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Agnese Banti al Romaeuropa Festival 2025

31 octobre 2025 à 08:56

Scrivere di una performance dopo che è accaduta significa interrogare il tempo della sua assenza. È un gesto inevitabilmente postumo, che non mira a restituire ciò che si è visto o sentito, ma a capire cosa rimane, cosa continua a muoversi sottopelle.

Speaking Cables [EXPANDED] di Agnese Banti, presentato al Romaeuropa Festival 2025, è una di quelle opere che sopravvivono alla propria temporalità, che continuano a risuonare anche quando lo spazio scenico è stato smontato e il suono si è dissolto. Ciò che resta non è una memoria nitida, ma una vibrazione sospesa, un’eco che abita ancora il corpo di chi ha ascoltato.

Entrare nello spazio è significato attraversare una costellazione di cavi, altoparlanti e microfoni: una topografia di linee sonore che, più che disegnare un palcoscenico, tracciava una mappa sensoriale. La voce della performer, frammentata e ricombinata, percorreva i cavi come una corrente elettrica, generando un ambiente acustico in continuo movimento. Non c’era un punto di vista privilegiato, né un fronte scenico da cui osservare: si era immersi in una rete di connessioni, dentro un organismo di suono e tensione. Il corpo di Banti danzava con la tecnologia, mosso da un desiderio di abitarla, di confondersi con essa.
La voce diventava materia plastica, presenza che attraversava e veniva attraversata, sostanza ibrida capace di toccare il limite tra umano e artificiale. A distanza di tempo, è proprio questa immagine a riemergere con forza: la voce che si slega dal corpo, che si distribuisce nello spazio e negli oggetti, fino a perdere i confini della propria origine.

Nel lavoro di Agnese Banti, la voce umana è materia di ricerca autonoma, radicale, ancestrale, sensoriale. È corpo ed energia insieme, vibrazione e linguaggio, memoria e contatto. Banti indaga la voce come soglia tra presenza e sparizione, tra identità e alterità, come luogo in cui l’umano incontra il suo doppio acustico e lo lascia parlare. La voce, per lei, è un territorio poroso in cui le categorie di naturale e artificiale si mescolano: può scomporsi, moltiplicarsi, distorcersi fino a diventare altra, disumana, collettiva. È una forma di pensiero incarnato, un campo di risonanza dove la percezione si espande e la soggettività si disperde. Questa esplorazione radicale del vocale, come gesto, materia, respiro,  attraversa l’intera poetica di Banti.
In Speaking Cables, la voce appartiene a una comunità di dispositivi, a un ecosistema sonoro in cui le soggettività si dissolvono e si ricompongono continuamente. Ripensata nel tempo mutante e sospeso della memoria, la performance appare come un esperimento di ascolto radicale, una temporalità circolare, fatta di ritorni e di riverberi. In questo senso, Speaking Cables [EXPANDED] è un’opera che lavora sul residuo e sulla durata, sulla possibilità che l’esperienza artistica non finisca con la sua rappresentazione, ma continui a generare vibrazioni, impulsi e percezioni liberi di muoversi e di ri-prodursi.

Tra i tratti più significativi del progetto, emerge la profonda attenzione di Agnese Banti verso la comunità delle persone ipovedenti e non vedenti, che trova nella versione [EXPANDED] una dimensione effettiva. La performance è stata concepita come esperienza realmente accessibile: attraverso mappe tattili, percorsi guidati e una drammaturgia pensata per il contatto più che per la visione. L’accessibilità non è un dispositivo aggiuntivo, ma uno strumento profondamente necessario ai fini della diffusione del suono e della sua dimensione performativa fra tutti i corpi che ne fanno esperienza, orizzontalmente, senza barriere. Banti trasforma l’idea stessa di fruizione, proponendo un’arte che non esclude, che riconfigura la relazione tra spettatore, spazio e suono. L’ascolto diventa esperienza multisensoriale, campo di incontro tra corpi diversi, luogo in cui la percezione si condivide e si modella.

Questa attenzione alla cura e alla prossimità sensoriale attraversa l’intera poetica dell’artista. Ogni gesto sonoro in Speaking Cables è una forma di relazione: tra voce e materia, tra performer e spettatore, tra dispositivo e spazio. È un lavoro che rifiuta l’idea di tecnologia come superficie neutra, per restituirle invece una dimensione viva, relazionale, affettiva.
I cavi non sono strumenti, ma corpi intermedi, dei veri e propri medium; gli altoparlanti non sono oggetti, ma presenze che respirano insieme alla voce. Tutto è interconnesso, attraversato da correnti invisibili, da onde che costruiscono e disgregano continuamente lo spazio. È un’opera che vive nel tempo della risonanza, nel margine tra presenza e sparizione. Nel suo dissolversi, la performance afferma la possibilità di una persistenza: quella del suono che sopravvive, della voce che continua a parlare attraverso le sue assenze.In un panorama performativo spesso dominato dall’immagine e dalla visibilità, il lavoro di Agnese Banti riporta l’attenzione sull’ascolto, sulla fisicità invisibile del suono, su una forma di percezione che è anche atto politico. Guardata da questa distanza, la sua pratica appare come un invito a rallentare, ad accordare l’udito al tempo della memoria, a lasciare che la voce, nei cavi, continui a vibrare dentro chi ascolta.

Agnese Banti. Speaking Cables [EXPANDED], Romaeuropa Festival 2025, 10-11.10.2025
Di e con: Agnese Banti | Live electronics: Andrea Trona | Design visivo e sonoro, regia, drammaturgia, musica: Agnese Banti | Collaborazione artistica, informatica musicale, direzione tecnica: Andrea Trona | Collaborazione alla drammaturgia, alla regia e all’allestimento: Marta Vitalini | Consulenza tecnica e luci: Antonio Rinaldi | Tecnica luci: Andrea Gallo | Incontri artistici a cura di: FONDO Yan Duyvendak, Camille Louis, Ana Pi | Accessibilità in collaborazione con: Giuseppe Comuniello, Dalila D’Amico, Camilla Guarino
Crediti di Produzione: Progetto sostenuto da: FONDO, network per la creatività emergente (prima edizione, coordinata da Santarcangelo dei Teatri e realizzata con AMAT, Centrale Fies, ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, Fabbrica Europa, I Teatri di Reggio Emilia, L’arboreto – Teatro Dimora | Centro di residenza Emilia Romagna, Operaestate Festival Veneto / CSC Centro per la Scena Contemporanea, Ravenna Teatro, Teatro Pubblico Campano, Teatro Pubblico Pugliese, TSU Teatro Stabile dell’Umbria, Triennale Milano Teatro), ORBITA|Spellbound Centro Nazionale di Produzione della Danzanell’ambito di Creazioni accessibili 2024 e Romaeuropa Festival. Con il supporto di: LAMINARIE nell’ambito delle residenze creative 2025 – DOM la cupola del Pilastro e Grabinski Point. Grazie a Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza, Stamperia Braille della Regione Toscana.

immagini: (cover 1): Agnese Banti, “Speaking Cables”, Romaeuropa Festival 2025, foto: Monia Pavoni (2) Agnese Banti, “Speaking Cables”, Romaeuropa Festival 2025, foto: Lorenza Daverio (3) Agnese Banti, “Speaking Cables”, Romaeuropa Festival 2025, foto: Laura Farneti (4-5) Agnese Banti, “Speaking Cables”, Romaeuropa Festival 2025, foto: Lorenza Daverio

 

 

 

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Open call: Agora, tra arte e filosofia

Par : Arshake
28 octobre 2025 à 15:52

Il Centre d’Art Contemporain Genève lancia Agora: A Gathering of Art and Philosophy, programma online interamente finanziato, ideato per affrontare le sfide del nostro tempo combinando due discipline capaci di re-immaginare il futuro in modo unico: l’arte e la filosofia. Il bando per la presentazione delle candidature è aperto fino al 1° novembre 2025.

Ideato da Andrea Bellini e Federico Campagna, Agora offrirà programmi gratuiti della durata di un semestre con lezioni in lingua inglese, seminari e mentoring individuale a un gruppo di otto artisti e filosofi attivi da gennaio ad aprile. Le lezioni saranno successivamente rese disponibili gratuitamente sulla piattaforma digitale del Centre d’Art Contemporain Genève, the 5th floor, e troveranno riscontro anche sui canali digitali di Mousse Magazine, aprendo il dialogo a un pubblico più ampio.

Ogni partecipante riceverà una borsa di studio, al fine di garantire pari accesso. Tutte le lezioni si terranno online, in modo che possano partecipare studenti da tutto il mondo. Oltre alle lezioni e alle discussioni in stile seminario, gli studenti svilupperanno anche il proprio lavoro personale in incontri privati con i docenti.

“ Con Agora, il Centre d’Art Contemporain Genève introduce una nuova idea di museo come spazio pubblico: lezioni gratuite tenute da pensatori e professionisti di fama mondiale, borse di studio per gli studenti partecipanti e un colloquio di un anno con filosofi, curatori e artisti“, ha dichiarato il co-fondatore e direttore di Agora, il filosofo Federico Campagna. ”Siamo lieti di creare una nuova casa per la prossima generazione di costruttori del mondo”, ha affermato.

Tra i relatori figurano Elizabeth A. Povinelli, Franco “Bifo” Berardi, Nicolas Jaar, Jota Mombaça, Nora N. Khan, Hans Ulrich Obrist, Laura U. Marks, Hito Steyerl e John Tresch. Questi pensatori e professionisti dell’arte di fama internazionale accompagneranno gli studenti anche in seminari e sessioni individuali, incoraggiandoli a sondare le visioni del mondo contemporaneo prevalenti e a forgiare nuove vie per l’immaginazione.

Le lezioni saranno raggruppate in tre principali aree di indagine: Tecnologie della coscienza, Materialità e Immaginazione sociale. L’obiettivo di Agora è quello di combinare le indagini filosofiche con le prospettive dei gruppi emarginati, l’urgenza di sviluppare una nuova coscienza ambientale e le sfide tecniche poste dalla pratica artistica. Fortemente impegnati ad aprire il discorso artistico a visioni pluralistiche del mondo, i colloqui e i tutorial degli esperti esploreranno visioni “post-contemporanee” del futuro, un futuro in cui l’arte assume un ruolo di primo piano nel rimodellare il regno di ciò che è immaginabile, possibile o necessario.

“Il Centre d’Art Contemporain Genève è entusiasta di lanciare questo programma culturale online gratuito, che si basa sulle centinaia di video, interviste ad artisti e podcast su arte, filosofia, musica e letteratura che abbiamo già condiviso con il pubblico attraverso la nostra piattaforma digitale, il 5° piano”, afferma il direttore del Centro e co-fondatore di Agora, Andrea Bellini. “Aperto agli artisti e agli amanti dell’arte di tutto il mondo, Agora sarà un nuovo spazio vivace per immaginare, condividere e creare cultura e arte contemporanea”.

Una volta che gli studenti avranno completato il programma, l’archivio delle lezioni di Agora sarà reso disponibile al pubblico gratuitamente tramite la piattaforma digitale del Centre d’Art Contemporain Genève, il 5° piano.

L’orizzonte iniziale di Agora sarà di tre anni, con nuovi gruppi di studenti selezionati ogni inverno. Agora incoraggia i candidati con un curriculum artistico e filosofico interessante a presentare la propria candidatura al programma, in particolare quelli con una comprovata esperienza nelle arti visive, nel cinema, nella danza, nella performance art, nel teatro, nella musica, nell’architettura e nel design o con un’esperienza di ricerca in filosofia. Le candidature saranno valutate sulla base dei lavori precedenti del candidato e della lettera di motivazione. Non sono richiesti titoli accademici.

I partecipanti selezionati saranno annunciati a metà dicembre 2025, con lezioni e tutorial che si terranno dall’inizio di gennaio alla metà di aprile 2026.

I candidati hanno tempo fino al 1° novembre 2025 per presentare la domanda.
Apply here.

 

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“The Impossible Present. Caleidoscopio” a Milano

Par : Arshake
23 octobre 2025 à 20:21
Fino al 25 ottobre 2025, BUILDING TERZO PIANO a Milano presenta The Impossible Present. Caleidoscopio, un progetto site-specific di Delphine Valli a cura di Melania Rossi, che raccoglie una serie di opere e fotografie inedite, testi e installazioni, in una molteplicità di linguaggi. L’esposizione si colloca temporalmente a due anni dalla pubblicazione del libro The Impossible Present, edito da Parallelo42 Contemporary Art, in occasione della residenza di ricerca dell’artista a Marrakech, in seguito alla sua vittoria del Grant Italian Council di ricerca nel 2021. Arshake è lieto di pubblicare la conversazione tra Melania Rossi e Delphine Valli che accompagna la mostra.

 Melania Rossi: Questa mostra in BUILDING TERZO PIANO raccoglie opere realizzate nel corso del tempo: prima, durante e dopo la tua residenza artistica a Marrakech, vinta nel 2021 con il progetto The Impossible Present, grazie al bando del Ministero della Cultura Italian Council X. 

Trovo interessante che per l’esposizione tu abbia aggiunto al titolo la parola “caleidoscopio”. In effetti tutti i lavori esposti si sovrappongono e si richiamano in maniera quasi spontanea ma ordinata, come avviene ai ricordi che si accavallano nello spazio siderale della memoria. Tutto si gioca tra materialità e immaterialità, tra cose che si somigliano ad un livello più sottile di quello razionale, tra associazioni che si impongono agli occhi, come intuizioni o presentimenti. Molte delle tue opere ci ricordano che possiamo osservare e sentire in modo diverso anche le strade più battute, proprio come accade nell’attento vagare del viaggio, dove scopriamo il mondo e noi stessi.  Al centro della mostra mi sembra esserci ciò che davvero resta delle esperienze vissute. Essendo tu un’artista – scultrice anche quando lavori in ambito pittorico – forma e colore sono caratteristiche che si imprimono immediatamente nella tua visione e nel tuo ricordo. Per poi sedimentarsi a poco a poco e farsi senso. Mi hai raccontato la tua storia una notte di cinque anni fa, eravamo a Marsiglia per un progetto nell’ambito di Manifesta 13 e tu stavi realizzando un’opera che univa tre luoghi della tua vita: il Maghreb, la Francia e l’Italia. 

Considerando tutti i movimenti emotivi e fisici, tutte le memorie che saranno riaffiorate nel tuo viaggio di ricongiungimento con il Maghreb, lasciato a 16 anni di età e dove non avevi più fatto ritorno fino al 2022: cosa significa per te questa ultima esposizione da BUILDING, sia artisticamente sia personalmente? E che gestazione ha avuto? 

Delphine Valli: Una lunga gestazione, direi. In fondo, da quando il libro The Impossible Present che ha coronato la fine del periodo di ricerca con l’Italian Council è stato pubblicato, l’idea di traslare matericamente e plasticamente l’esperienza vissuta si è imposta. Non ne sentivo l’urgenza, ma la necessità sì. Poi, dall’ottobre 2023, nel momento in cui avrei dovuto proseguire sullo slancio della pubblicazione del libro e del progetto appena concluso, mi è caduta una coltre di asfalto nero addosso e ho provato un intenso senso di scollamento dalla realtà che mi circondava. Mi sembrava di evolvere in un immenso teatro insignificante ma prepotente, dove ogni concetto era svuotato dalla propria sostanza. In quel periodo ho realizzato le tre carte nere presenti in mostra, ricoprendo con inchiostro calcografico nero fumo dei fondi argentati realizzati in precedenza. Per me allora, le scene erano diventate oscene.

Con te, avevamo il desiderio di proseguire il discorso apertosi a Marrakech e nel 2024, BUILDING ci ha offerto questa possibilità, accogliendo la nostra singolare proposta che si è immediatamente sviluppata attorno al libro The Impossible Present edito da Parallelo42, presente in mostra. Nella sua lunga gestazione, il progetto ha trovato la sua forma, sintetizzata nell’immagine del caleidoscopio, in cui gli elementi si rispondono, si ripetono ed evolvono in modo speculare. In confronto a quello della gestazione, il tempo della realizzazione è stato relativamente breve. Mi sono affidata all’intuizione, ogni elemento sembrava imporsi da sé e cercavo di non interferire. Come dici, la memoria funziona più per sovrapposizione che per giustapposizione e intuitivamente, sia nella realizzazione di opere derivanti dal progetto di ricerca svolto a Marrakech che nell’integrazione di opere precedenti, o contemporanee al periodo di ricerca, ho identificato il senso di ognuna alle fondamenta del mio lavoro in qualche modo rivelate dal periodo di ricerca stesso. La loro co-presenza nella mostra intende metterle in luce più che analizzarle, confidando nell’evidenza della filiazione

 

 I primi tuoi lavori che ho visto e che mi hanno spinta ad approfondire la tua ricerca erano due cementine marocchine in parte nascoste da forme geometriche, esposte in una collettiva a Roma diversi anni fa. Stavano lì, graziose ma misteriose, armoniche nel loro strano disequilibrio. In qualche modo esotiche al contesto. Poi ho iniziato a frequentare il tuo studio e, negli anni, vedevo che la forma del pendolo, del triangolo, del trapezio tornavano a popolare le tue opere, lasciando sospettare che fossero frammenti di una geometria più complessa. Come negli intrecci delle zelliges marocchine, le tessere smaltate di mosaico onnipresenti nelle case, nei giardini interni dei riad, negli edifici religiosi e nei palazzi. La tradizione secolare delle arti applicate nel mondo arabo deriva dalla teoria dell’ordine aristotelico, che connette i movimenti delle sfere celesti alle minime scosse delle forme. Non potendo rappresentare la figura divina, invisibile per natura, l’arte tradizionale islamica ha interiorizzato il dato spirituale. Ecco che un’immagine apparentemente semplice, decorativa, sottende un pensiero estremamente complesso. 

