un’essenza capace di vivere autonomamente e generare relazioni con l’Altro.

Il mio lavoro inizia con il desiderio di attivare queste relazioni.

La luce è un attore sulla scena, un musicista sul palco, un danzatore nello spazio, un artista luminoso che trascina il pubblico rendendolo partecipe.

Da questo percorso, che ho mosso insieme a molti altri artisti di settori diversi, sono arrivato ad un lavoro più intimo e personale dedicato alla manipolazione spaziale attraverso la realizzazione di installazioni e ambienti immersivi in cui il pubblico potesse compiere un percorso di relazione a partire dallo spazio esterno fino ad annullarlo e arrivare al proprio spazio interiore.

La luce abbraccia totalmente la mia ricerca multidisciplinare. Essa rappresenta intimità e allo stesso tempo, spazio visuale, tecnologia e fenomeno di ‘riflessione’.

James Turrell e Ólafur Elìasson sono stati, e sono ancora oggi, grande fonte di ispirazione.

Non posso non citare Room for one color (1997) dell’artista danese, un’installazione folgorante per il mio percorso. Così come sono assolutamente fondamentali artisti più recenti come Robert Henke o Yann Nguema.

Quando inizio un nuovo lavoro mi pongo sempre in un’ottica di studio, conoscenza profonda e rispetto per l’artista che devo ‘vestire’ o lo spazio da ‘abitare’. Una volta entrato in empatia con la luce, cerco semplicemente di diventare il primo spettatore dei miei lavori. Cerco di raggiungere, quanto più possibile, quella soglia di stupore ed emozione in grado di sorprendermi per primo.

Portare la luce, per me elemento vivo, deve essere un gesto quasi ‘magico’, quell’elemento nel realismo magico che porta una variazione nello spazio conosciuto del reale. Altro passaggio fondamentale però è lo studio, attento, meticoloso al limite del maniacale. Così come voglio rispettare lo spazio o l’artista che ospiterà la mia luce, altrettanto cerco di rispettare la luce stessa. Se questa ibridazione funziona, allora il pubblico si troverà in una dimensione immersiva attraverso la quale potrà vivere profondamente questa condizione ‘di rapimento estatico’.

Qual è il segreto della luce? Che rapporto hai con essa?

Prima di tutto, bisognerebbe dedicare una riflessione alla fisica quantistica, ma non è questa la sede per farlo, ma sicuramente occorre tenere presente la dualità della luce (particella/onda) come fulcro della mia ricerca e studio profondo sulla vera della sua natura ‘viva’.

Perché parlo di vita? Perché il suo essere fisico interagisce con noi e vive con noi attraverso i nostri occhi, ci fornisce la visione di quella che consideriamo realtà.

Nel corso dei laboratori sulla luce, che mi è capitato di tenere, ho potuto sperimentare la capacità che hanno le persone di ‘sentire’ la luce anche non vedendola.

Il mio rapporto sempre più stretto con la luce si basa su due elementi fondamentali: la percezione ‘fisica’ della luce e la luminanza. Quest’ultima viene descritta come la «qualità-quantità» della luminosità che arriva nella nostra retina. Questo rapporto tra l’intensità luminosa emessa da una sorgente nella direzione dell’osservatore e l’area apparente della superficie emittente così come vista dall’osservatore determina il fenomeno dell’esperienza della luce stessa.

Partendo dalla consapevolezza di una «soggettività» della realtà, la mia produzione artistica si muove proprio catturando la parte percettiva, interiore ed emotiva della luce. L’universo che esploro è legato proprio al concetto di spazio e luogo. Infatti nei miei lavori parlo di ‘manipolazione’ dello spazio, perché si va ad agire in quel confine tra percezione e luminanza. Per capire meglio, è quell’effetto, Ganzfeld che Turrell elabora nelle sue opere, dove la luce che vede lo spettatore (senza che egli ne veda la fonte) è solo la sua percezione: uno spazio-mente. Per fare un altro esempio, l’installazione, per la performance Schönheit (2023) che ho realizzato nella foresta di Aaper a Düsseldorf si basa proprio sul principio dell’alterazione della percezione spaziale. L’installazione è invisibile, i dispositivi nascosti sono nell’ambiente naturale e ciò che si va a catturare è proprio la natura stessa della foresta, la luce naturale del sole. Solo stando nell’area della performance il pubblico ha la percezione di un’alterazione sensoriale, ma allo stesso tempo la foresta rimane tale con la sua vegetazione naturale.

Ci racconti del progetto della lampada Birth? Che cosa è? Come funziona? Dove l’hai già sperimentata e hai intenzione invece di portarla? Qual è la sua caratteristica principale?

