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Lunario per sonnambuli

Par : Laura Catini
2 septembre 2025 à 22:00

Lunario per sonnambuli è un progetto editoriale pensato da Zaelia Bishop, con il testo critico e la cura di Nicoletta Provenzano per la collana Traffici d’artista, curata da Carmelo Cipriani, anche autore della postfazione, per le edizioni Esperidi. La collana, inaugurata nel 2013, racchiude pagine, in cui gli artisti e la loro arte incontrano la carta stampata. 

Il libro d’artista, l’undicesimo numero, a seguito dei nove libri precedenti caratterizzati dalla copertina bianca con dettagli e testi in nero, reca la copertina dominata dal colore nero. È edito nella tiratura limitata di cento copie numerate e personalizzate con una serigrafia dell’ardesia dall’artista. Il progetto grafico è di Zaelia Bishop e di Matilda Prisco.

Il Lunario per sonnambuli di Zaelia Bishop è discesa tra gli anfratti più aguzzi del ricordo, sconfinata dispersione tra le terre percorribili del vero e digressioni oniriche in isole lontane della memoria ora ritratta fedelmente nel suo profilo, ora alterata da erti sensazioni memoriali. Non fortuitamente, le voci, in un dialogo continuo e sconnesso, sono due, proprio come la voce primaria dell’attore e il suo coro che, tuttavia, non segue l’intenzionalità del primo soggetto ma, sovente, se ne distacca in un linguaggio ricco di allusioni e di riferimenti di un trascorso che, per essere esaminato, necessita non solo di un’ampia volontà d’indagine ma anche di una forte conoscenza culturale in grado di discernere simboli e termini condensati in una ricchezza immaginativa insolita e preziosa, originante una sincera “συμπάθεια” (sympatheia), un portato emozionale che trascende la realtà e coinvolge, in un unico respiro, i lettori in un sentimento di partecipazione al sentire, sia positivo sia negativo. In effetti, la forma breve dei versi e l’impostazione ricercata sembrano riportare in auge i versi degli epigrammi greci nel cogliere aspetti significativi tanto della realtà quanto del sogno, come mordaci iscrizioni o componimenti con lo scopo poetico di ripercorrere il ricordo di quel che è avvenuto. Brevi incisioni di colore poetico sono senz’altro i versi dell’artista che, a partire da un’immagine visiva e sonora della caduta e successiva frantumazione dell’ardesia in frammenti vivi e taglienti, compie un’esplorazione interiore tra le radici del presente e i germogli del ritroso. Ci appare spontanea così la prima immagine che apre il prezioso volumetto, il Pyramidion, simbolo di un dialogo tra materia e spirito e incipit di un percorso di risveglio e scoperta tra il sogno e la realtà, tra il vissuto e il sognato, tra il posseduto e il desiderato. Come l’ardesia, anche il granito può recare iscrizioni volubili al tempo. Una scrittura fragile e variabile che raccoglie una gerarchia temporale, dall’infanzia all’età adulta, tra cielo e terra, una rinascita continuativa tra il mondo terreno e quello celeste, un ponte tra il piano fisico e quello invisibile. 

Pyramidion
estrema
unità
integra

Dunque, una dimensione che si disperde e, unitamente, protegge nel suo stesso non-luogo. 

ovunque
nascondimi

Come preghiera propiziatoria e rivolta a una madre fedele del suo amore, avviene la richiesta di non essere palesato alla luce di Ra ma di essere sostenuto dall’Occhio di Horus.