Cito a memoria dal tuo testo Orientarsi: la realtà sfugge ai nostri sensi. Oggi la fisica quantistica ha dimostrato che le cose non sono come appaiono, una verità intuita dalle filosofie orientali secoli fa. C’era in te consapevolezza di una possibile influenza delle arti applicate islamiche nella tua pratica artistica? In che modo la cultura visiva in cui sei stata immersa durante la tua infanzia potrebbe essere entrata nella tua ricerca? 

 Ho vissuto i primi 16 anni della mia vita immersa nella cultura islamica mentre frequentavo la scuola francese ad Algeri. Ho allora viaggiato molto in Algeria, in Marocco e in Tunisia. Sono cresciuta tra due sponde del Mediterraneo. Prima di tornare nel Maghreb nel 2022, non ero affatto consapevole di una sua possibile influenza sulla mia pratica. Nelle mie prime deambulazioni nella medina di Marrakech, sono stata particolarmente colpita dall’architettura islamica, dal suo rapporto allo spazio, interno ed esterno, alla luce ma ancora alle geometrie che la pervadono. Mi sentivo a casa. Era un’esperienza vissuta con tutto il corpo, una memoria sepolta perché non sollecitata riaffiorava. I diagrammi analitici geometrici sono stati concepiti da matematici e astronomi attorno ai IX e X secolo mentre l’arte islamica emerge nel VII secolo, in concomitanza con l’Islam e si diffonde rapidamente, dalla Spagna all’India. È una sua straordinaria peculiarità essere stata assimilata da così tanti tessuti etnici. 

Non ero stata consapevole della sua influenza ma ho realizzato a Marrakech che non avevo visto ciò che avevo interiorizzato: la cultura islamica aveva plasmato la mia sensibilità e in particolare il mio approccio allo spazio e al dato spirituale, anch’esso interiorizzato da essa stessa. Nella mia pratica, ho sempre privilegiato l’intuizione e il linguaggio che si è imposto a me è stato insistentemente astratto sin dall’inizio. Immagino che in modo capillare, quello che ha modellato il mio approccio al mondo si sia rivelato successivamente nella mia pratica artistica. Ho la sensazione che questo viaggio di ricongiungimento con il Maghreb mi abbia permesso di iniziare a integrare consapevolmente le due culture e mi liberi da un’ingiunzione esclusivamente astratta.

 Mi hai detto che i titoli delle tue opere provengono da un generatore automatico di titoli d’arte contemporanea. Qualche esempio: Mechanical Absence, A Lost Information, The Possibility of Orientation, … C’è un po’ di ironia nell’altisonanza dei nomi – ovviamente tutti in inglese – e anche nella scelta di delegare ad un automatismo l’assegnazione del titolo, soprattutto considerando che la scrittura è parte integrante del tuo lavoro. Le tue opere sono spesso accompagnate da tuoi testi originali. Inoltre, tu sei francese quindi pensi in doppia lingua, con tutte le interessanti oscillazioni di senso che avvengono durante le traduzioni. Anche in questa mostra ci sono molti testi, sempre poetici e caratterizzati da un uso sensibile della parola. In alcuni casi ci sono frasi estrapolate come: “Non sai mai di chi sei l’astro più luminoso”. In altri casi sono parole trovate come “Unico Grand Amour”, vista su un muro della Medina di Marrakech. Cito queste due in particolare perché in mostra le vediamo tradotte nella calligrafia geometrica araba. E anche le aste tortili dell’installazione The Literature of War fanno riferimento alla parola, perché ogni torsione corrisponde ad una lettera del nostro alfabeto. Cosa rappresenta per te la scrittura, come si integra nella tua arte visiva e in questa mostra?

 Il generatore ironico di titoli di arte contemporanea che ricordi non esiste più ma infatti, ho scelto di attingere al mio serbatoio di titoli autogenerati anche per le opere recenti, per coerenza con le altre opere in mostra. Mi piace sempre l’avere delegato al caso nonché a una macchina, la cura di avere prodotto il senso ma non delego l’assegnazione stessa, scelgo comunque il titolo in relazione all’opera. 

Quando ero bambina, traducevo mentalmente quanto stessi vivendo, come si farebbe in un racconto. All’osservazione si univa la distanza da quanto vissuto. Poi ho scoperto la letteratura e in particolare la poesia. Lo spazio letterario identifica lo spazio proprio all’opera letteraria ed è uno spazio a tutti gli effetti. Immateriale e intangibile. 

A un certo punto, è stata un’esigenza quella di integrare la scrittura alla mia produzione plastica, un tentativo di avvicinare questi spazi e di osservare quanto il loro incontro potesse generare. Per The Impossible Present, mi ero prefissata di integrare la scrittura alla trama plastica del lavoro, come avviene d’altronde nell’arte tradizionale islamica. Ho così ideato questo alfabeto, in cui ad ogni lettera corrisponde una specifica torsione dell’asta di ferro, ne deriva un messaggio criptico pur se contenuto nella materia stessa. Ho anche stampato due calligrafie geometriche di stile Kufico realizzate da Abdelghani Ouida, noto calligrafo di Marrakech. Questa volta, la scrittura si ricongiunge con la forma astratta, prediletta nell’arte islamica.

 Ci stai raccontando un viaggio di ritorno, dopo migrazioni che nel corso della tua vita ti hanno portata da Parigi ad Algeri e poi di nuovo in Francia per approdare infine a Roma. Ricordo che durante la stesura del progetto per IC ti sei interrogata molto sull’idea del ritorno come eterotopia. Nel pensiero di Michel Foucault, le eterotopie sono luoghi reali ma anomali, che contrastano con tutti gli altri spazi esistenti. Quando si torna in un luogo familiare, si può sperimentare una forma di eterotopia se si riesce a osservarlo con una prospettiva rinnovata. L’esperienza del ritorno può far sì che un luogo “diventi qualcos’altro da sé e non diverso come sconosciuto”. Un reale ritorno è, in effetti, impossibile perché non possiamo tornare i noi stessi di allora, né possiamo ritrovarci in quello stesso tempo o in quello stesso luogo.  Trovo quindi interessante che per ragioni politiche tu non sia potuta tornare ad Algeri, la città della tua infanzia, ma sia approdata a Marrakech. Come giustamente scrive Juan Palao, archivista e filologo, nel libro edito da Parallelo 42: “Andando ad Algeri, Delphine ha trovato Marrakech”. Del resto, “Present” in inglese è anche il dono: da un’impossibilità è nata un’opportunità.

Il confronto culturale è al centro della tua ricerca e le immagini che crei sono una sorta di ponte tra più mondi. Non si tratta solo del rapporto tra Oriente e Occidente, ma di dissolvere i confini oltrepassando definizioni, banalizzazioni, andando oltre le soglie del possibile. Infatti spesso le tue opere si situano in una sorta di spazio intermedio, tra due e tre dimensioni, tra disegno e scultura, dove persino l’antropocentrismo sembra superato. Il tempo e lo spazio giocano un ruolo fondamentale in questo progetto. L’elemento temporale perde qui la sua linearità e quello spaziale diventa evanescente. Tra questi due concetti si fa largo il “vuoto”, come campo di energie, che anche in mostra ha un ruolo dinamico. In qualche modo si torna ad una scoperta della fisica quantistica. Ciò che si rintraccia sempre nel tuo lavoro è la luce, le traiettorie luminose dei colori o dei metalli, che generano ulteriori forme e prospettive. In fondo i tuoi luoghi fanno tutti parte del Bacino del Mediterraneo e in questa mostra c’è moltissima di quella luce. Poi, ci sono anche le ombre che narrano altre storie. Cito dai tuoi appunti, che nel libro hanno l’eloquente titolo Orientarsi: “(…) per me, l’esperienza artistica non è da considerarsi separata da quella esistenziale, non si illustrano l’un l’altra, si generano a vicenda (…)”. 

Sì, questa unicità dell’esperienza, esistenziale e artistica, è la sua complessità. Il “Io sono inseparabile” della scrittrice francese vissuta in Algeria, Hélène Cixious, riassume l’impossibilità di scindersi. 

Ha in fondo contraddistinto molti aspetti del progetto che mi ha portata a vivere l’esperienza del ritorno alla cultura nella quale sono cresciuta in una città, Marrakech, che non conoscevo. Quest’ultimo aspetto è stato, effettivamente, un dono. Ero liberata dall’utopia del ritorno nella quale, come sottolinei, non si ritrova ciò che si ha lasciato e ho potuto dedicarmi totalmente alle reminiscenze che emergevano in me e allo studio comparato delle culture visive orientale e occidentale. Un libro in particolare mi è stato estremamente prezioso, I canoni dello sguardo. Storia della cultura visiva tra Oriente e Occidente di Hans Belting. In sostanza, la cultura visiva occidentale ha definito il suo canone percettivo con la prospettiva e la centralità dello sguardo umano, trasformando il mondo in un’immagine, attingendo alla teoria della visione di Alhazen, matematico e astronomo, scienziato geniale originario dalla Mesopotamia vissuto negli anni 1000. Per la cultura visiva orientale, l’immagine è collaterale (non vediamo la stessa cosa attraverso l’acqua e attraverso l’aria), essa si concentra sui raggi luminosi e ha interiorizzato il dato spirituale. E nel caso delle sue complesse geometrie, esse non sono mere decorazioni ma la rappresentazione di leggi cosmiche. 

Avevamo posto al centro del progetto la convergenza dei saperi, come si evince nel libro, ed è stato essenziale e vitale. Nello scambio, ho potuto misurare quanto la ricerca artistica abbia una sua dignità propria. Non cerca la sua autorevolezza all’esterno del suo campo ma si arricchisce nel confronto con altri campi e vice versa. L’approccio artistico, alla pari degli altri, è un modo per afferrare il mondo e accedere alla conoscenza o alla comprensione. Tre elementi presenti in mostra, intitolati Ode to Chaotic Meditation, realizzati con specchi antichi, evocano l’eterotopia di cui parli. Lo specchio è eterotopia per eccellenza, spazio utopico e riflettente. Permette di interrogarsi sul mondo visibile e sulla sua solidità o sulla sua realtà

Dopo Marrakech, sono effettivamente tornata ad Algeri, con una borsa di ricerca dell’Istituto Francese di Algeri. Ho sperimentato appieno l’impossibilità del ritorno. Aldilà delle considerazioni che possiamo farne, sicuramente giuste – per Foucault il ritorno è alla volta una pratica e uno spazio eterotopico “che ha per regola di giustapporre in un luogo reale più spazi di norma incompatibili” – ho sperimentato uno scompiglio che riguardava più il tempo, via lo spazio, dai quali ero esclusa. 

Per i Gnawa, confraternita mistica presente in Marocco, l’esilio non riguarda tanto lo spazio – la geografia – l’esilio è esilio dal Sé e in questo senso, il ritorno in Marocco si è offerto come chiave di comprensione che non riguardasse solo me naturalmente. Con The Impossible Present. Caleidoscopio, ho cercato di riunire vari spazi in un luogo, di giustapporre, di sovrapporre vari spazi aperti dall’esperienza fondatrice svolta a Marrakech. 

Delphine Valli – The Impossible Present. Caleidoscopio, a cura di Melania Rossi
BUILDING TERZO PIANO, fino al 25.10.2025

immagini: (copertina 1) Delphine Valli, “The Impossible Present. Caleidoscopio”, BUILDING TERZO PIANO, Milano, foto: Sarah Indriolo (2) Delphine Valli, “A studio The Formation of Joy”, foto: Luis Do Rosario 2025 (3) Delphine Valli, “On Being Superficial”, 2020 2021, The Impossible Present. Caleidoscopio, BUILDING TERZO PIANO, Milano, foto: Sarah Indriolo (4) Delphine Valli, “Progetto per disegno murale”, 2022 2025, The Impossible Present. Caleidoscopio, BUILDING TERZO PIANO, Milano, foto: Sarah Indriolo (5) Delphine Valli, “The Impossible Present. Caleidoscopio”, BUILDING TERZO PIANO, Milano, foto: Sarah Indriolo

 

 

 

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VDA Award 2025 a Rimini

Par : Arshake
21 octobre 2025 à 21:55

Auriea Harvey, Martina Menegon, Quiet Ensemble e The Cool Couple sono i finalisti del VDA Award 2025. È con le loro poetiche, visioni e opere che – dopo la prima edizione del 2023 e un percorso di ricerca durato ventiquattro mesi – il premio torna a restituire non solo uno spaccato della scena artistica digitale, capace di intrecciare visioni pioniere e nuove realtà, ma anche un’indagine profonda sul presente: un faro acceso sulle sue contraddizioni, trasformate esse stesse in linguaggio artistico, oltre le semplificazioni e le retoriche.

Dal corpo materno di Auriea Harvey come relazione primaria tra madre e figlio, alle identità frammentate e glitchate in cerca di definizione di Martina Menegon; dai misteri cosmici tradotti in tempo reale in materia viva da Quiet Ensemble grazie ai dati provenienti dagli osservatori, alle rivoluzioni destabilizzanti dell’astrofisica e della fisica quantistica che mettono in crisi l’essenza dell’uomo e le conoscenze acquisite; fino al disastro climatico affrontato da The Cool Couple e all’illusione del controllo.

Oltre i confini del design tecnologico e della scultura, tra ambienti digitali tridimensionali e interattivi, consistenze ibride e corporeità instabili, esperienze immersive che interrogano identità e presenza, le opere finaliste della seconda edizione incrociano così tecnologia, arte e consapevolezza critica. 

Pioniera della Net Art, capace di trasformare interazioni digitali e ambienti virtuali in scenari abitati da archetipi e memorie, Auriea Harvey con Mother/Child costruisce una riflessione intima e universale sul legame madre-figlio, dove forza e fragilità si intrecciano in un equilibrio precario e luminoso. Il poligono diventa per lei “argilla matematica”, materia immateriale che prende forma nello spazio virtuale e si traduce in presenza fisica attraverso la stampa 3D. Le superfici, morbide allo sguardo e solide al tatto, restituiscono la complessità della maternità come esperienza contraddittoria e stratificata. Harvey ha esposto nei principali musei internazionali, costruendo una pratica che unisce innovazione tecnologica e profondità scultorea.

Con untouched. 7285252 Martina Menegon porta in scena corpi instabili e glitchati, autoritratti digitali generati dal 3D scanning che si moltiplicano in ambienti immersivi. Una ricerca che espone la vulnerabilità del sé nell’era delle realtà estese, aprendo nuove prospettive di relazione con identità e percezione attraverso corpi che si frantumano, si fanno esperienza interattiva, oscillano tra presenza fisica e dimensione virtuale. In questa sospensione emergono fragilità, spaesamento e affettività inattesa, nell’opera di un’artista, curatrice, e docente che ha creato con la sua poetica un linguaggio capace di mettere in crisi la linearità del corpo e la sua definizione.

È Fragile di Quiet Ensemble ad aprire un varco sul cosmo. I dati provenienti dall’Osservatorio Gravitazionale Europeo di Cascina diventano materia sensibile, trasformandosi in paesaggi visivi e sonori che rendono percepibile l’invisibile. Fratture luminose, vibrazioni sonore e collassi digitali restituiscono la fragilità come principio generativo, dove la rottura diventa ritmo e il disgregarsi diventa poesia. Da anni Fabio Di Salvo e Bernardo Vercelli intrecciano natura e tecnologia, restituendo “concerti invisibili” che trasformano il movimento di una mosca o il respiro di un albero in sinfonie audiovisive. Con Fragile, la loro ricerca raggiunge un’intensità cosmica: l’arte diventa antenna che ascolta i segreti dell’universo e li traduce in esperienza.