La lampada Birth nasce in realtà da una sorta di ‘ossessione’, un sogno nel cassetto nato dalla necessità di avere un dispositivo luminoso molto versatile e che potesse essere anche presente e con un corpo minimal e sottile. Questa luce ideata e creata assume le sembianze del classico faro-luce e allo stesso tempo sprigiona vita, perché diventa esso stesso performer.

La lampada Birth ha una sua grande versatilità capace di creare multi-effetti e diverse tipologie di luce.

Birth è una lampada ‘emotiva’ in grado di adeguarsi alle varie suggestioni e  interagire con i danzatori, attori, musicisti, etc…

La lampada ha la grande capacità sia di generare luce attraverso l’interno che quella di modificare la luce riflessa. La forma di Birth evoca una stella prodotta da delle estrusioni di elementi prismatici simili a quelli che si trovano all’interno dei fari motorizzati attualmente in commercio.

Attualmente esistono solo sei esemplari di Birth. La lampada è stata realizzata grazie alla collaborazione professionale di Tecno Service di Ernesto Ottavi e Realizzazioni Castelli e Fanini. Le lampade Birth hanno accompagnato il concerto di Sergio Cammariere, di Anne Paceo, degli Yellowjackets, di Dee Dee Bridgewater e di Emiliano D’Auria.

Attualmente le Birth sono impegnate a danzare insieme a Giosy Sanpaolo nel progetto “15e36” della compagnia di danza contemporanea Hunt. Questo progetto, a cui tengo moltissimo, mi permette di interagire intimamente con la performer, come un passo a due: corpo e luce che danzano insieme. In futuro vorrei invece impiegarle in un’installazione, a cui sto lavorando, dove le lampade possano rispondere e interagire con il pubblico direttamente attraverso un sistema di sensori.

Nella tua carriera hai avuto l’occasione di mescolare digital art, pure light, installation art for performing e lighting for music, come riesci a mescolare e gestire le arti?

Il mio lavoro non è solo individuale, anzi spesso sono in collaborazione e a supporto di altri artisti. Ho cercato da sempre di portare la luce, con le sue sfumature e forme e una continua ricerca tecnologica, realizzando molti progetti con diversi artisti. L’idea su cui la luce prende forma nei miei progetti, mi ha permesso di dare totale libertà al suo spettro che avvolge ogni campo artistico. Desidero sempre di superare i limiti della luce e continuamente attraverso teatri, musei, ma anche piazze, spazi industriali o addirittura aziende. Ciò che amo della luce è proprio la sua versatilità e la sua capacità di essere intrinsecamente site-specific.

Personalmente, a ogni lavoro, mi colloco sempre come un soggetto in più in legame con il performer, ma non solo, può essere un un grafico, un architetto o qualsiasi altro soggetto. In altre parole la luce si fa soggetto attivo e co-protagonista di ogni lavoro.

Riguardo al tuo legame con la luce, pensi che l’artista abbia una responsabilità sociale e quindi essere strumento di coscienza collettiva?

Personalmente, come per molti artisti, sento una responsabilità sociale dovuta dalla grande comunicabilità dei media che ho scelto di usare per il mio lavoro. In tutti i miei progetti c’è sempre una componente di riflessione per il pubblico. Ogni lavoro nasce da idee che presuppongono una necessità di comunicazione profonda. Nella mia ultima installazione immersiva nel verde, Growing Lights, lo spettatore viene invitato a vivere questa esperienza con lentezza, riappropriandosi del luogo illuminato.

Oltre all’aspetto estetico di una nuova illuminazione con i molteplici “punti di vista” che posso creare, sicuramente, c’è una riflessione sui temi ecologici, dettato anche dal tema  del surriscaldamento globale, che investe oggi la discussione collettiva.

Attraverso i miei studi e i miei lavori con l’intelligenza artificiale, molto prima dell’ondata globale a cui stiamo assistendo ora, mi sono sempre messo nell’ottica di esplorarla dal punto di vista umano e del rapporto uomo-tecnologia. L’essere umano (con la sua emotività) insieme alla luce (con la sua percezione sensibile) sono ‘i registi’ dei miei progetti.

La luce è un fenomeno complesso, pensiamo alla frase ‘venire alla luce’ per indicare la nascita, la vita e da sempre è elemento naturale, nonché rappresentato nell’arte pittorica.

Questa azione del ‘venire alla luce’ (al mondo) per me oggi rappresenta l’approdo ad una conoscenza profonda soprattutto di sé, della propria interiorità e del rapporto del sé con la società e la realtà circostante.