La capanna di felci

In questo secondo atto, inizia la duplicità della voce. Le felci hanno una consistenza resistente che imprime, al rifugio, tutta la saldezza richiamata dal Pyramidion, in un ambiente naturale e selvaggio, sicché familiare. Seppur temporaneo punto di osservazione, è stabile dimora in cui l’io della narrazione afferma:

Qui ricordo il letto di un fiume,

oppure un sentiero di rami e pietre

Mentre la voce corale spinge a una seconda rimembranza non antitetica:

Qui ricordi quanto fosse rapido il vento sopra i tetti

La curatrice del volume, Nicoletta Provenzano, assurge a un’oniromanzia della mente che richiama luoghi intimi e ancestrali del passato, secondo una tettonica di reminiscenze. Una lettura critica certamente da perseguire nel trasporto del vissuto dell’artista. Le felci introducono a un altro elemento, nella loro valenza di portafortuna per molte culture, da cui sono associate a rituali propiziatori per la protezione contro il male e per l’augurio di prosperità, nonché al forte nesso con la Natura, con il suo vigore vitale e il suo senso di purificazione. 

L’incipit del libro appare quindi come un rito propiziatorio e di purificazione di ingresso a un mondo tanto intimo quanto scosceso, in cui il vento si fa veloce sopra lo stesso riparo e nella culla della vita stessa. E il tetto diviene porta, da cui poter osservare dall’alto verso il basso e nella direzione opposta e da cui poter spiare i nidi dei colombi. La fragilità diviene forza e punto di osservazione del fantastico. E il coro interviene nuovamente come madre, sia per la cartolina inviata e strappata, sia per la mela di cui racconta la voce in prima persona, in quel pianeta delle isole gigantesche, un luogo così apparso all’io narrante.

E, ancora, nella leggerezza e nell’eleganza che assimilano un ideogramma orientale a un fiocco di neve, scorre il ricordo di un gesto privato e profondissimo, l’unione delle stelle in oracoli oppure in arcipelaghi. Poi emerge il distacco del coro che ammette l’errore della lontananza di un’estate, durante cui le strade con l’io narrante si dividono. Tuttavia, le reminiscenze continuano nella figura di un albero, ove insieme l’io e il coro andavano a rubare le ciliegie, lo stesso da cui l’io era caduto. Una caduta forse fisica e, insieme, simbolica come le ciliegie.

La ciliegia è sangue e cuore, è un frutto che non tradisce l’arrivo del lettore in questo determinato punto del libretto ma, contrariamente, lo dota di tutta la consapevolezza del momento. Se la lettura evolve in una fase di climax per l’intensità, è necessario ricordare il monito al mondo orientale, secondo cui i Sakura sono equivalenti alla rinascita, alla vanitas e alla bellezza effimera. Ordunque, possiamo intravedere il fiore dell’invisibile, il risorgimento del πάντα ε, del “tutto scorre”.

L’autore mi perdonerà il riferimento a Il giardino dei ciliegi, ultimo lavoro teatrale di Čechov, il cui testo teatrale della malinconia colpisce per l’immediatezza delle emozioni che fa scaturire in chi legge. Soprattutto, i ciliegi si connotano per il loro significato simbolico nei versi che ricordano, come in maggio, sono fioriti, ma nel giardino fa ancora freddo. L’arrivo di questi versi esprime quella parte di sé che il tempo tende ad affievolire, pur se contro le nostre chimere. È metafora della resa nostalgica a un mondo di desideri ed illusioni, arpionato dal tempo che passa e da una rinnovata realtà. Si dischiudono i ricordi del gioco come il fingere di avere occhi di rondine e denti di puma. 

Queste sono le rovine dove si impigliano 

le mute dei serpenti

Dietro quelle cortecce covano 

larve di falena

Il cambiamento di pelle è anche mutamento individuale. Sotto la corteccia, quello strato liminale, si nascondono i germogli della rinascenza. La fine di un’estate e il richiamo della civetta sono conseguenze inconsce e autentiche, nel loro essere simboli di saggezza e mistero. Si vede oltre l’oscurità, oltre al buio congelato nella stanza e caduto in pezzi, proprio come la roccia metamorfica caduta in terra e scompostasi in più parti che ora trasmutano e si collocano al centro del “racconto” in versi. 