The Cool Couple con Flyin’ High affronta poi le contraddizioni del nostro tempo sospesi tra desiderio e collasso. Un volo digitale da Milano a Roma attraverso Microsoft Flight Simulator diventa metafora di una libertà perduta e insieme denuncia dell’impatto climatico. L’esperienza, apparentemente leggera, si rivela specchio del presente: un mondo in cui l’illusione di controllo si scontra con la fragilità del pianeta e con il peso crescente della CO₂. Docenti e artisti, Niccolò Benetton e Simone Santilli portano avanti una pratica che si muove tra ricerca e insegnamento, tra mostre internazionali e progetti di riflessione collettiva, trasformando l’arte in spazio di consapevolezza.

Insieme al direttore artistico e curatore del premio Davide Sarchioni e al responsabile di Var Digital Art by Var Group, Alex Tiezzi, il comitato scientifico che ha selezionato le opere è composto da quattro esperti ed esperte che, con generazioni, ruoli, formazioni e traiettorie differenti, incarnano un approccio plurale e stratificato alla contemporaneità: Cesare Biasini Selvaggi, Ivan Quaroni, Gemma Fantacci e Serena Tabacchi. Quattro personalità del contesto artistico contemporaneo che rappresentano la volontà di VDA by Var Group di abbracciare l’eterogeneità delle pratiche digitali contemporanee. 

“Le opere finaliste rivelano un panorama eterogeneo e di straordinaria attualità” spiegano Davide Sarchioni e Alex Tiezzi, “in cui identità, ambiente e futuro diventano materia di ricerca e riflessione condivisa. Var Digital Art Award è un osservatorio permanente sul presente, capace di ispirare anche il mondo dell’impresa e di restituire l’arte come innovatore culturale, necessaria alla società tutta”.

Le opere dei finalisti saranno protagoniste della finale del VDA Award 2025 il 23 e 24 ottobre al Palacongressi di Rimini, nell’ambito di “Z!ng – Zone of Innovation and Growth”, l’evento annuale di Var Group che accende la scena dell’innovazione digitale.

(dal comunicato stampa)

Z!ng – Zone of Innovation and Growth, Palacongressi di Rimini, 23-24.10.2025

immagini: (cover 1) Var Digital Art Award archivio 2023 Rimini, Foto di Var Group (2) Auriea Harvey, “Mother-Child”, still, VDA2025. Courtesy dell’artista (2) Martina Menegon, “FutureBodies-untouched.7285252”, VDA2025. Courtesy dell’artista (3) Quiet Ensemble, “Fragile”, VDA2025, Courtesy degli artisti (4) The Cool Couple

 

 

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Flammenwerfer al Ref 2025

7 octobre 2025 à 16:43

Tra le proposte più potenti del Romaeuropa Festival 2025 spicca Flammenwerfer, spettacolo nato dalla collaborazione fra la compagnia danese Hotel Pro Forma, Blixa Bargeld e l’ensemble vocale femminile IKI. Si è di fronte ad un ibrido, sperimentale e soprattutto multimediale “music theatre” che non si limita a intrecciare linguaggi, ma li spinge a collidere, dissolversi e ricomporsi in una forma ibrida dove il suono diventa visione e la visione si fa materia acustica. Al centro del lavoro c’è la figura del pittore svedese Carl Fredrik Hill (1849-1911), artista visionario segnato dalla schizofrenia, che negli anni del ritiro forzato, a seguito del suo disagio sociale e relazionale,  produsse centinaia di schizzi e disegni, mappe di un mondo interiore in bilico tra genio e delirio. Lo spettacolo non racconta la sua biografia in modo lineare, ma la evoca attraverso i suoi molteplici e stratificati lavori, stati percettivi, attraversamenti sensoriali, squilibri che chiamano in causa direttamente il pubblico.

Blixa Bargeld, che firma parte della musica e dei testi, porta in scena la sua voce come materia performativa estrema: dalle inflessioni sussurrate fino al grido, il suo registro e la sua presenza mutante diventano corpo sonoro che agisce più del corpo fisico. «C’è un brano composto solo di urla», ha dichiarato in un’intervista a Lucrezia Ercolani, «un pezzo crudele che scuote le ossicine dell’orecchio» (Blixa Bargeld: Sono un poeta, non chiamatemi profeta, «Il Manifesto», 26.09.2025). Incursioni sceniche talvolta disturbanti, talvolta disorientanti, che squarciano i confini della percezione e dell’identificazione emotiva.
È in questa sospensione tra parola e rumore che si innesta il coro femminile di IKI, capace di costruire paesaggi vocali stratificati, dal canto corale alla frammentazione, dalle armonie sospese alle dissonanze. La loro presenza moltiplica la voce, la disperde e la ricompone, restituendo la sensazione di una mente attraversata da echi e presenze multiple.

La presenza sonora che generano culla in un letto di parole strazianti, che restituiscono la rottura fra la rappresentazione, la forma, ed il contenuto. Sono voci pienamente umane, pienamente in grado di creare scenografie emotive e riflessive. 
Accanto alla scrittura musicale di Bargeld, nello spettacolo emergono i brani di Nils Frahm, selezionati per la loro dimensione atmosferica, sospesa tra pianoforte, elettronica e droni.
La sua musica si intreccia con testi e voci in una partitura che privilegia la ripetizione, la tensione ipnotica, i salti improvvisi di intensità. Nuovamente il risultato è un paesaggio sonoro che non accompagna l’azione scenica, ma la determina: non c’è recitazione in senso classico, perché qui la musica è la drammaturgia, e la drammaturgia è la musica totale.
La parte visiva, affidata a Magnus Pind per il video, Henrik Vibskov per i costumi e Jesper Kongshaug per le luci, trasforma la scena in un campo di interferenze. Le proiezioni dei disegni di Hill invadono lo spazio e i corpi, i costumi diventano superfici luminose, vive,riflettenti, e rigonfie, anche loro con una storia intima, privata e parallela.

La luce crea apparizioni e sparizioni come un’entità che modella la materia e riscrive la dimensione di spazi e corpi. In questo dispositivo la scena non è uno sfondo: è uno schermo vivo, instabile, in cui immagine, visione e segni si fondono e si plasmano a vicenda. La forza di Flammenwerfer è proprio nel modo in cui audio e multimedialità non restano linguaggi paralleli ma si intrecciano fino a perdere i propri confini. Talvolta suono e immagine procedono all’unisono, molte altre volte si disallineano deliberatamente, creando cortocircuiti sensoriali che producono spaesamento. Nei momenti di silenzio il vuoto acustico si riempie di immagine, nei blackout visivi è il suono a dominare, e in entrambi i casi lo spettatore si trova immerso in uno spazio percettivo instabile. Più che uno spettacolo, Flammenwerfer è un’esperienza che chiede di essere abitata. L’arte visiva di Hill, le sonorità di Bargeld e Frahm, le voci di IKI e l’impianto scenico di Hotel Pro Forma si fondono in un unico organismo, un congegno che non racconta ma mette in condizione di percepire. È un teatro che non cerca il conforto della narrazione, ma l’impatto fisico dell’immagine e del suono, un luogo in cui il pubblico diventa parte attiva del delirio poetico messo in scena.

Flammenwerfer, collaborazione tra Hotel Pro Forma, Blixa Bargeld e l’ensemble vocale femminile IKI
Romaeuropa Festival – Teatro Argentina, 26-28.09.2025

immagini: (cover 1 -2-4) Flammenwerfer, Teatro Argentina, Romaeuropa Festival, foto: Emma Larsson (3) Blixa Bargeld, Flammenwerfer, Teatro Argentina, Romaeuropa Festival, Roma, foto: Emma Larsson

 

 

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VIDEO POST > Chiroptera

Par : Arshake
5 octobre 2025 à 09:44

VIDEO POST rilancia la documentazione di “Chiroptera”, trasformazione visiva della facciata del Palais Garnier nel novembre 2023 per mano dell’artista urbano JR che con il suo intervento multimediale ha accompagnato la performance con 154 ballerini che con le coreografie di Damien Jalet su una musica di Thomas Bangalter. Il progetto è stato presentato nell’ambito dell’Atto II di “Retour à la Caverne”, con la collaborazione tra l’Opéra di Parigi, JR e di 19M. Il costume indossato dalla ballerina Étoile Amandine Albisson che si è esibita nello spettacolo è stato disegnato e realizzato da CHANEL. La Maison ha inoltre sostenuto la progettazione e la realizzazione dei costumi per i 153 ballerini.

JR, Damien Jalet, Thomas Bangalter, Chiroptera, Palais Garnier, 12.11.2023, video pubblicato sul canale di Chanel. Progetto creato da JR, Damien Jalet e Thomas Bangalter, con Amandine Albisson, Étoile ballerina della Paris National Opera

immagine: JR, Damien Jalet, Thomas Bangalter, Retour à la Caverne – Acte II, 12 novembre 2023, 21h22, Chiroptera, Représentation, Palais Garnier, Paris, France, 2023 (c) JR

 

 

 

 

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FRAME > You Are Here

Par : Arshake
28 septembre 2025 à 20:17

FRAME cattura You Are Here (2024), prima opera scultorea statica di Philip Vermeulen, che cattura un fenomeno visivo effimero in forma fisica. Per quanto statica, la scultura risponde in maniera sempre diversa ai cambiamenti di luce e ai movimenti degli spettatori.

Philip Vermeulen, You Are Here, 2024, immagine via

 

 

 

 

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VIDEO POST > Pluvial

Par : Arshake
28 septembre 2025 à 11:24

VIDEO POST rilancia Pluvial di Kerstin Ergenzinger, architettura sonoro-tattile ad ottanta canali, composto da tamburi auto-costruiti e controllati digitalmente, per simulare acusticamente condizioni di pioggia.

Kerstin Ergenzinger, Pluvial, 2019
Parte del progetto di ricerca “Rhythmic Textures”, finanziato dalla Fondazione Einstein di Berlino, realizzato con la Scuola di Specializzazione dell’Università delle Arti di Berlino, con il sostegno del programma SMArt® Steps di Dynalloy.Inc. La modulazione della tensione di controllo pwm casuale si basa sui dati open source della rete di misurazione delle precipitazioni Ocean Rain And Ice-phase (OceanRAIN). Il video contiene la documentazione della
mostra: “What if it won’t stop here?” presso Archive Books Berlin e di “Be Water#1 – Pluvial – A Sono-Tactile Architecture”, loop – raum für aktuelle kunst, Bpart Exhibition Berlin. Fotografia da loop © Andreas Schimanski © Kerstin Ergenzinger / VG – Bildkunst

 

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VIDEO POST > Buoyant Choreographies

Par : Arshake
6 septembre 2025 à 13:59

VIDEO POST rilancia Buoyant Choreographies di Dennis Hong, Yusuke Tanaka. Palloncini robotici si muovono liberamente nello spazio condizionati anche dall’interazione dei visitatori attraverso tatto, gamepad o flussi d’aria direzionati.

Dennis Hong, Yusuke Tanaka, Buoyant Choreographies: Harmonies of Light, Sound, and Human Connection, 2025. Il progetto è stato presentato per la prima volta alla Conferenza internazionale IEEE 2025 sulla robotica e l’automazione (19-23 maggio, Atlanta, USA)

 

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PneumOS, per respiro generativo

5 septembre 2025 à 09:40

Oriana Persico, artista e scienziata cyber-ecologista, porta all’Expo 2025 di Osaka pneumOS, un’opera interattiva che unisce arte, scienza e tecnologia per trasformare i dati sulla qualità dell’aria in un’esperienza sensoriale e poetica. A metà tra polmone e strumento musicale, l’installazione respira con la città e con il Padiglione Italia, coinvolgendo i visitatori in una nuova consapevolezza del bene comune più essenziale: l’aria. Composto da una sacca respiratoria e cinque membrane sonore, elabora in tempo reale le rilevazioni di tre centraline di Ravenna, traducendole in una “Grammatica del Respiro” che varia dal respiro calmo e armonico dell’aria pulita all’ansimare acuto dell’inquinamento, arricchita a Osaka da un anello di LED che scrive nell’aria un linguaggio luminoso. Collocata nella sezione “IO” del Padiglione Italia, progettato da MCA – Mario Cucinella Architects, l’opera dialoga con capolavori come l’Atlante Farnese, Leonardo, Caravaggio e Tintoretto, incarnando il tema “Art Regenerates Life” e coinvolgendo i visitatori in un’esperienza co-sensibile che li trasforma in custodi del respiro urbano.

Questa è la terza opera datapoietica, dopo Obiettivo (2019), esposto nella Collezione Farnesina, e U-Datinos (2021), presentato presso l’Ecomuseo Urbano Marememoria Viva a cura del Centro di Ricerca HER – She Loves Data, e rappresenta la prima realizzata dopo la scomparsa di Salvatore Iaconesi, con cui Oriana Persico ha fondato il duo artistico AOS – Art is Open Source. L’opera recupera, rinnova e rigenera l’intero pensiero di Iaconesi sulla datapoiesi, trasformando i dati in materia sensibile e linguaggi condivisi.

pneumOS rappresenta un gesto radicale, un organo cibernetico respira con la città, trasformando dati invisibili in esperienza co-sensibile. Non è una semplice installazione tecnologica, ma una creatura vivente di luce, suono e movimento, capace di far emergere una grammatica del respiro come dato aperto dove la scienza incontra la poesia.  pneumOS alimenta, registra e traduce il battito invisibile dell’epoca contemporanea, l’aria che respiriamo, fragile e condivisa dove la pratica e la tattica coabitano nutrendo un’eredità personale e collettiva. Visivamente, pneumOS sfida ogni categoria, è esotico senza essere esoterico, festoso come una celebrazione che accoglie il rituale del respiro del mondo. Le sue forme ricordano foreste, membrane, funghi e meduse fuse in un ecosistema alieno, un paesaggio che potrebbe appartenere tanto a un futuro ipertecnologico quanto a un mito primordiale. Il respiro non è solo metafora, ma meccanismo concreto attraverso cui l’opera stabilisce una relazione dinamica con l’ambiente e gli osservatori, creando un ciclo di influenze reciproche che ricorda i processi di coevoluzione tra specie biologiche.

La sua fisicità – a metà tra un polmone e uno strumento musicale – tradisce-traduce la sua vocazione, essere una macchina empatica, un organismo che non misura soltanto, ma sente e con-sente. I dati sulla qualità dell’aria non sono qui cifre fredde, ma diventano ritmo, vibrazione, colore e frequenza sonora. L’aria pulita “suona” con toni limpidi, quella inquinata geme con bassi cupi. pneumOS appartiene a una nuova generazione di “organi senza corpo”,  non più  un cyborg nel senso tradizionale, perché non fonde carne e metallo, piuttosto un infoborg (termine prestato da Luciano Floridi), un agente “data-zoetico” che contiene al suo interno la vita dei dati, i respiri dei viventi, nel loro farsi contemporaneamente poiesis e áisthesis, incrocio sensibile del sentire comune. pneumOS è entità che vive e si riproduce nel sistema epigenetico della cultura. Come nella biologia l’epigenetica trasmette informazioni senza mutare il DNA, così pneumOS dissemina conoscenza e pratica senza vincoli di hardware unico, ma di codice aperto. pneumOS è pensato per essere replicato, modificato, trapiantato in altri contesti urbani, ogni città può accoglierlo e dargli un respiro unico e irripetibile. L’“anatomia di questo organo alieno è un apparato respiratorio robotico che simula un polmone umano, membrane fonatorie che traducono i dati in suono, un anello di LED che scrive nell’aria un linguaggio luminoso.

Ma la vera innovazione sta nell’includere, nella sua tassonomia, il “ruolo nell’ecosistema”: l’osservatore diventa parte attiva, sviluppa senso-abilità (sensable) assumendosi responsabilità verso ciò che respira insieme a lui. Non si è più spettatori, ma custodi respons-abili e abilitati alla responsabilità. Dentro pneumOS c’è la memoria di Salvatore Iaconesi, il suo pensiero che si trasforma in battito continuo, un codice che respira pneumatiche vibrazioni, conservando e riabilitando dentro le due lettere grandi OS l’inizio verso una mentalità aperta (open source) che registra anche il cuore universale e autentico di Oriana-Salvatore.  pneumOS consegna nel suo grembo materno e generativo una  “scuola di conoscenza”, smontando, hackerando e ricostruendo un laboratorio vivente affinché diventi linguaggio comune, in un’epoca di crisi del respiro – inquinamento, crisi climatica, pandemie.  pneumOS non è solo una diagnosi, ma una terapia. Se l’aria è bene comune, allora pneumOS aziona e sviluppa un’intelligenza collettiva-connettiva-generativa capace di trasformare la qualità dell’ambiente in pratica di cura reciproca.  Il suo respiro è fisico e metaforico, pulsa con la città, custodisce memorie e genera presente che trasuda la perfomance di un futuro che ha nel suo nervo il participio del presente del r-esistere. È un respiro nuovo per un mondo-mondi che deve imparare a respirare diversamente – e farlo insieme (co-respirando).

preghiera
nascosta
espira
umbratile
mondi
Organici
Spirano

immagini (tutte): (cover 1) Oriana Persico,«pneumOS», Expo 2025

 

 

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Serpentine Pavillon 2025

Par : Arshake
16 août 2025 à 11:07

Celebrata per il suo lavoro nella creazione di un linguaggio architettonico contemporaneo e profondamente legato a un luogo, un clima, un contesto, una cultura e una storia specifici, Marina Tabassum porta la sua visione distintiva al Serpentine Pavilion 2025. Il suo progetto evoca un dialogo significativo tra la natura permanente e quella effimera della commissione.