L’Arte per me non è pura elucubrazione mentale, ma un grande strumento di comunicazione sociale, perché essa è in grado di parlare in luoghi dove altri mezzi non riescono a dialogare. Perciò, per me, l’artista ha anche un dovere etico-morale, se così si può dire, perché il suo lavoro non è fine a se stesso, ma intrinsecamente veicola già un messaggio. Nel panorama dell’arte contemporanea oggi, forse il mio pensiero può risultare un po’ naïf, ma credo sia molto importante riportare alla discussione alcune argomentazioni, che forse non sono più banali e scontate. Molto spesso oggi, quando tengo dei corsi e delle lezioni, noto che si è molto più interessati a realizzare il «cool tecnologico» fine a se stesso, piuttosto che usare la luce semplicemente come un mezzo di comunicazione profonda ed emotiva.

Un progetto che hai in mente, ma che ancora non hai realizzato.

Il rapporto tra luce e scienza è un campo che ho iniziato ad esplorare andando oltre la ricerca tecnologica. Attualmente sto lavorando con la Dott.ssa Bruna Corradetti del Baylor College of Medicine di Houston, con la quale stiamo sviluppando un progetto tra arte e ricerca del comportamento cellulare umano. La fusione tra tecnologia, arte e biologia darà vita ad un progetto interattivo che possa essere non solo riflessivo per il pubblico, ma anche, e soprattutto, utile in campo medico per l’esplicitazione di importanti e innovativi ‘punti di vista’ nella ricerca stessa. Anche in questo progetto, ovviamente, al centro c’è la luce con la sua emotività generata dai soggetti coinvolti e da chi permette questo: luce soggetto-oggetto umano.

Questa ricerca attualmente è molto appassionante e spero che questo progetto possa vedere la luce molto presto.

PIETRO CARDARELLI è scenografo, Lighting e Visual Artist e Creative Director. Produzione artistica, grafica, dalla promozione all’immagine dei live (lighting design, live video, videomapping, live media, graphic design, scenografia contemporanea, allestimenti e installazioni), perfoming art, video arte e digital art sono le espressioni artistiche che portano Pietro a lavorare come Creative Director per cantanti, artisti, band e produttori musicali, stilisti, coreografi, strutture d’arte ed aziende. È inoltre docente per diversi corsi di formazione (“Manipolazione Creativa dello Spazio”, “Visual Art”, “Lighting Design”.  Dal 2016 al 2020 fa parte del board scientifico per progetti di rigenerazione urbana creativa (“SPACE – Spazi Creativi Contemporanei” e “Invasioni Contemporanee”). Partecipa a diverse mostre e collettive d’arte in Italia e all’estero. Dal 2014 è progettista e lighting e visual artist per il compositore, autore e musicista Dardust (Dario Faini) curando tutte le date dei tour in Italia e all’estero. Dal 2015 è responsabile lighting designer e visual art director per i progetti “Pyanook” e “PyanookLab” del musicista e compositore Ralf Schmid presso lo studio Kubus dello ZKM di Karlsruhe e la Humboldtsaal di Freiburg (Germania), debuttando al live europeo Neue Meister Music a Berlino. Collabora inoltre con lo studio di ricerca per la realtà aumentata MarbleAR di Los Angeles. Dal 2019 è lighting e visual artist per il coreografo e performer Morgan Nardi presso l’FFT a Düsseldorf (Germania) dove nel 2020 realizza diverse installazioni digitali interattive una nel centrale Hofgarten, nel 2022 nel Northpark e nel 2023 nella foresta di Aaper.  Nel 2021, come artista, è firmatario del Manifesto Internazionale della Light Art.  Nello stesso anno crea il progetto di ricerca “Yūgen_a mood place”© sull’interazione tra la luce e il cibo.  Nel 2023 realizza una serie di installazioni di luce nell’area industriale dismessa ex Sgl-Carbon (Ascoli Piceno). Parallelamente crea la lampada “Birth”©, utilizzata nei concerti di Sergio Cammariere, Yellowjackets, Anne Paceo e Emiliano D’Auria Quartet. L’ultimo lavoro a cui partecipa è “Yume” di Elisa Maestri, un progetto di MeTe Teatro/La Casa di Asterione, dove luce e disabilità si fondono.

immagini: (cover 1) Pietro Cardarelli, «LampadaBirth», 2023 (2-3) Pietro Cardarelli, «Phisiologus», 2019 (4) Pietro Cardarelli, «Pea Wall», 2018 (5-6) Pietro Cardarelli, «Schönheit», 2023 (7) Pietro Cardarelli, «Phisiologus», 2019 (8) Pietro Cardarelli, ritratto