Dal fondo di questo pozzo si risale cambiati (…)

Io sono per te le ore di veglia e l’ascia bipenne

Il coro lega l’io alla riflessione, a un tempo in cui allontanarsi dal caos della vita quotidiana per l’introspezione, alla ricerca spirituale, in cui si assottiglia il velo tra il mondo materiale-terreno e quello spirituale e all’ascia bipenne che, per alcune culture antiche, è simbolo di potere, di regalità, di forza divina e della dualità della vita e della morte. Spesso è associata alle fasi della luna. Sorge, verso la conclusione, un’allusione al dialogo. Ci appare chiaro ora il Lunario che, da un volto femminile e materno, esprime tutta la volubilità della vita.

Cos’altro c’è stato?

Più niente,

la polvere della polvere,

nebbia di calce,

pulviscolo d’ossa

In questa grotta dove finisce il fiume

restano le carcasse di ogni cosa che è stata

Questo è un letto, e adesso dormiamo.

Il volume si chiude nella placida calma del letto di un fiume nella nebbia di calce. Una parentesi di alta poesia che stringe, fortissime, la vita di allora e la vita presente, metamorfizzando quei frammenti a nuove unità di senso. 

Lunario per sonnambuli, 2025, libro d’artista ideato da Zaelia Bishop, progetto a cura di Nicoletta Provenzano per la serie Traffici d’artista, curated by Carmelo Cipriani, Edizioni Esperidi 2025

immagini: (cover 1) Zaelia Bishop, «Lunario per sonnambuli», Edizioni Esperidi, Collana Traffici d’artista (interno), foto Ludovica Annes (2) Zaelia Bishop e Nicoletta Provenzano alla presentazione di Lunario per sonnambuli, Curva Pura, Roma, Courtesy Curva Pura, foto Ludovica Annes (3) Zaelia Bishop,«Lunario per sonnambuli», Edizioni Esperidi, Collana Traffici d’artista (interno), foto Ludovica Annes

 

 

 

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In dialogo con Roberto Ghezzi

Par : Laura Catini
19 juillet 2025 à 18:08
Il progetto artistico “Iceland still”, ideato da Roberto Ghezzi e dedito a una nuova spedizione di ricerca in Islanda, si è concentrato nei mesi di giugno e luglio, nella parte meno civilizzata dell’isola, quella orientale, tra Egilsstaðir, Höfn e Landmannalaugar. La realizzazione si è svolta in collaborazione con fotografo Antonio Manta e il pilota di droni Leonardo Vianello Mizar, gli sponsor tecnici Light Adventures, BAM di Antonio Manta, e il supporto di Phoresta ETS.
La mia riflessione sul lavoro di Roberto Ghezzi mi porta inequivocabilmente a parlare in termini critici di un termine che oggi sta felicemente subendo un riesame da parte del settore: il tempo. È indubbio che i progressi informatici e tecnologici hanno, anzitutto, un impatto sulla vita umana e sul tempo naturale dell’individuo. Una scansione delle ore che non trova la sua corrispondenza nemmeno nello scorrimento del tempo circoscritto dallo strumento di misurazione, l’orologio, invenzione artificiale dell’uomo stesso.
Si può far riferimento, con tale connotazione, già ad Aristotele che ne parlava in relazione allo svolgersi di eventi e in rapporto con la metamorfosi. Ed è proprio il mutamento che il nostro indaga, ricercando la possibilità di una sussistenza simultanea di quello scorrere naturale del tempo in una latitudine ove tutto sembra fluire più lentamente, quasi fermandosi, in un paesaggio che “non ha alberi, né persone, è immobile” – sostiene Ghezzi.
Va anche sottolineato che l’artista si distanzia dallo Jeweiligkei, quell’ora naturale che dimora nella determinazione dell’esistenza umana sin da sempre, nell’esserci dell’essere come tempo. Fa riferimento, infatti, come autentico prosieguo di una ricerca in itinere e generatrice di nuovi nessi, a un’inversione di sguardo che vuole la Natura come soggetto principe e agente del suo stesso lavoro. Ne parlo in dialogo con l’artista.