Lungo l’asse nord-sud del parco, A Capsule in Time presenta una forma allungata simile a una capsula con un cortile centrale allineato al campanile della Serpentine South. Ispirata alle passeggiate estive nei parchi e alle tettoie ad arco dei giardini che filtrano la luce soffusa del giorno attraverso il fogliame verde, la struttura è composta da quattro forme scultoree in legno con una facciata traslucida che diffonde e filtra la luce quando entra nello spazio. Parte integrante del progetto di Tabassum è un elemento cinetico che consente a una delle capsule di muoversi, collegarsi e trasformare il padiglione in un nuovo spazio.

Enfatizzando le possibilità sensoriali e spirituali dell’architettura attraverso la scala e il gioco di luci e ombre, il progetto di Tabassum si ispira alla storia e alla tradizione architettonica delle tende Shamiyana o dei tendoni dell’Asia meridionale. Simili nella loro funzione cinetica, queste strutture sono realizzate in tessuto sostenuto da pali di bambù e sono comunemente utilizzate per riunioni e celebrazioni all’aperto. L’apertura del padiglione di Tabassum accoglie le possibilità di unire i visitatori attraverso conversazioni, connessioni, programmi dal vivo e incontri pubblici.

(dal comunicato stampa)

Serpentine Pavilion 2025 di Marina Tabassum
La selezione per il Serpentine Pavilion 2025 è stata effettuata da Bettina Korek, amministratore delegato, e Hans Ulrich Obrist, direttore artistico, insieme a Julie Burnell, direttore dei lavori e dei progetti speciali, Chris Bayley, curatore delle mostre, Natalia Grabowska, curatrice generale, architettura e progetti site-specific, e Alexa Chow, assistente curatrice delle mostre, insieme ai consulenti Sou Fujimoto e David Glover.
Marina Tabassum (nata nel 1969 a Dhaka, Bangladesh) è un’acclamata architetta e docente che ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per il suo contributo nel campo dell’architettura. Si è laureata nel 1995 presso la Bangladesh University of Engineering and Technology. Prima di fondare Marina Tabassum Architects (MTA) nel 2005, Tabassum è stata socia fondatrice dello studio URBANA con sede a Dhaka tra il 1995 e il 2005 insieme a Kashef Chowdhury. Nel 1997, URBANA ha vinto il concorso nazionale per la progettazione del Monumento all’Indipendenza del Bangladesh e del Museo dell’Indipendenza sotto l’egida del Dipartimento dei Lavori Pubblici e del Ministero degli Affari della Guerra di Liberazione. Lo studio di Tabassum mantiene volutamente dimensioni contenute, dando priorità al clima, al contesto, alla cultura e alla storia, e intraprendendo un numero limitato di progetti all’anno.

 

 

 

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Open call – V&A East

Par : Arshake
22 juillet 2025 à 18:44

V&A East offre una importante opportunità: il Design Trust Fellowship, programma della durata di un anno che assegna a un professionista creativo un finanziamento per svolgere attività di ricerca presso il V&A East Storehouse, lavoro sul campo a Hong Kong, nella Greater Bay Area e in Cina, ove opportuno, e per realizzare una nuova opera creativa, che sarà esposta al V&A East per una stagione di sei mesi.

La prima edizione della V&A East Design Trust Fellowship avrà inizio nell’autunno del 2025 e culminerà con un’opera commissionata che sarà esposta dall’autunno del 2026 alla primavera del 2027.

Ai professionisti viene chiesto di rispondere al tema “Le storie dei vestiti”, con una ricerca incentrata su Hong Kong, la Greater Bay Area e la Cina.

Siamo interessati a progetti radicati nella ricerca oggettuale che esplorino il significato dei vestiti, interrogandosi su ciò che il nostro abbigliamento rivela di noi, dal complesso e intricato rapporto che abbiamo con il nostro corpo al modo in cui il loro design, la loro produzione e il loro smaltimento plasmano il nostro mondo.

Ispirati dalla metodologia di Saidiya Hartman nell’approccio agli archivi, siamo interessati a come “le contro-narrazioni che recuperano il terreno ribelle delle vite umane” possano essere trovate attraverso il lavoro sul campo all’interno e all’esterno del museo.

Basato sulla ricerca, il risultato creativo finale potrà essere realizzato con qualsiasi mezzo, ma i professionisti sono invitati a considerare l’idoneità del loro progetto per un’installazione di sei mesi in un edificio pubblico. Si prega di notare che i costi di produzione del lavoro sono inclusi nella borsa di studio.

Il candidato prescelto riceverà 275.000 HKD per finanziare il proprio tempo, le spese di viaggio, l’alloggio e i costi di produzione di un nuovo lavoro da installare al V&A East. I borsisti possono risiedere in qualsiasi parte del mondo, ma ci aspettiamo che almeno tre settimane di ricerca si svolgano presso il V&A East Storehouse.

Il bando è aperto dal 3 luglio fino alla mezzanotte di venerdì 22 agosto 2025. I candidati sono pregati di inviare in inglese: un piano di ricerca e una proposta concettuale per una nuova opera da esporre al V&A East (non più di 500 parole e fino a cinque immagini); un budget di come intendono allocare i 275.000 HKD; e un CV (non più di 500 parole).

Le candidature saranno esaminate collettivamente dai membri del team V&A East e del team Design Trust. Il team potrà selezionare un piccolo gruppo di candidati e procedere a dei colloqui. I finalisti saranno selezionati entro settembre.

Si prega di inviare le candidature entro venerdì 22 agosto 2025 all’indirizzo designtrustfellowship@vam.ac.uk.

Calendario della borsa di studio

Settembre 2025: nomina del borsista / ottobre-dicembre 2025: fase di ricerca / gennaio-marzo 2026: sviluppo del concept / aprile-settembre 2026: produzione e installazione del nuovo lavoro / ottobre 2026-marzo 2027: esposizione dell’opera commissionata.

Maggiori informazioni su V&A East

V&A East comprende due nuovi siti gemelli nel Queen Elizabeth Olympic Park di Londra. Il V&A East Storehouse offre un accesso completo alla collezione del V&A. Entra dietro le quinte e segui il tuo percorso attraverso il mondo dell’arte, del design, dello spettacolo, della moda e molto altro ancora. Con gallerie, mostre ed eventi che mettono in luce le persone, le idee e la creatività che stanno plasmando la cultura globale in questo momento, il V&A East Museum è il luogo ideale per incontrare persone, trovare ispirazione e nuove idee. Apertura nella zona est di Londra nella primavera del 2026.

Maggiori informazioni su Design Trust

Design Trust è stata fondata nel 2014 da Hong Kong Ambassadors of Design, un ente di beneficenza registrato a Hong Kong dal 2007, come piattaforma di finanziamento e comunità. Design Trust sostiene progetti creativi che sviluppano competenze, iniziative di ricerca e contenuti relativi a Hong Kong e alla Greater Bay Area. Operando in una molteplicità di discipline del design, dalla grafica, ai media, all’architettura, all’ambiente costruito, Design Trust mira ad accelerare attivamente la ricerca creativa, il design e lo sviluppo di progetti significativi che promuovono il ruolo positivo del design.

Design Trust Fellowship 2025

 

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FRAME > Inner, Outer, Other

Par : Arshake
21 juillet 2025 à 18:43

FRAME cattura Inner, Outer, Other di Sebastian Kite installazione di luce, suono, specchi, aqua e aria che trasforma l’atrio centrale della Sparkasse di Hildesheim (Germania) in un’esperienza ultraterrena.

Sebastian Kite, Inner, Outer, Other, 2020, EVI Lichtungen, Hildesheim, Germany, immagine via
Commissioning body: EVI Lichtungen 2020 | Patron: Sparkasse, Germany  | Curators: Alice Hinrichs, Klaus Wilheim | Photography: Sebastian Kite

 

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In dialogo con Roberto Ghezzi

Par : Laura Catini
19 juillet 2025 à 18:08
Il progetto artistico “Iceland still”, ideato da Roberto Ghezzi e dedito a una nuova spedizione di ricerca in Islanda, si è concentrato nei mesi di giugno e luglio, nella parte meno civilizzata dell’isola, quella orientale, tra Egilsstaðir, Höfn e Landmannalaugar. La realizzazione si è svolta in collaborazione con fotografo Antonio Manta e il pilota di droni Leonardo Vianello Mizar, gli sponsor tecnici Light Adventures, BAM di Antonio Manta, e il supporto di Phoresta ETS.
La mia riflessione sul lavoro di Roberto Ghezzi mi porta inequivocabilmente a parlare in termini critici di un termine che oggi sta felicemente subendo un riesame da parte del settore: il tempo. È indubbio che i progressi informatici e tecnologici hanno, anzitutto, un impatto sulla vita umana e sul tempo naturale dell’individuo. Una scansione delle ore che non trova la sua corrispondenza nemmeno nello scorrimento del tempo circoscritto dallo strumento di misurazione, l’orologio, invenzione artificiale dell’uomo stesso.
Si può far riferimento, con tale connotazione, già ad Aristotele che ne parlava in relazione allo svolgersi di eventi e in rapporto con la metamorfosi. Ed è proprio il mutamento che il nostro indaga, ricercando la possibilità di una sussistenza simultanea di quello scorrere naturale del tempo in una latitudine ove tutto sembra fluire più lentamente, quasi fermandosi, in un paesaggio che “non ha alberi, né persone, è immobile” – sostiene Ghezzi.
Va anche sottolineato che l’artista si distanzia dallo Jeweiligkei, quell’ora naturale che dimora nella determinazione dell’esistenza umana sin da sempre, nell’esserci dell’essere come tempo. Fa riferimento, infatti, come autentico prosieguo di una ricerca in itinere e generatrice di nuovi nessi, a un’inversione di sguardo che vuole la Natura come soggetto principe e agente del suo stesso lavoro. Ne parlo in dialogo con l’artista.

Laura Catini: Il tempo è stato presente, seppur sopito sinora, nel tuo esplorare e restituire la Natura. La ricerca sulla sua scansione prende luogo, in un paesaggio che sembra essere ossimoro per l’indagine, in Islanda. In una latitudine, in cui affermi essere tutto sospeso. Quasi a voler rendere evidente qualcosa che non c’è ma si percepisce. È un esame molto legato alla propria psiche…

Roberto Ghezzi: Ho scelto l’Islanda proprio per questo. In quest’isola gli avvenimenti “evidenti” sono rari, si muovono nuvole, icebergs, si muovono le onde del mare, ma nessun albero e, dove sono io, nessun essere umano o animale tranne rari uccelli a tradire la presenza del tempo. Che “forse” c’è, ma non si vede. Si, si intuisce, dentro di noi. Ma se lasciassimo soltanto parlare ciò che ci circonda?  Lo sentiremmo ancora così bene, questo flusso, questa freccia verso il futuro?

È difficile dichiarare l’attuale spedizione di ricerca come un fondersi tra arte e scienza, come sostiene la Fisica quantistica in relazione al tempo e nonostante le più recenti scoperte…

Per quanto la mia preparazione non mi permetta di essere un cultore della materia, sono affascinato dagli ultimi studi sul tempo affrontati da molti fisici nel corso degli anni. Ancora mi sconvolge la relatività, e sono più di 100 anni che ne abbiamo contezza. Figuriamoci pensare all’ipotesi della “non esistenza” del tempo.

Lavorando da sempre con lunghe esposizioni (naturografie, foto stenopeiche, ecc), si può però dire, in effetti, che io abbia lavorato sempre con un susseguirsi di eventi, con un accumulo di tracce. Ecco, in questo caso lo studio si è approfondito proprio in tal senso, inseguendo la sequenza di queste tracce, focalizzando l’attenzione su ciò che, dato un certo paesaggio, variava rispetto all’attimo precedente in quello stesso paesaggio. E vi assicuro che in 24 ore, anche in un territorio immobile come l’Islanda degli altipiani interni, si muovono molte cose.

In questa occasione hai deciso di abbandonare le “camere oscure” dell’Annapurna in Nepal per far impiego di una tecnologia di ultima generazione…

Sì, mi piace sempre variare l’approccio al paesaggio, pur rimanendo fedele alla mia ricerca. Grazie al supporto del fotografo e stampatore Antonio Manta ho usufruito di attrezzature di ultima generazione: può sembrare banale, ma fotografare ininterrottamente lo stesso paesaggio per 24 ore richiede prestazioni davvero elevate, in termini di macchina, di batterie, di schede di memoria…e se poi ci si mette anche il clima artico.

Nonostante l’utilizzo di una strumentazione sofisticata, si prevede l’ingresso di alcuni compromessi nel processo creativo…
Non so ancora come realizzerò la restituzione finale dell’opera. Non è detto che sia una fotografia digitale (che già di per sé, vi anticipo, sarebbe un lavoro di una complessità estrema perché immaginate cosa può significare sovrapporre 1500 scatti da 300 megabyte ciascuno, in un unico livello, conservando trasparenze e visibilità). Potrebbe comunque essere anche un’installazione analogica. In definitiva, come spesso è accaduto in passato con altre ricerche, è nel processo, nel percorso, nel viaggio, che ho avuto le più grandi soddisfazioni.

ICELAND STILL, progetto di Roberto Ghezzi, Islanda Orientale, Spedizione di ricerca tra arte e scienza
Sedi varie: Egilsstaðir – Höfn – Landmannalaugar, giugno-luglio 2025
In collaborazione con Antonio Manta e Leonardo Vianello Mizar | Sponsor tecnici Light Adventures e BAM di Antonio Manta | Supporto Phoresta ETS | Communication Manager: Amalia Di Lanno

immagini: (cover 1): Roberto Ghezzi, «Iceland Still», 2025, Courtesy the Artist (2) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», 2025, Courtesy the Artist (3) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», laguna ghiacciata, multipla esposizione 22′, 2025 (4) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», Islanda interna, lunga e multipla esposizione 10′, 2025 (5) Roberto Ghezzi, «Iceland Still», i deserti neri, lunga esposizione, 2025

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Quayola a Videcittà 2025

16 juillet 2025 à 19:25

In occasione dell’ottava edizione di Videocittà, il festival dell’audiovisivo e della cultura digitale che si tiene a Roma dal 2018, Quayola (Roma, 1982) ha presentato in anteprima SOLAR, un’installazione site-specific concepita per l’iconica struttura del Gazometro.  

L’opera sfrutta la struttura ferrea del monumento industriale — articolata in pieni e vuoti — per offrire una doppia modalità di visione, sia dall’interno che dall’esterno.

L’installazione propone un’effimera rappresentazione del sole attraverso una coreografia di luci calde e fredde che, accompagnata da una traccia audio alternante momenti distesi e trilli serrati, amplifica la percezione del suo moto apparente e delle diverse fasi della giornata. Lo spettacolo di Solar  inizia con una densa effusione di fumo artificiale che inonda l’intero spazio per intensificare gli effetti della luce e creare un’atmosfera rarefatta, quasi cosmica, in cui il pubblico è immerso fisicamente. 

Le proiezioni luminose derivano da un braccio robotico – elemento ricorrente nei lavori dell’artista – collocato al centro dell’installazione, e da altri faretti motorizzati ancorati al perimetro circolare della struttura. Il Gazometro, infatti, funge da scheletro dell’installazione e da superficie di proiezione; i fari che colpiscono il reticolo metallico riflettono immagini stroboscopiche di astri luminosi che circondano la stella madre del sistema solare.

SOLAR si inserisce nel percorso di ricerca di Quayola che da tempo osserva e rielabora la natura attraverso l’impiego di nuove tecnologie. Con una durata di circa dieci minuti, l’installazione condensa un’esperienza immersiva che intreccia luce, suono e il genere paesaggistico. 

Dopo la prima romana, l’opera prosegue in un tour internazionale, portando con sé la visione di un Sole sintetico capace di reinterpretare il rapporto tra natura, tecnologia e monumentalità urbana.