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FRAME > NEOERBA

Par : Arshake
9 mars 2024 à 16:26

FRAME cattura Neoerba, installazione artistica sostenibile di Sugo, monumento che denuncia la degradazione causata dai rifiuti elettronici ma anche l’importanza delle schede dei circuiti informatici (PCB). Realizzata in in acciaio zincato e PCB riciclate e laminate a mano, la scultura integra un rivestimento bio-luminescente e un trattamento foto-catalitico testato dalla NASA. Questo sistema fornisce illuminazione naturale durante la notte e, in concomitanza  purifica l’ambiente circostante da virus, batteri e inquinanti utilizzando solo la luce solare e l’aria.‎

Sugo, Neoerba, 2022, immagine via

 

 

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VIDEO POST > Fluid Current

Par : Arshake
9 mars 2024 à 08:48

VIDEO POST rilancia Fluid Current di Sander Hagelaar, installazione dinamica dove le gocce d’acqua completano il circuito elettrico e fanno si che la luce si accenda.

Sander Hagelaar, Fluid Current, 2020

 

 

 

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PAN e METAPAN a Napoli

Par : Arshake
8 mars 2024 à 09:22

Il PAN | Palazzo delle Arti Napoli, istituzione ospitata negli spazi di Palazzo Carafa di Roccella, in tempi non sospetti è stato molto attivo su tematiche d’avanguardia come le ricerche attorno al digitale, è in procinto di riaprire i suoi spazi nel 2025 come Museo dell’Immagine.

Pensato come centro di ricerca, con una programmazione curata da Vincenzo Trione, avvia ora le sue attività con il METAPAN, che anticipa anche l’architettura legata alla ristrutturazione dell’architetto Giovanni Francesco Frascino che intende “ripensare l’attuale configurazione del PAN, riaffermando con forza l’originaria vocazione urbana dell’edificio settecentesco”.

“Alla riapertura”, così annuncia il comunicato stampa, “gli spazi del museo comunale saranno destinati al Museo dell’Immagine. Fotografia, cinema, digital art, ma anche pittura e scultura in dialogo con i nuovi media. Museo come territorio dell’iconosfera. Un luogo in cui scoprire come le immagini oggi si trasformano, si contaminano e si ibridano, contribuendo a mutare il mondo che abitiamo”.

Il METAPAN inaugura le attività di questo spazio nel Metaverso con una meta operazione curata da Maria Grazia Mattei, direttrice del MEET a Milano e Valentino Catricalà, con il lavoro di quattro artisti italiani che lavorano su scala internazionale: Chiara Passa, Davide Quayola, Auriea Harvey e Bianco-Valente. Il tutto si avvale della supervisione tecnica dell’architetto Giuliano Bora, che ha realizzato lo spazio all’interno di una piattaforma immersiva tridimensionale in maniera estremamente curata.

Dopo aver attraversato il viale e ammirato l’architettura del futuro PAN, si entra al suo interno dove le i quattro progetti dei rispettivi artisti selezionati sono immaginati come site specific, quattro diversi modi di invitare il pubblico nel progetto futuro architettonico ed espositivo, diverse tipologie di produzione artistica traslate in esperienza nello spazio.

Sulla sinistra si entra nel progetto di Chiara Passa, dove la sua serie di Object Oriented Stones, sculture tridimensionali fruibili in realtà aumentata, è traslata nello spazio virtuale. Entrando all’interno di una gigantesca pietra-scultura, si esplora il paesaggio in maniera giocosa invitati a catturare le dieci pietre che del paesaggio sono parte integrante.

Sulla destra la stanza dedicata a Quayola, artista che pone il suo lavoro tra reale e artificiale, tra tradizione modernità attraverso un ampio uso di algoritmi, presenta la Laocoön Sequence, traslazione della sua serie di studi sul Lacoonte nel digitale, presentate in uno spazio espositivo virtuale molto curato, anche per quello che riguarda l’illuminazione.

Proseguendo, incontriamo il lavoro dell’artista e scultrice Auriea Harvey che catapulta il nostro alter ego virtuale una ziggurat perduta, una stanza ma anche una condizione che scaturisce da mistero e inquietudine, posto inospitale dal quale si rimane però attratti, complice anche il suono che accompagna la permanenza.

Il duo Bianco Valente mette in relazione linguaggio umano e sistemi informatici. Il lavoro, ma soprattutto la loro presenza in questo progetto, due artisti da sempre interessati alla dualità corpo-mente e impegnati in progetti relazionali per lo più legati al territorio alle comunità di tutto il mondo, la città natale Napoli in primis, lascia intravedere l’intenzione di una progettualità del PAN che si pone tra più dimensioni, su un piano interdisciplinare, e senza mai perdere di vista le radici con il territorio.

METAPAN, a cura di Maria Grazia Mattei, direttrore del MEET a Milano e Valentino Catricalà
Artisti: Chiara Passa, Davide Quayola, Auriea Harvey and Bianco-Valente.

ENTRA NEL METAPAN 

 

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