Laura Catini: Il tempo è stato presente, seppur sopito sinora, nel tuo esplorare e restituire la Natura. La ricerca sulla sua scansione prende luogo, in un paesaggio che sembra essere ossimoro per l’indagine, in Islanda. In una latitudine, in cui affermi essere tutto sospeso. Quasi a voler rendere evidente qualcosa che non c’è ma si percepisce. È un esame molto legato alla propria psiche…

Roberto Ghezzi: Ho scelto l’Islanda proprio per questo. In quest’isola gli avvenimenti “evidenti” sono rari, si muovono nuvole, icebergs, si muovono le onde del mare, ma nessun albero e, dove sono io, nessun essere umano o animale tranne rari uccelli a tradire la presenza del tempo. Che “forse” c’è, ma non si vede. Si, si intuisce, dentro di noi. Ma se lasciassimo soltanto parlare ciò che ci circonda?  Lo sentiremmo ancora così bene, questo flusso, questa freccia verso il futuro?

È difficile dichiarare l’attuale spedizione di ricerca come un fondersi tra arte e scienza, come sostiene la Fisica quantistica in relazione al tempo e nonostante le più recenti scoperte…

Per quanto la mia preparazione non mi permetta di essere un cultore della materia, sono affascinato dagli ultimi studi sul tempo affrontati da molti fisici nel corso degli anni. Ancora mi sconvolge la relatività, e sono più di 100 anni che ne abbiamo contezza. Figuriamoci pensare all’ipotesi della “non esistenza” del tempo.

Lavorando da sempre con lunghe esposizioni (naturografie, foto stenopeiche, ecc), si può però dire, in effetti, che io abbia lavorato sempre con un susseguirsi di eventi, con un accumulo di tracce. Ecco, in questo caso lo studio si è approfondito proprio in tal senso, inseguendo la sequenza di queste tracce, focalizzando l’attenzione su ciò che, dato un certo paesaggio, variava rispetto all’attimo precedente in quello stesso paesaggio. E vi assicuro che in 24 ore, anche in un territorio immobile come l’Islanda degli altipiani interni, si muovono molte cose.

In questa occasione hai deciso di abbandonare le “camere oscure” dell’Annapurna in Nepal per far impiego di una tecnologia di ultima generazione…

Sì, mi piace sempre variare l’approccio al paesaggio, pur rimanendo fedele alla mia ricerca. Grazie al supporto del fotografo e stampatore Antonio Manta ho usufruito di attrezzature di ultima generazione: può sembrare banale, ma fotografare ininterrottamente lo stesso paesaggio per 24 ore richiede prestazioni davvero elevate, in termini di macchina, di batterie, di schede di memoria…e se poi ci si mette anche il clima artico.

Nonostante l’utilizzo di una strumentazione sofisticata, si prevede l’ingresso di alcuni compromessi nel processo creativo…
Non so ancora come realizzerò la restituzione finale dell’opera. Non è detto che sia una fotografia digitale (che già di per sé, vi anticipo, sarebbe un lavoro di una complessità estrema perché immaginate cosa può significare sovrapporre 1500 scatti da 300 megabyte ciascuno, in un unico livello, conservando trasparenze e visibilità). Potrebbe comunque essere anche un’installazione analogica. In definitiva, come spesso è accaduto in passato con altre ricerche, è nel processo, nel percorso, nel viaggio, che ho avuto le più grandi soddisfazioni.

ICELAND STILL, progetto di Roberto Ghezzi, Islanda Orientale, Spedizione di ricerca tra arte e scienza
Sedi varie: Egilsstaðir – Höfn – Landmannalaugar, giugno-luglio 2025
In collaborazione con Antonio Manta e Leonardo Vianello Mizar | Sponsor tecnici Light Adventures e BAM di Antonio Manta | Supporto Phoresta ETS | Communication Manager: Amalia Di Lanno

immagini: (cover 1): Roberto Ghezzi, «Iceland Still», 2025, Courtesy the Artist (2) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», 2025, Courtesy the Artist (3) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», laguna ghiacciata, multipla esposizione 22′, 2025 (4) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», Islanda interna, lunga e multipla esposizione 10′, 2025 (5) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», i deserti neri, lunga esposizione, 2025

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