Davide Quayola, SOLAR, Videocittà 2025
Presentata in prima mondiale dal 3 al 6 luglio 2025, SOLAR inaugurerà un tour internazionale che proseguirà
ad agosto a Toronto. SOLAR è un’installazione site-specific di Quayola, realizzata da Eni, curata da Videocittà in collaborazione con The Bentway Toronto, con la produzione esecutiva di Eventi Italiani.
immagini (tutte): Quayola, «SOLAR», Videocittà 2025, Roma

 

 

 

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Ars Electronica 2025

Par : Arshake
12 juillet 2025 à 18:00

Torna a settembre Ars Electronica, festival dal 1979 dedicato all’intreccio tra arte, tecnologia e società, che esplora lo status quo del nostro tempo, oggi un’epoca piena di contraddizioni e incertezze e quest’anno dedicato al tema del Panico e delle sue conseguenze politiche. 

Panico, sì o no? Non dovremmo essere già da tempo in uno stato di panico assoluto? Perché non lo siamo? Sembrano esserci innumerevoli motivi per farsi prendere dal panico. O è solo allarmismo? Quanto può durare la speranza e cosa succederà dopo?

Quando non riusciamo più a capire il mondo che ci circonda, quando le cose cambiano più velocemente di quanto riusciamo a comprenderle, noi esseri umani tendiamo apparentemente a diventare irrazionali, prestando più attenzione al volume di una voce che al suo contenuto, e preferendo credere che ciò che vogliamo sentire sia la verità. Ci ritroviamo nella caverna di Platone, adorando gli interpreti delle ombre.

Niente sembra più inquietante del cambiamento, eppure niente è più urgente del cambiamento. Ma siamo sempre meno capaci di concordare su cosa o chi debba cambiare e su come farlo….

e cosa intendiamo quando parliamo di cambiamenti radicali?

Venite, radunatevi, gente

Ovunque voi siate

E ammettete che le acque

Intorno a voi sono cresciute

E accettate che presto

Sarete bagnati fino alle ossa

Se il vostro tempo vi è caro

E fareste meglio a cominciare a nuotare

O affonderete come un sasso

Perché i tempi stanno cambiando

Quando Bob Dylan scrisse queste righe nel 1963, così attuali ai nostri giorni, non da ultimo in considerazione del fatto che il livello delle acque sta letteralmente salendo, il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti aveva raggiunto il suo apice: la Marcia su Washington e il discorso di Martin Luther King “I have a dream” di Martin Luther King sono diventati iconici nella storia – ed era chiaro a tutti di quale tipo di sconvolgimento si parlasse: nuovi inizi, progresso, libertà, codificati come ideali del mondo occidentale, sembravano così irresistibilmente convincenti e inarrestabili che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che prevalessero a livello globale.

 

Era anche il momento in cui gli Stati Uniti erano finalmente riusciti a posizionarsi come potenza egemonica globale: militarmente, economicamente e forse soprattutto culturalmente, l’“American Way of Life” prevaleva nel mondo libero. A livello politico, il “Ich bin ein Berliner” (Io sono un berlinese) di John F. Kennedy, pronunciato pochi mesi prima del suo assassinio, divenne il simbolo leggendario di una concezione egemonica di un sovrano protettivo che non soggioga, ma motiva la fedeltà volontaria attraverso i vantaggi e le promesse del suo stile di vita. Almeno così veniva interpretato, poiché altrove non si facevano scrupoli a ricorrere alla forza militare e alla deterrenza nucleare come strumenti di potere. (La guerra del Vietnam, durata vent’anni, dal 1955 al 1975, non fu combattuta per conquistare il Paese, ma piuttosto per affermare la propria leadership).

Mancava solo il crollo dell’URSS dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e l’accordo sembrava concluso. Tuttavia, si era trascurato il fatto che le interdipendenze e le dipendenze economiche derivanti dalla globalizzazione e dalla liberalizzazione dei mercati, insieme all’infrastruttura digitale globale, avrebbero portato anche a un decentramento delle strutture di potere. Non una dissoluzione, ma una frammentazione in cui il potere non è più esercitato esclusivamente attraverso il controllo diretto o strutture gerarchiche, ma dipende sempre più dalla costruzione di consensi e dal bilanciamento degli interessi.

Nel conseguente interregno egemonico, non solo si sono posizionati gli attori geopolitici emergenti, in particolare la Cina, ma si è anche assistito a un massiccio spostamento verso le società tecnologiche che, con le loro sfere di potere feudali, eludono la regolamentazione statale in molti settori. Sebbene gli Stati Uniti rimangano il sistema nervoso centrale dei mercati finanziari globali, questo simbolo di potere ha anche subito segni visibili di erosione a causa delle dinamiche della globalizzazione e, più recentemente, dell’ascesa delle criptovalute.

Il panico non nasce dalla semplice paura del pericolo, ma dalla consapevolezza della sua inevitabilità, dalla sensazione di essere esposti ad esso senza alcuna possibilità di fuga o controllo.

In questo contesto, il ricorso irrazionale (perché non basato su fatti e strategie realistiche) a ideologie fasciste oligarchiche, come quello che vediamo attualmente negli Stati Uniti, può certamente essere visto come una reazione di panico di una potenza globale che deve affrontare il fatto di aver perso, o di stare per perdere, la propria egemonia. La frustrazione per il “declino americano” è quindi una delle motivazioni più forti alla base della narrativa MAGA. Cercare di spiegare l’ampio sostegno solo con l’insoddisfazione per i prezzi elevati delle uova è riduttivo e trascura la psicologia più profonda che sta dietro.

Il comportamento aggressivo e irregolare di Trump, dei suoi seguaci e dei suoi agitatori – questi castelli in aria di rabbia e presunzione – nella loro forza e tenacia recano chiari tratti di una ribellione finale, un rifiuto provocatorio della realtà. Sappiamo quanto siano pericolosi e distruttivi questi sintomi di agonia, non solo da molti esempi storici, ma anche dall’attuale restaurazione bellicosa di Vladimir Putin e dall’ampio consenso di cui godono le sue politiche in Russia.

Lo stesso si può dire del nuovo estremismo di destra in Europa, dove l’unica novità è la sua preoccupante espansione e la noiosa insensibilità con cui affrontiamo questi eccessi.

In un mondo senza precedenti, interconnesso e senza confini digitali, le persone cercano improvvisamente di nuovo confini e limiti territoriali; i problemi dei flussi migratori sono solo una parte della ragione di questo fenomeno. L’improvviso risveglio dell’interesse per la proprietà della terra e il territorio fisico, che si riflette nella retorica di coloro che lasciano l’UE e nelle fantasie di Trump di annettere la Groenlandia e il Canada, è una reazione alla perdita di controllo che si prova nelle alleanze internazionali e globali. Chi non riesce ad affermarsi nell’ampio spazio della negoziazione e della costruzione del consenso preferisce tornare al tavolo piccolo e batterci i pugni.

Cosa dovremmo temere.

Si sta diffondendo un clima di paura, che va dal rifiuto vago all’odio profondo, diretto contro tutto ciò che sa di cambiamento.

Contro l’immigrazione, contro gli attivisti per il clima, contro la diversità, contro le persone transgender, contro la consapevolezza che il mondo è molto più complesso di quanto vorremmo che fosse. Il buon senso viene dichiarato superiore alla scienza e alla conoscenza, e la verità non è più definita come la concordanza di un’affermazione con il suo oggetto, ma piuttosto come il minimo comune denominatore delle affermazioni che corrispondono più da vicino a ciò che desideriamo piuttosto che a ciò che sta realmente accadendo. 

Indipendentemente dal fatto che il 2024 sia stato l’anno più caldo mai registrato, indipendentemente dal fatto che la vaccinazione contro il coronavirus abbia salvato innumerevoli persone da malattie gravi, dal COVID a lungo termine e persino dalla morte… ecc. ecc.

Questa erosione della verità, guidata dagli algoritmi dei social media orientati al profitto, è seguita dall’erosione della fiducia, forse l’elemento più importante per la coesione di una società.

Ciò che sta trasformando la paura in panico, ancora più dell’imprevedibilità e dell’incoscienza dell’amministrazione Trump, è il disorientamento emergente ora che Trump ha rinunciato alla lealtà e alla solidarietà – pietre miliari dell’ordine egemonico dalla fine della seconda guerra mondiale 80 anni fa – all’interno dell’intero mondo libero (compresi gli Stati Uniti). Un disorientamento a seguito del quale l’Europa si sta ora impegnando, a una velocità vertiginosa, in un’economia di guerra e si sta armando con armi che saranno in gran parte inutili nella battaglia davvero decisiva dei prossimi decenni: la lotta contro gli effetti del cambiamento climatico.

Quando la paura non può più essere attribuita a pericoli e rischi specifici, si trasforma in panico; viene rilasciato l’ormone dello stress, l’adrenalina, il battito cardiaco accelera, più sangue viene pompato nelle vene e i muscoli si irrigidiscono.

Reagiamo in modo sconsiderato o concentriamo le nostre forze?

La paura ci rende piccoli e scoraggiati. Come possiamo mantenere e rafforzare il nostro slancio per il futuro?

Come evitare di rimanere bloccati nella paura dell’incertezza e dimenticare che solo attraverso il cambiamento costante possiamo andare avanti? Insistendo sullo status quo, ci priviamo del potere dell’immaginazione e del coraggio di vedere il futuro come una prospettiva realizzabile che dobbiamo plasmare.

Ed è proprio questo il compito dell’opera artistica e del suo impatto in questo periodo di profondi sconvolgimenti.

Ars Electronica 2025. Panico si, panico no?, 03-07.09.2025, Linz, Austria

immagini: (cover 1) Ars Electronica (2) Deep Space 8K – Ars Electronica Center, Photo- Ars Electronica _ Magdalena Sick-Leitner (3) Neural Latency / Elena Pedroche-Sánchez (ES) artist, Pablo Galindo Serrano (ES) artist, Rosa Blanca Anguita (ES) engineer; Inspiring scientist- Jorge Tirado Caballero (ES) neurosurgeon and researcher, Photo- Miguel Mendonza-Malpartida (4) Prix Ars Electronica Award Ceremony, Photo- tom mesic (5) ars_electronica2 (6) Dystopia Land _ Etsuko Ichihara (JP), Civic Creative Base Tokyo [CCBT] (JP), Photo- Ayami Kawashima (7) Bacteria cloud of clouds _ Natalia Rivera (CO), Photo- Natalia Rivera (8) Organism + Excitable Chaos, Navid Navab, Garnet Willis, Photo- vog.photo

 

 

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FRAME > Δ [Delta]

Par : Arshake
12 juillet 2025 à 08:15

FRAME cattura Δ [Delta] di Miha Godec, installazione sonora interattiva che utilizza la bio-sonificazione per avvicinare emotivamente le persone a processi naturali altrimenti impercepibili.

Miha Godec, Δ [Delta], 2023
Il progetto è stato presentato nell’ambito della mostra collettiva, konSekvence ≡ Fragmenti možnega ekosistema
Cukrarna, Ljubljana, Slovenia

Δ [Delta]

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Identità oltre confine

Par : Arshake
8 juillet 2025 à 22:33

Per festeggiare i 25 anni della sua Collezione d’arte contemporanea – che raccoglie opere di tutto rilievo dell’arte italiana dagli anni Cinquanta ad oggi – la Farnesina promuove una grande mostra itinerante per l’Europa. 

Il progetto espositivo Identità oltre confine, a cura di Benedetta Carpi De Resmini, esplora il rapporto tra essere umano e natura, indagando i concetti di identità, conflitto e coesistenza in un contesto segnato da crisi ambientali, globalizzazione e trasformazioni sociali. Promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, si articola in tre mostre realizzate in collaborazione con gli Istituti Italiani di Cultura di Berlino, Vilnius e La Valletta.

Identità oltre confine racchiude molti degli elementi essenziali della diplomazia culturale: la circuitazione in luoghi importanti dello scenario internazionale, il valore delle sinergie con i partner del comparto culturale, la promozione all’estero di artisti italiani anche emergenti, che si concretizza grazie alla rete diplomatico-culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale” commenta Marco Maria Cerbo, Capo dell’Unità per il coordinamento degli Istituti italiani di cultura. 

La scelta curatoriale si concentra sulle artiste presenti nella Collezione Farnesina. La curatrice spiega: “Le opere presenti in mostra non sono state selezionate in base al genere, bensì individuate a seguito di un’analisi approfondita della Collezione Farnesina, condotta nel quadro della tematica che avevo scelto di affrontare inizialmente. Da tale analisi è emerso come questi argomenti siano affrontati prevalentemente da artiste donne. Il focus nasce dalla consapevolezza del legame profondo e simbolico che storicamente unisce le donne alla natura. Tradizionalmente associate alla fertilità, alla cura e alla Madre Terra, le donne offrono una prospettiva sensibile e critica sui temi della sostenibilità, della crisi ecologica e dell’identità.”

Le opere selezionate riflettono quindi non solo la relazione tra essere umano e ambiente, ma anche la posizione della donna nel discorso contemporaneo su rigenerazione, ecologia e giustizia sociale. In un momento di una crescente urgenza planetaria, Identità oltre confine propone l’arte come strumento di consapevolezza e cambiamento. 

Le opere in mostra offrono prospettive molteplici: da visioni intime e personali del rapporto con la natura, a potenti critiche delle politiche estrattive e delle dinamiche di potere globali. In questo dialogo tra arte, natura e società, si apre la possibilità di una nuova narrazione, fondata non più sul dominio, ma su una coesistenza armoniosa e rispettosa dei cicli vitali del pianeta. 

Il percorso espositivo riflette il rapporto dell’essere umano con l’“altrove”, spesso percepito come ignoto o minaccioso. La mostra diventa così anche un momento di riflessione sull’evoluzione della Collezione Farnesina, valorizzando il contributo di artiste di diverse generazioni, con un focus sulle voci emergenti. Il dialogo intergenerazionale che ne scaturisce arricchisce la riflessione culturale, offrendo nuove chiavi di lettura per interpretare le grandi trasformazioni del nostro tempo.

Il progetto si articola in tre sezioni tematiche:

  1. Geografie del distacco

Esplora come la globalizzazione abbia trasformato il senso di identità e il legame con la natura, generando crisi di appartenenza e distacco dall’ambiente. Le opere offrono visioni alternative di identità in trasformazione tra radici e adattamenti globali.


  1. Ecologie instabili

Analizza le connessioni tra crisi ambientali e disuguaglianze sociali, ponendo l’accento sulle conseguenze della globalizzazione, dei conflitti geopolitici e delle nuove forme di protesta.


  1. Radici di resistenza

Affronta il tema della natura come luogo di resistenza e rinascita per l’identità femminile. Le opere denunciano la mercificazione della natura e del corpo femminile, in un confronto con la cultura patriarcale.


Al di fuori del percorso espositivo, sarà esposta l’opera Fibonacci (1975) di Mario Merz, recentemente acquisita nella Collezione Farnesina. La sequenza di Fibonacci, metafora della crescita naturale, rappresenta l’intersezione tra ordine matematico e processi organici, diventando simbolo di un sapere che supera i confini identitari per abbracciare una prospettiva universale e interculturale.

(dal comunicato stampa)

“Identità oltre confine”, a cura di Benedetta Carpi De Resmini a celebrazione dei 25 anni della Collezione Farnesina, mostra itinerante (Berlino, Vilnius, Malta), giugno 2025 – giugno 2026
Il progetto prevede tre mostre internazionali, ospitate presso gli Istituti Italiani di Cultura in tre capitali europee:
Berlino – Istituto Italiano di Cultura
19 giugno – 21 luglio 2025
Berlino, simbolo dell’Europa Centrale, è crocevia di riconciliazione e innovazione culturale, e contesto ideale per riflettere sulle trasformazioni identitarie post-globalizzazione.

  • Vilnius – Istituto Italiano di Cultura
19 settembre – 26 ottobre 2025
Capitale della Lituania e laboratorio per il dialogo tra memoria storica e nuove identità culturali, Vilnius rappresenta l’Europa dell’Est in mutamento.
  • La Valletta (Malta) – Istituto Italiano di Cultura
giugno 2026
Rappresenta l’Europa del Sud, punto nevralgico delle questioni ambientali e migratorie. Luogo di forte impronta mediterranea, la città stimola riflessioni urgenti su cultura e crisi ecologica.
Le artiste presenti in mostra: Carla Accardi, Letizia Battaglia, Elena Bellantoni, Tomaso Binga, Silvia Camporesi, Gea Casolaro, Sarah Ciracì, Martina della Valle, Loredana Di Lillo, Paola Gandolfi, Silvia Giambrone, Ketty La Rocca, Maria Lai, Elena Mazzi, Rä di Martino, Elisa Montessori, Laura Pugno, Agnese Purgatorio, Marta Roberti, Marinella Senatore.

immagini: (cover 1) Identità senza confine, Poster (2 ) Elena Bellantoni, «The Fox and The Wolf Struggle for Power», 2014. Video e 6 fotografie cm. 58 x 16 cm © Elena Bellantoni. Courtesy dell’artista. Collezione Farnesina, Roma (3) Silvia Camporesi, «Le tre chiese (Quando comincia l’acqua, #2, #3, #7)», 2011. Stampa inkjet. 3 elementi, 63 x 73 cm ciascuna © Silvia Camporesi. Courtesy l’artista. Collezione Farnesina, Roma (4) Martina della Valle, «Under the sun of Onomichi», 2011. Stampa fotografica su alluminio 66 x 100 cm  © Martina Della Valle Courtesy l’artista. Collezione Farnesina, Roma (5)  Sarah Ciracì, «Trebbiatori Celesti», 2001. Stampa fotografica 56 x 80 cm, Courtesy l’artista. Collezione Farnesina, Roma (6) Tomaso Binga, «AlphaSymbol», 2021. Stampa digitale 100 x 100 cm. Foto ©Giorgio Benni. Courtesy Archivio Tomaso Binga. Collezione Farnesina, Roma (7) Agnese Purgatorio, «Nella clandestinità», 2014. Collage digitale, 79,5 x 113 cm © Agnese Purgatorio. Courtesy l’artista. Collezione Farnesina, Roma

 

 

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VIDEO POST > GUSH

Par : Arshake
6 juillet 2025 à 11:23

VIDEO POST rilancia GUSH di Hannah Perry. Scultura dinamica su larga scala, suono e film, in un’esplorazione sincera e personale della società contemporanea iper-connessa.

Hannah Perry (Gush @ Somerset House)2018

 

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Stills of PEACE

Par : Arshake
4 juillet 2025 à 13:24

Presentata a Pescara in anteprima per la stampa e i partner, il programma della Edizione XII della storica Rassegna Internazionale di Arte e Cultura contemporanea Stills of PEACE, promossa dalla Fondazione Aria. Dal 5 luglio al 7 settembre Stills of PEACE, in collaborazione con i Comuni di Atri e Pescara, promuove un dialogo fra Italia e Colombia, grazie al linguaggio dell’arte contemporanea. Dopo i saluti di benvenuto del Presidente La Rocca, il neo Presidente della Fondazione Aria, l’imprenditore Giulio Caso, ha confermato la volontà di conoscere e valorizzare l’insieme di tradizioni di un Paese ricco di influenze indigene e coloniali, geograficamente molto distante da noi, ma fortemente in accordo rispetto a valori essenziali quali famiglia, casa e amicizia. La pluralità di popoli che abita la Colombia costituisce un esempio significativo di complessità, in una condivisione e coesistenza sociale e antropologica.

Quest’anno abbiamo scelto di rivolgere lo sguardo alla Colombia, Paese simbolo mondiale di biodiversità, per indagare un tema urgente e universale: il Futuro – ha dichiarato la Direttrice Artistica e Head of Curator di Stills of Peace, Giovanna Dello Iacono. Global Future è un manifesto che sancisce il diritto di tutti di pensare con rinnovata fiducia al proprio avvenire e si lega idealmente allo slogan Paz con la Naturaleza (Pace con la Natura), coniato in occasione della XVI Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (COP16), ospitata proprio a Cali in Colombia, cuore di una delle regioni più ricche di biodiversità al mondo.

I curatori hanno poi introdotto il lavoro svolto per ciascuna delle quattro mostre previste in questa Edizione, che sarà inaugurata con una tre giorni di eventi fra Atri e Pescara: la ‘Ma.Co. / Maratona del Contemporaneo’, in programma dal 5 al 7 luglio.

Le Cisterne e le Sale di Palazzo Acquaviva di Atri ospiteranno la mostra “Global Future” curata da Giovanna Dello Iacono e Maria Letizia Paiato, con protagonisti Lorenzo Aceto, Aycoobo, Chiara Calore, Rudy Cremonini, Federica Giulianini, Pietro Moretti, Matteo Montani, Mariangela Levita, Luz Lizarazo, Giovanni Paolo Randazzo Mora, Alejandro Sánchez Suárez, María Alejandra Torres, artisti di generazioni diverse ma con una grande spiritualità, che si rapportano attraverso il mezzo pittorico per arrivare alle persone.

Sempre nelle Cisterne Romane di Palazzo Acquaviva, la mostra “Generazione dalla luce” di Juan Eugenio Ochoa, il duo Mozzarella Light (Giulia Ciappi – Marco Frassinelli), Paolo Scirpa, Natalia Triviño Lozano, curata da Marta Michelacci e Antonio Zimarino, che sottolinea quanto sia la luce a definire la struttura architettonica della sede espositiva, in cui si distribuisce in modo particolare e articolato, scoprendo angoli strutturali sempre diversi. Gli artisti lavorano proprio su questo binomio spazio/luce, con sensibilità diverse dell’elemento luminoso che permette di cambiare prospettiva nella percezione.

A Pescara invece la mostra “Forgotten People” della fotografa Luz Elena Castro, ospitata presso lo spazio zerozerosullivellodelmare, e curata da Paolo Dell’Elce, che la racconta come un percorso di conoscenza e incontro dell’umano che forse incontriamo meno, la rappresentazione di un individuo debole, che cerca un riscatto per la propria necessità di esistere e di trovare una sua dignità.

YAG/Garage ospita poi la collettiva Stills of Peace for Young con le opere di Daniele Di Girolamo McManu Espinosa, Martina Marini Misterioso e Lalula Vivenzi Carrasco, curata da Cecilia Buccioni, Giovanna Dello Iacono e Maria Letizia Paiato. Le ricerche dei quattro giovani protagonisti sono legate al tema della Rassegna attraverso soggetti politici, sociali e introspettivi, resi attraverso linguaggi concettuali.

Il Cortile di Palazzo Acquaviva di Atri ospiterà la consueta rassegna cinematografica Cine Colombia a cura di P. Federico Ibargüen Ruiz, con 6 appuntamenti dal 7 luglio al 1 settembre con proiezioni in lingua originale sottotitolate in italiano. Altra novità del 2025, Stills Story, un ciclo di 4 incontri dedicate alla letteratura colombiana contemporanea a cura di Giuliana De Petris, che si terranno nello stesso Cortile il 7 luglio alle 18.30 mentre il 17 luglio, il 28 agosto e il 4 settembre alle 21.

Quest’anno Stills of Peace riflette la sua pluralità molteplice anche nell’immagine-manifesto, concepita ad hoc dall’artista, designer e direttore creativo, Stefano Chiassai: cuori, farfalle, fiori e simboli cartografici si intrecciano con i riferimenti testuali, frammenti visivi che evocano la biodiversità, l’incontro tra mondi, l’estetica quotidiana come gesto politico. Il manifesto diventa così sia rappresentazione visiva, sia azione simbolica: un richiamo collettivo a “fermarsi per osservare”, “immaginare per costruire”, “incontrarsi per trasformare”.

(dal comunicato stampa)

Stills of Peace and Everyday Life, direzione artistica a cura di Giovanna dello Iacono,  Atri-Te, Pescara, 05.07 – 07.09.2025
Anche per l’edizione 2025, il progetto gode del Patrocinio dell’Ambasciata della Colombia in Italia, dell’Alto Patrocinio della Regione Abruzzo, del Consiglio Regionale, dei Comuni di Atri e Pescara, dell’Instituto Cervantes di Roma, del Centro per il Libro e la Lettura (CEPELL), della Società Dante Alighieri e dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.

 

immagini: (cover-1) Luz Lizarazo, «Mi cuerpo dice la verdad (My Body Speaks the Truth)», 2023 (presentato nell’ambito della mostra «Global Future», photo credit Niko Jacob (2) Paolo Scirpa, Espansione e traslazione, 1984, photo credit Archivio Paolo Scirpa, presentato  nella mostra «Per una generazione della luce» (3) Luz Elena Castro, «Desalojos en Guayaquil, Medellin», photo credit Luz Elena Castro, presentato nell’ambito della mostra «Forgotten People» (4) Lalula Vivenzi, «Woman Power | Maria Lai», 2025, photo credit © Marianne Sin-Pfaltzer, Archivio Ilisso, presentato nell’ambito della mostra «Stills of Peace for young».

Programma

MA.CO. / Marathon of the Contemporary, July 5, 6 p.m. / Atri (TE)
Courtyard of Palazzo Acquaviva – Opening of Stills of Peace
Cisterns and Halls of Palazzo Acquaviva – Opening of the exhibitions Global FUTURE, curated by Giovanna Dello Iacono and Maria Letizia Paiato, and Generation from the Light, curated by Marta Michelacci and Anton Giulio Zimarino
July 6, 6 p.m. / Pescara, s.l.m. 00 – zerozerosullivellodelmare – Opening of the exhibition Forgotten People, curated by Paolo Dell’Elce
YAG/Garage – Opening of Stills of Peace for Young, curated by Cecilia Buccioni, Giovanna Dello Iacono, and Maria Letizia Paiato
July 7, 6 p.m. / Atri (TE), Courtyard of Palazzo Acquaviva / Atri (TE)
6:00 PM – First event of Stills Story, curated by Giuliana De Petris – A conversation with writer Alberto Bile Spadaccini and presentation of the book In Colombia with Gabriel García Márquez. Without Gravity and the book “The Risks of the Body” of María Ospina Pizano, edited by Edicola Ediciones.
9:00 PM – First event of Cine Colombia, curated by Fr. Federico Ibargüen Ruiz – Screening of the short film La Sixtina (2022) by Juan Camilo Fonnegra and the feature film Cuando las Aguas se Juntan (2023) by Margarita Martínez

 

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Tamara Repetto riceve il Premio Casati

Par : Arshake
2 juillet 2025 à 21:54

Per la quarta edizione del Premio Casati, è stata selezionata Tamara Repetto (Genova, 1973), artista dalla sensibilità raffinata e dal percorso poliedrico, che spazia tra installazioni olfattive, scultura e design, indagando il rapporto tra materia, sensi e rapporto uomo-natura. La sua opera, Undici, si nutre di questa interazione, traendo ispirazione dall’antico pomander, scrigno segreto di fragranze, custodito nei secoli da corti e aristocrazie per proteggere il corpo e lo spirito con essenze preziose quali l’ambra grigia e il muschio.

Il tappo dell’ampolla, vero fulcro estetico e concettuale dell’opera, richiama la delicata struttura della morille, evocativo termine francese per la spugnola, un frutto della terra dalla forma sinuosa e arcaica, simbolo di rinascita e trasformazione. Questa morfologia, riprodotta in bronzo giallo lucente richiama le cromie dorate delle olive mature, mentre la sua superficie traforata lascia trapelare l’essenza contenuta, in un gioco sensoriale che stimola vista, tatto e olfatto.

L’olio, elemento primordiale e sacro, dialoga con il tappo profumato, dando vita a un’esperienza sinestetica in cui arte, natura e fragranza si intrecciano in un unicum raffinato e visionario.

A impreziosire ulteriormente questa creazione, la fragranza n.11 Casati percepibile all’interno del tappo con un accordo dolce e boisè, un inebriante connubio che celebra il nettare sacro. Questo profumo si fa evocativo del numero 11, simbolo esoterico, legato all’energia creativa, all’intuizione, alla sensibilità, portale per la realizzazione dei desideri, nonché data di nascita dell’artista.

Grazie alla poetica di Tamara Repetto, questa nuova Ampolla d’Artista Casati diviene non solo custode di un’eccellenza sensoriale, ma un’opera che incarna il concetto stesso di alchimia sensoriale, dove estetica, materia e simbolismo si fondono in una creazione destinata a lasciare un segno nella memoria e nell’immaginario.

(dal comunicato stampa)

Premio Casati 2025. Tamara Repetto, Undici, 2025 
La Maison Casati, in collaborazione con GDA – Associazione Italiana per l’Arte, rinnova la propria vocazione mecenatesca, elevando l’arte contemporanea italiana attraverso il sostegno a talenti che plasmano la materia e danno vita alla forma. Un impegno che affonda le sue radici nella tradizione del collezionismo rinascimentale, quando le grandi casate nobiliari facevano dell’arte un vessillo identitario, una celebrazione della bellezza e dell’ingegno umano.
Il cuore pulsante di questa iniziativa si colloca nella Tenuta Casati, un locus amoenus immerso tra ulivi secolari, sospeso tra la terra e il mare, dove la luce si rifrange sulle fronde argentee e il tempo sembra arrestarsi. Qui, in un contesto carico di suggestione e memoria, ogni anno il concorso frutto della sinergia tra l’Associazione, la Maison Casati e partner selezionati – svela una nuova Ampolla d’Artista, un simbolo di creatività e innovazione che si affianca all’olio EVO della Tenuta, esaltandone l’eccellenza.

immagini: (cover-1) Tamara Repetto, ritratto (2-4) Tamara Repetto, «Numero Undici», 2025 per il Premio Casati, courtesy l’artista (3) Tamara Repetto, «Numero Undici», 2025 per il Premio Castati, bozzetto, courtesy l’Artista

 

 

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Videocittà 2025

Par : Arshake
30 juin 2025 à 17:57

Dal 3 al 6 luglio, negli spazi del Gazometro, torna per la sua VIII edizione Videocittà, il Festival della Visione e della Cultura Digitale, ideato da Francesco Rutelli e la direzione creativa di Francesco Dobrovich. 

Per l’opening di giovedì 3 luglio, in scena l’anteprima italiana di Onirica () live dei fuse*, che tornano al festival dopo l’installazione site specific luna somnium del 2022. In questa occasione, presentano una performance che esplora la percezione del corpo nel regno dei sogni, generata in tempo reale tramite l’interazione tra performer e intelligenza artificiale.

Con un giorno in più di programmazione rispetto alle edizioni precedenti, l’area di archeologia industriale più estesa d’Europa, il Gazometro di Roma, diventa ancora una volta un polo di innovazione culturale e si prepara ad accogliere quattro giorni di maestose installazioni, videoarte, video mapping, esperienze immersive, music audiovisual shows, talk e AV experiences, guardando già ai linguaggi di domani.

Videocittà è un osservatorio aperto che promuove l’eccellenza dell’audiovisivo e della comunicazione digitale, dando visibilità alle forme più avanzate di produzione e creatività. Dal 2018, il festival ha ampliato la sua portata internazionale, accogliendo oltre 550 artisti, tra cui Premi Oscar e vincitori del Leone d’Oro e d’Argento alla Biennale di Venezia. Videocittà è anche un laboratorio per talenti emergenti, molti dei quali, partendo da prime italiane, hanno raggiunto una fama internazionale. L’edizione 2025 celebra l’800° anniversario del Cantico delle Creature di San Francesco e si concentra sul Sole come simbolo di vita, luce, energia. Un tema che si riflette nel lavoro degli artisti coinvolti che esplorano il rapporto tra sostenibilità, ambiente e innovazione digitale.

Con oltre 22.000 presenze nel 2024 e un aumento del 150% nelle vendite dei biglietti nelle ultime edizioni, l’edizione 2025 ha già registrato il sold out dei full pass early bird. L’evento accoglierà un pubblico sempre più vasto, senza limiti d’età.

Con Eni come Main Partner, il sostegno di Roma Capitale – Assessorato alla Cultura e con il supporto della Regione Lazio e la media partnership di Rai, l’edizione 2025 conclude la quadrilogia sul rapporto tra uomo e natura, dopo l’elemento lunare (2022), la Terra (2023) e la Galassia (2024).

L’attrazione di principale del Festival sarà, come di consueto, la grande installazione site specific che avvolgerà il Gazometro G4. Per l’edizione 2025, l’intervento sul monumento simbolo della Roma Contemporanea avrà come titolo Solar e sarà affidata all’artista romano, di fama internazionale, Quayola. Con Solar, il Gazometro si accende di una luce nuova e potente, celebrando il Sole come fonte primaria di vita, energia e trasformazione. Realizzata da Eni, curata da Videocittà in collaborazione con The Bentway Toronto, con la produzione esecutiva di Eventi Italiani, Solar è ispirata al fenomeno ottico dei raggi crepuscolari, e riproduce un ciclo infinito di albe e tramonti digitali: la luce diventa materia viva, scolpisce il buio e modella lo spazio.

Eni, anche quest’anno, aprirà dunque le porte del Complesso del Gazometro Ostiense, sede del Distretto di Innovazione Tecnologica ROAD e della Scuola di Impresa Joule. La lunga collaborazione con Videocittà si fonda sulla condivisione dei valori e temi proposti dalla manifestazione, che rispecchiano la strategia dell’Azienda. All’interno di questa location, l’innovazione e la cultura diventano quindi una narrazione congiunta tra Eni e il festival. Ed è proprio questa condivisione che consente ad Eni, attraverso Solar, di raccontare come energie diverse diventino un’energia unica in un processo di trasformazione continua: le sue società, infatti, lavorano insieme per creare un ecosistema integrato di soluzioni complementari, con l’obiettivo di generare un impatto positivo e duraturo e ridisegnare il futuro dell’energia. 

Tra le novità, quest’anno i visitatori potranno scegliere una fascia oraria per visitare l’installazione con l’obbligo di presentarsi 15 minuti prima. I biglietti Plus e Plus Backstage offrono accesso illimitato e salta fila. (Per dettagli su biglietti e abbonamenti su Videocittà.com)

I MUSIC AUDIO VISUAL SHOWS, curati da Michele Lotti, coinvolgono artisti il cui linguaggio è strettamente legato all’audiovisivo: un’alternanza di ospiti affermati e nuove promesse internazionali e nazionali, confermano anche nel 2025 la visione innovativa di Videocittà.

(dal comunicato stampa)

Vedi il programma completo e aggiornato sul sito di Videocittà. Festival della Visione e della Cultura Digitale, Gazometro, 3-6 luglio, 2025, Roma. Clicca qui per info e biglietti
Crediti: Francesco Rutelli (Presidente); Walter Ventura (Amministratore Delegato); Francesca Medolago Albani (Consigliere di Amministrazione); Francesco Dobrovich (Direttore Creativo); Fabio Iorfida (Direttore Amministrativo); Giulia Funari (Organizzazione Generale); Vincenzo Donnamaria (Consulente Strategico); Elena Giacomin (Relazioni Istituzionali); Lucia Leoni (Segreteria di Presidenza); Guido Pietro Airoldi (International Development and Partnerships); Michele Lotti (Curatore); Anna Lea Antolini (Curatrice); Damiana Leoni (Curatrice Videoarte); Rä di Martino (Curatrice Videoarte); Cristina Spinelli (Head of Marketing); Elena Seno (Communication Manager); Marine Leriche (Art Director) Arch. Filippo Mattia Dobrovich (Design Manager); Daniele Davino (Direzione Tecnica); Enrico Ceccarelli (Responsabile Tecnico) Arch. Antonia Caramanica (Progettazione Tecnico-amministrativa); Francesca Sulis (Hospitality); Maria Sarracino (Legal). 

immagini: (cover -1), Videcittà, Gazometro, Roma (2) Fuse (3) Quayola (4) Touchy Toy

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FRAME > Ex.A.R.U.

Par : Arshake
29 juin 2025 à 19:36

FRAME cattura Exo Auxiliary Respiratory Unit (Ex.A.R.U.) di Dorotea Dolinšek, installazione che riflette sulla sopravvivenza umana in ambienti dove l’aria è scarsa o irrespirabile, favorendo una relazione di interdipendenza tra esseri umani e piante.

Dorotea Dolinšek, Exo Auxiliary Respiratory Unit (Ex.A.R.U.), 2023
Prodotto da: Kersnikova Institute – Kapelica Gallery nell’ambito della piattaforma konS ≡ Platform for Contemporary Inestigative Art | Curatore: Jurij Krpan | Produttori: Sandra Sajovic, Simon Gmajner | Soluzioni tecniche (sviluppo dell’interfaccia, sistema sensoriale e programmazione): ::vtol:: (Dmitry Morozov) | Supporto tecnico: Jure Sajovic, Valter Udovičić, Jan Lavrič, Vuk Emiliano Valecic , Albin Bobnar | Design tessile: Uroš Topić | Ringraziamenti: Barbara Sušnik | Schizzo e allestimento: Rompom d.o.o.
La ricerca e lo sviluppo sono stati realizzati nell’ambito della piattaforma konS ≡ Platform for Contemporary Investigative Art e cofinanziati dalla Repubblica di Slovenia e dal Fondo europeo di sviluppo regionale dell’Unione europea.

 

 

 

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VIDEO POST > Trampoline Color Exercise

Par : Arshake
27 juin 2025 à 10:15

VIDEO POST rilancia Trampoline Color Exercise di Yuge Zhou, installazione a Time Square su 95 schermi costruita da immagini estratte e manipolate da filmati d’archivio delle Olimpiadi, meditazione dall’alto sulla forma umana e sulla ricerca atletica della perfezione, e riferimento sottile al clima geopolitico in continua evoluzione.

Yuge Zhou,Trampoline Color Exercise, 2025
Il progetto è trasmesso su oltre 95 schermi a Times Square ogni sera nel mese di giugno 2025 nell’ambito del programma Midnight Moment. Co-presented with Artnet, Trampoline Color Exercise marks the fourth iteration of an ongoing partnership between Artnet and Times Square Arts that celebrates digital art in the heart of New York City.Video di Tatyana Tenenbaum.

 

 

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Volcanic Attitude 2025

Par : Arshake
24 juin 2025 à 09:19

Dal 24 al 28 giugno 2025, prende vita la quarta edizione di Volcanic Attitude, festival di cultura contemporanea, arte e scienza che ospita artistə e scienziatə in un programma di ricerca, esplorazioni, conferenze e performance tra Napoli e le Isole Eolie. Il Festival itinerante curato e diretto da Helga Franza, Susanna Ravelli e Giulia Restifo, rinnoverà il percorso da Napoli a Vulcano, comprendendo per la prima volta anche l’isola di Stromboli.

Un viaggio attraverso quei luoghi e territori dove la materia si trasforma, l’energia si sprigiona e forze invisibili plasmano la realtà. Dalla leggerezza porosa della pomice alla densità specchiante dell’ossidiana, fino ai cicli di espansione e contrazione della crosta terrestre e le teorie cosmologiche sulla pulsazione dell’universo, il paesaggio vulcanico permette infatti di mettere in relazione le ricerche di artisti e esperti provenienti da varie discipline scientifiche.

Il festival intende così riflettere sulle forze invisibili che governano la materia: il calore che si espande, la pressione che comprime, l’energia che trasforma e genera nuovi equilibri. Il magma che pulsa nelle viscere del pianeta, tramite i vulcani, attraversa la crosta terrestre e si intreccia con le nostre idee, intuizioni e visioni. Volcanic Attitude 2025 invita in questo modo a percepire la trasformazione per sintonizzarsi con le frequenze della Terra e lasciarsi attraversare dall’energia magmatica del cambiamento.

L’edizione 2025 si apre il 24 giugno nel centro della città di Napoli, con  la visita al Real Museo Mineralogico a cura delle direttrice tecnica del museo Carmela Petti, per poi raggiungere a piedi la sede di CASA (Centro delle Arti della Scena e dell’Audiovisivo) e assistere alla proiezione del film Shaken Grounds Shifting Skies, del collettivo artistico Shaken Grounds e al talk di Valerio Acocella, Vulcanologo di UniRoma3. Segue poi l’imbarco verso le Eolie a bordo del traghetto Laurana su cui sarà possibile assistere all’installazione Inviolability of Female Body, Gran Pavese dell’artista Margherita Morgantin e allo screening del film Stromboli (1992) di Roman Signer e Stefan Rohner.

Il 25 all’alba vede la performance di Roman Signer Aktion mit Stiefel – Action with Boots sull’isola di Stromboli. L’arrivo a Vulcano è previsto in mattinata, mentre la sera avviene il talk MagneticaMagmatica con le artiste Federica Di Carlo e Margherita Morgantin, insieme al vulcanologo Francesco Sortino.

La giornata del 26 sarà scandita la mattina dalla performance Aktion mit Pfanne – Action with Pan di Roman Signer e dal talk Rocks, Stones and Sea inhabits nel pomeriggio con gli artisti Francesco Cavaliere e Luca Trevisani, assieme al naturalista Pietro Lo Cascio. Seguono poi le performance Subaquea Sleep di Francesco Cavaliere e l’azione Fender Bender di Luca Trevisani.

La mattina del 27 comprende la visita al centro INGV, ente patrocinatore del festival, con il vulcanologo Francesco Sortino e il talk Wandering Volcanoes, con gli artisti e artista Rachele Maestrello, Luca Trevisani e Alessandro Manfrin. Il pomeriggio verrà attivata la meditazione Anemoscopio (variabili 3, sul vulcano) di Margherita Morgantin e la performance Heat and Solitude tra l’artista Federica Di Carlo e il vulcanologo Francesco Sortino.

Il festival si chiude con la serata Volcanic dancing il 27, con festeggiamenti e danze sulla spiaggia e con il coffe table la mattina del 28 assieme ad artistə, scienziatə e partecipanti al festival.

(dal comunicato stampa)

 Volcanic Attitude 2025, Vesuvio – Stromboli – Vulcano, 24 – 18.06.2025
Volcanic Attitude 2025 è organizzato e curato da Helga Franza, Susanna Ravelli, Giulia Restifo. E’ realizzato da Fondazione Arthur Cravan, Centro Itard Lombardia e That’s Contemporary. Volcanic Attitude è realizzato grazie al sostegno di Regione Siciliana Assessorato del Turismo dello Sport e dello Spettacolo e Pro Helvetia. Main sponsor Siremar – Caronte & Tourist. Partner: Les Sables Noirs Hotel & Spa. Sponsor: Therasia Resort. Con il patrocinio del Comune di Lipari e dell’INGV.  Tra i partner culturali e territoriali che cooperano alla realizzazione del Festival: il Museo Mineralogico e CASA Centro delle Arti della Scena e dell’Audiovisivo a Napoli, Il Malandrino a Stromboli, Nesos Trecking&Natura, Hotel I Mari del Sud, Hotel Garden e  Hotel Orsa Maggiore a Vulcano. 

immagini (cover 1) Volcanic Attitude, Festival di Arte Contemporanea, Poster (2) Federica Di Carlo, «Heat & Solitude», 2025

 

 

 

 

 

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Isabella Tortola e Debora Vrizzi alla Fondazione Gajani

Par : Sara Traumer
8 février 2025 à 13:39
Per l’edizione di Art City 2025 gli spazi della Fondazione Gajani verranno contaminati attraverso il lavoro di due artiste chiamate a collaborare insieme per la prima volta: Isabella Tortola e Debora Vrizzi. Da una parte una fotografa; dall’altra una regista e una videoartista.
Obiettivo della mostra è quello, come sempre, di trovare un dialogo e una narrazione con Carlo Gajani e i suoi spazi: fondazione-galleria e casa d’artista. Se l’anno scorso l’approccio con Francesca Lolli è stato quello della caccia al tesoro, quest’anno, invece, avverrà una vera e propria “emissione dell’arte”.  Parte del mobilio e delle decorazioni architettoniche, infatti, rimarrà visibile; le opere d’arte dell’autore, invece, verranno “nascoste” attraverso l’utilizzo di semplici teli trasparenti.
Il telo si fa, in questo modo, simbolo di una cancellazione che non vuole essere, da parte delle artiste e della curatela, né un’occupazione all’interno della residenza del celebre artista bolognese, né una forma di remissione rispetto alla sua arte. L’obiettivo è semplicemente quello di ribaltare la visione e lo sguardo di chi, come ospite, entrerà all’interno della mostra durante la manifestazione. Cosa succede se il luogo che ci aspettiamo di trovare ricolmo di arte, si ritrovasse svuotato da tutto? Che significato produrrebbe nella mente dello spettatore? Una cancellazione che non vuole essere un ribaltamento dell’arte di Gajani, ma un vero e proprio cambio di significato, un’eliminazione alla Emilio Isgrò: cancellare per svelare il paradosso, giocare con l’ovvio e sulle aspettative di chi, da tempo, forse si è troppo abituato a dare per scontato ciò che ha davanti. In questo modo, l’arte, da mero oggetto commerciale, da banalità, da ovvietà riprende forza e spazio, urlando e manifestandosi attraverso la sua stessa assenza.
Per entrare più nel dettaglio Debora Vrizzi ci ha spiegato i retroscena.

 Sara Papini. Come nasce il progetto Blinding Plan?

Debora Vrizzi. Blinding Plan è nato nel 2011 come una provocazione nei confronti di quella politica che in Italia svaluta la cultura. Mi sono posta questa domanda “come sarebbe un mondo senza cultura?”.

Ho girato il primo Blinding Plan (piano di accecamento) al Museo MAXXI di Roma, filmando alcuni spettatori inconsapevoli mentre visitavano il museo. In un secondo momento ho cancellato dalle pareti le opere esposte lasciando invece lo sguardo al vuoto degli spettatori.

La cancellazione delle opere ha avuto l’effetto di sottolineare il rapporto tra il pubblico, l’opera d’arte contemporanea e i musei che la contengono.

In questo primo video ho voluto sottolineare come spesso l’arte contemporanea viene fruita ma non capita, vissuta con sufficienza o frustrazione, noia o ironia. Frequentare i grandi musei d’arte contemporanea (luoghi per eccellenza di consacrazione dell’opera d’arte e dell’artista), è oggi diventato un pellegrinaggio culturale, un rito obbligatorio che lascia spesso indifferente il pubblico.

Lo spazio vuoto che rimane si riempie di metafore, lasciando spazio a diverse possibilità di riflessione, in particolare rende palese l’incapacità di vedere e capire l’arte che viene proposta al grande pubblico.

 Il passaggio dal primo al secondo video, come è stato tornare a lavorare sullo stesso concetto?

La lettura del saggio L’inverno della cultura è stato fondamentale per il secondo video “Blinding Plan The Cathedral”. In questo saggio Jean Clair si interroga sulla giusta “forma” da dare ai musei, paragonandoli a delle chiese. A questo punto, una volta spogliati delle opere d’arte, i musei sono diventati per me delle grandi cattedrali vuote. Le cattedrali gotiche erano orientate verso est, per intercettare e celebrare il sorgere del sole. Al loro confronto, i musei sembrano cattedrali contemporanee che hanno perso il loro orientamento – come se la cultura non avesse più una direzione. Credo che i musei possano ancora cercare di essere cattedrali: sono tra i pochi luoghi in cui i cittadini possono celebrare il trovarsi, il raccoglimento, la concentrazione, la contemplazione, l’ascendere a qualcosa di più luminoso.

Art City e Fondazione Gajani, come ti senti per questa esperienza?

Ho visitato di recente la Fondazione Gajani che accoglie il visitatore dentro un’atmosfera avvolgente e ricca di stimoli. Mi sembra una bellissima e insolita opportunità espositiva, ideata da Sara Papini e Giuseppe Virelli.

L’esposizione a cui sono stata invitata mi pare che ben si concilia con il principio di Art City di coinvolgere un vasto pubblico e ampliare gli spazi espositivi nella città di Bologna. Principio che tra l’altro mi pare in linea con l’auspicio intrinseco nel mio progetto Blinding Plan di smuovere le istituzioni museali per farle diventare qualcosa di dinamico, interdisciplinare che propone un’arte inclusiva e un dialogo tra passato e presente con spazi inusuali della città.

 

 

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Dino Ignani 80’s Dark Rome

24 janvier 2025 à 17:27

C’erano tutti all’inaugurazione della mostra 80’s Dark Rome di Dino Ignani al  Museo di Roma in Trastevere. Una moltitudine di persone che si cercavano e si riconoscevano nei ritratti scattati 40 anni fa da Ignani ai giovani della comunità dark di Roma. Tra le fotografie e il pubblico, tra passato e presente, filtrava un’aura di protagonismo, denso di ricordi e sorprese; le immagini e i loro osservatori sembravano rievocare la veste allegorica di una mitologia epocale che Ignani aveva definito nelle sue fotografie.

80’s Dark Rome è infatti l’esplorazione e il documento di un periodo specifico della cultura giovanile romana. Le immagini sono ritratti che si concentrano sull’estetica Dark nei primi anni Ottanta del secolo scorso, cioè sui “giovani-adulti che a Roma animavano i club della cosiddetta scena dark, un cuneo ottico nero non così univoco ma di un’inedita gamma di declinazioni estetiche e identitarie che rifluivano su altri mood e stili dell’epoca”, come scrive Matteo Di Castro nell’introduzione al libro dedicato alla mostra.

Il momento storico è molto significativo, segnato dalla disintegrazione delle militanze culturali e politiche del decennio precedente, e caratterizzato da un ripiegamento che si esprime con una sterzata sull’esteriorità, ribaltando l’ideologia in un mood narcisistico e alternativo. Emergono sottoculture come il goth e il post-punk che hanno influenzato profondamente il teatro, la poesia, la moda e in particolare la musica. I giovani Dark, in qualche misura reduci inconsapevoli degli anni di piombo, si caratterizzano per la prevalenza di un look basato sul colore nero negli abbigliamenti, negli accessori e negli atteggiamenti, spesso in differenti combinazioni che testimoniano forme di espressione individuale e di ribellione contro norme sociali ed estetiche codificate. I loro ritratti riflettono temi di introspezione, alienazione, e soprattutto una diffusa ricerca di appartenenza.

Dino Ignani tra il 1982 e il 1985 segue i gruppi Dark di cui è diventato amico nelle notti romane, nei locali e nelle discoteche e li fotografa sistematicamente, seguendo un metodo costante. Non li riprende mentre ballano o interagiscono tra loro ma in pose frontali, facendone gli interpreti iconici di derive collettive. Il suo è “un modo aperto per fotografare la scena del clubbing per cui si attraggono i protagonisti di un movimento, non per un processo selettivo ed esclusivo ma per volontà e spirito di partecipazione ad un immaginario, ad uno stile e a un desiderio comune” (Matteo Di Castro).

Nei locali Ignani si colloca in un angolo tranquillo con la sua attrezzatura fotografica, reflex sul cavalletto, inquadratura frontale, pellicola in bianco nero, set preferibilmente neutro, minimo margine lasciato allo sfondo, illuminazione continua con un faro da 1000 watt e ombrello, tempo di posa contenuto.  Uno scatto a testa e si creava la fila, erano tutti ben disposti a partecipare a questo “gioco”, racconta Dino.

Le foto vengono a formare una serie in cui si intersecano codici, stereotipi e individualità. I volti di ragazze e ragazzi Dark si atteggiano senza sorridere, abbigliati e truccati con cura, gli occhi fissi nell’obiettivo con uno sguardo penetrante che sembra condividere quello del fotografo che li ritrae. Sguardi diversi e simili che raccontano una dimensione autobiografica e culturale.

Creare un set fotografico nei locali e invitare i partecipanti di questa piccola e disincantata compagine a farsi riprendere non solo rende la fotografia un’esperienza interattiva, ma permette anche di catturare l’essenza e l’immediatezza delle emozioni tra percezione e identificazione. Perché la posa frontale non ha vie di fuga, si pone al di fuori della temporalità immediata e dell’improvvisazione dell’istantanea. È un metodo mentale, programmato; nella posa il soggetto attende lo scatto, certamente si atteggia, si maschera, ma soprattutto vuole che la sua immagine –  volto, look e corpo – siano fissati in quel modo e in quel momento, stabilendo una sorta di complicità con il fotografo.

Nella posa c’è una tensione concettuale che corrisponde perfettamente alla capacità della fotografia di modificare l’oggetto che riprende, interpretandolo ben oltre la semplice registrazione e ponendo la percezione sul confine di un’evidenza ineccepibile. E questo processo di elaborazione si configura nella fotografia di Dino Ignani come elemento di una serie che assume il senso di un’indagine su cosa sia ritratto, cosa significhi per il fotografo e per coloro che sono fotografati.

Non a caso Dino si è concentrato da sempre sul ritratto inteso come elemento di una complessa rete di relazioni nei tempi e negli spazi del vissuto, utilizzando la fotografia come strumento di analisi capace di filtrare fisionomie ed espressioni, ambienti e contesti; ha privilegiato soprattutto poeti e scrittori cui ha dedicato serie ormai famose e preziose come Intimi ritratti.

La mostra 80’s Dark Rome ha chiuso il 12 gennaio 2025: rimane il libro Dino Ignani, Dak Roma 1982-1985, a cura di Matteo Di Castro con Elena Marasca, testi di Matteo Di Castro, Daniela Amenta, Diego Mormorio, Viaindustriae Publishing 2024. E soprattutto rimane la capacità creativa di Dino Ignani che continua ad arricchire il suo archivio accentuando il procedimento performativo di tutto il progetto, attraverso l’inserimento nella dimensione social; ha fotografato giorno per giorno con il cellulare i visitatori della sua mostra e ha inserito le immagini sul profilo facebook   80’s Dark Portraits by Dino Ignani.

Con la leggerezza di un’accoglienza personale e amichevole sta così realizzando un’altra serie, i Visitors; è un’ulteriore versione del significato simbolico del ritratto e del suo rapporto con i volti, le facce, la postura e l’abbigliamento, la circostanza e il contesto (va ricordato in proposito anche il progetto iniziato con Vernissage alla Biennale di Venezia 2003). Nei Visitors viene a formarsi con apparente facilità e naturalezza un dialogo tra il fotografo, gli spazi e le immagini della sua mostra e quel tipo di persona che è chi va a vedere una mostra. E in particolare questa mostra 80’s Dark Rome.

Il set fotografico è ora la mostra stessa, con la dinamicità del percorso e delle percezioni; il ritmo della serie è diverso, con una intenzionalità meno circoscritta, con incontri differenziati e maggiore spazio alla contingenza. Ci sono gruppi e persone ripresi a sorpresa in qualche istantanea mentre osservano le foto; ma nella maggioranza gli scatti sono frontali, gli sfondi sono scelti dai visitatori stessi, ancora una volta in posa ma con un look casual e per lo più sorridenti con quel sorriso un po’ divertito e un po’ così che si piazza sul viso quando siamo fotografati. Ci sono giovani e meno giovani, amici, artisti, altri fotografi. Immagini che compongono un’altra mostra nella mostra e intessono uno splendido dialogo con le foto dei Dark. E ci sono anche alcune ragazze che spavaldamente ripropongono i dark di una volta con un look perfettamente impostato ma aggiornato sull’outfit fluo e techno del ventunesimo secolo. Altri sguardi dunque, volti, personaggi e contesti che continuano nei Visitors il corto circuito tra immagine, invenzione, percezione, identificazione e metafora che caratterizza il fare ritratti di Dino Ignani. Mentre il visibile fotografico si anima e a risuona nelle interconnessioni del social.

Dino Ignani 80’s Dark Rome, a cura di Matteo Di Castro, Museo di Roma in Trastevere, mostra promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

Dino Ignani, Dak Roma 1982-1985, cat. mostra (Museo di Roma Intrastevere 11.09.2024 – 25.01.2025), a cura di Dino Ignani (artista) e Matteo Di Castro (Curatore), Viaindustriae editore, 2024

 

 

 

 

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Intervista | REPLICA (Pt2)

21 janvier 2025 à 23:22

Prosegue la conversazione tra Elena Barison con Lisa Andreani e Simona Squadrito, fondatrici di REPLICA, Archivio italiano del libro d’artista, archivio italiano del libro d’artista, affrontando il tema dell’archivio e delle pubblicazioni esoeditoriali attraverso formati molteplici, sul piano curatoriale ed editoriale, mettendo in discussione le loro definizioni e modalità di presentazione.

Elena Barison: Partendo dal concetto che fare archivio possa essere letto come una metodologia artistica, avete mai riflettuto se REPLICA, nel suo modo di produrre un archivio di libri d’artista, possa assumere anche la dimensione di pratica artistica?

Nel nostro caso non abbiamo mai sentito il bisogno di sviluppare una pratica che vada oltre il curatoriale o la mera ricerca, ma sicuramente, più in generale, siamo state attratte dall’archivio d’artista quale materia interessante da esplorare e da cui trarre ispirazione per nuove forme di progettualità. In particolare, le modalità con cui gli artisti creano le regole del proprio archivio o come si approcciano ai materiali editoriali e cartacei si trova in parte esaminata all’interno di alcune interviste della rubrica Archive Actualized come quella sull’Archivio di Chiara Fumai realizzata con FUR, ma anche quella rivolta all’Associazione Culturale Alberto Grifi. Le biblioteche degli artisti, il loro modo di ordinare scatoloni, seguendo un’identificazione che segue i nomi degli amici e più stretti collaboratori, ci ha portato a leggere questi spazi anche come archivi di relazioni.

Nel 2021 avete preso parte a Iniziative di ii. Le giornate di Iniziative sono state la prima occasione per fuoriuscire dal contesto museale e artistico, per intervenire attivamente nello spazio urbano e tra le persone. In che modo avete presentato REPLICA al pubblico?

L’azione di REPLICA durante il festival si è diffusa a macchia d’olio tra i partecipanti, sviluppandosi durante tutti i giorni delle iniziative. Accompagnando di volta in volta tutte le performance che costituivano il programma, al pubblico è stata consegnata la nostra edizione dal titolo Il biglietto che esplode, composta da dieci buste ognuna contenente un estratto di un capitolo dell’omonimo romanzo di William Burroughs. Attraverso il metodo del cut-up, le parole dello scrittore erano rivisitate e ogni busta era stata riempita di piccoli esplosivi. Il pubblico poteva liberamente conservarle e ottenere al termine dei dieci giorni di festival l’edizione completa oppure aprirle e rendere più movimentata l’atmosfera attraverso lo scoppiettio dei petardi.

Nel 2022 avete presentato ad ArtVerona, Un Tulipano Rosso. Antigruppo siciliano, e nel 2023 avete vinto il premio dell’Italian Council con il progetto Antigruppo siciliano: uno studio translocal. Come è nato l’interesse per l’Antigruppo?

Eravamo in vacanza insieme in Sicilia quando Lisa ha introdotto l’argomento dell’Antigruppo siciliano, che aveva scoperto da poco. Ci siamo subito appassionate a questo allora sconosciuto movimento poetico, ne abbiamo riconosciuto il valore, anche quello legato al suo oblio: l’Antigruppo non è ricordato nemmeno in Sicilia ed è stato cancellato dalla memoria storica italiana, mentre paradossalmente è più riconosciuto negli Stati Uniti. Il progetto è nato con una certa spontaneità, ma ora vorremmo realizzare una mostra articolata che integri tutte le nostre varie pratiche: il libro, il manifesto, la performance e il reading.

Fin dai primi mesi di ricerca abbiamo individuato i temi fondamentali dell’Antigruppo:  l’unione di parola poetica e azione politica militante (Poesis e Praxis), la parola poetica unita all’azione politica, vissuta nella strada, in piazza, come un libro aperto a diversi contesti; la dimensione transnazionale, che si manifesta sia nel legame con gli Stati Uniti, grazie alla presenza di un esponente americano, sia nel rapporto con il Mediterraneo – quest’ultimo aspetto lo stiamo approfondendo particolarmente in relazione alla censura di Un popolo è un popolo di Rolando Certa, una poesia che esprimeva la vicinanza di uno dei fondatori dell’Antigruppo al popolo palestinese; e infine l’editoria alternativa in opposizione a quella ufficiale dei poteri forti, da loro nominata establishment culturale.

Dal momento in cui avete avviato le ricerche sull’Antigruppo siciliano, l’argomento ha in qualche modo influenzato il vostro approccio e metodologia? In un certo senso vi state impegnando nel portare avanti con REPLICA la guerriglia urbana e sociale dell’Antigruppo per provocare un cambiamento o anche solo per promuovere la pace?

La ricerca sull’Antigruppo ha sicuramente lasciato dei segni importanti in quella che è la ricerca più in generale di REPLICA. Anche se non ne abbiamo mai parlato, sentiamo un bisogno forte di una dimensione di comunità e di condivisione. È come se ci fossimo allontanate in maniera naturale da una serie di produzioni che potevano avere un mero risultato stilistico e grafico, come se si fosse implementato uno sguardo e un’idea di attivazione della nostra ricerca, di questi oggetti, attraverso il coinvolgimento degli altri.

Abbiamo presentato i progetti dell’Antigruppo con eventi di natura collettiva e collegiale, attraverso dei reading, in cui si ascoltava l’altro, donandosi e concedendo qualcosa di più forte e di tangibile nella comunità di persone. Rispetto alle presentazioni fatte si è innescato un interessamento che non ci aspettavamo, anche quando siamo andate a presentare la ricerca a Helsinki nel contesto del festival Islands & Seas, New Spring Garden e in collaborazione con PUBLICS (30 maggio 2024), c’erano molte persone interessate a visionare i materiali, sensibilizzate dal racconto e dall’idea che comunque negli anni Settanta esistessero incontri tra i popoli del Mediterraneo. Il lavoro svolto dall’Antigruppo andrebbe ripensato come reenactment per parlare di questioni attuali e di problematiche che continuano a persistere.

Dopo il reading a Monbijoupark (Berlino, 24 luglio 2024) – organizzato a seguito della richiesta di censura di una delle poesie dell’Antigruppo da parte dell’Archivio Conz, uno dei partner culturali che inizialmente ci aveva sostenuto nel bando Italian Council – abbiamo sentito la necessità di cercare altri alleati, altre persone, di uscire dai posti degli addetti alla cultura e di andare nei luoghi pubblici, con la gente disattenta e impreparata.

Un altro momento importante per noi è stato il secondo reading, Una Freccia Contro il Carro Armato (22 settembre 2024), fatto a Casa Cicca Museum (Milano) con tutti i crismi e le persone erano davvero coinvolte. È stato emozionante.

La natura sfuggente del libro d’artista ci ha portato a esplorare molteplici modalità per condividerlo con il pubblico. Il nostro progetto si sviluppa su più livelli: archivia e colleziona, agisce come dispositivo di ricerca, utilizza linguaggi sempre diversi, mantenendo un approccio stimolante. Un libro può generare una serie di azioni molto diverse tra loro, funzionando come un sistema reticolare.

Dall’Antigruppo siciliano abbiamo appreso come sviluppare un progetto di ricerca solido. Il nostro approccio segue una filosofia rizomatica, che trae forza proprio dalle nostre profonde differenze personali.

REPLICA
See also:
 Interview (Pt1), Arshake, 17.01.2025

 

immagini: (Cover 1) REPLICA, Il biglietto che esplode – Iniziative di ii, a cura di Lisa Andreani, Maziar Firouzi, Francesca Pionati and Tommaso Arnaldi, Roma 08.05 – 19.05.2021, courtesy gli autori (fig. 2) Installation view, Un Tulipano Rosso. Antigruppo siciliano, a cura di REPLICA e Viaraffineria, intervento di Giuseppe De Mattia, ArtVerona 2022, credits Matteo De Nando (fig. 3) Antigruppo siciliano: uno studio translocal, pubblicazione indipendente realizzata con il supporto di Italian Council (XII Edizione, 2023), a cura di REPLICA (Lisa Andreani e Simona Squadrito), 2024. Design: Miriam Sannino e Valerio Di Lucente; (fig. 4) Una Freccia Contro il Carro Armato, reading di poesie dell’Antigruppo Siciliano, a cura di REPLICA (Lisa Andreani e Simona Squadrito), Emma Rose Hodne, Floriana Grasso, Carola Provenzano e Giulia Currà, Casa Cicca Museum, Milano, Settembre 2024 (fig. 5) ARROW AGAINST THE TANK, reading a cura di REPLICA (Lisa Andreani e Simona Squadrito) e CROSSLUCID, Monbijoupark, Berlino, Luglio 2024.

 

 

 

 

 

 

 

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FRAME > Rubber Pencil Devil

Par : Arshake
19 janvier 2025 à 19:15

FRAME cattura Rubber Pencil Devil, la serie finale di cinquantasette video installata all’interno di una casa luminosa costruita con luci al neon colorate, ispirata al tempo trascorso da Da Corte a disegnare in una tavola calda durante la scuola d’arte.  Le immagini di Da Corte sono abbinate alle parole del video di Bob Dylan “Subterranean Homesick Blues” del 1965 e l’artista si chiede: “Cinquant’anni dopo, forse questo è un momento simile, che ha bisogno di una conversazione empatica e forse se uso le parole [di Dylan] e le abbino alle mie immagini, potrei dare un senso all’America”. (via)

Alex Da Corte, Rubber Pencil Devil, 2018, immagine via
realizzato per la 57a mostra internazionale Carnegie, organizzata da Ingrid Schaffner, ottobre 2018

 

 

 

 

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VIDEO POST > File Tabs no. 1,

Par : Arshake
18 janvier 2025 à 17:22

VIDEO POST rilancia File Tabs no. 1 di Thomas Jackson, lavoro di arte pubblica esposto presso Knoll Park in Tiburon nel 2023 e realizzato con e per la comunità locale.

Thomas Jackson, File Tabs no. 1, 2023
Thiburon Heritage and Art Commission, Knoll Park, Tiburon, CA, 20 maggio – 9 luglio, 2023

 

 

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Intervista | REPLICA (Pt1)

17 janvier 2025 à 17:09

Lisa Andreani, attualmente dottoranda allo IUAV di Venezia con un progetto sulla mediazione culturale, e Simona Squadrito, co-fondatrice di Kabul Magazine e docente allo IED di Milano, raccontano, in dialogo con Elena Barison, del progetto REPLICA da loro fondato come archivio italiano del libro d’artista, affrontando il tema dell’archivio e delle pubblicazioni esoeditoriali attraverso formati molteplici, sul piano curatoriale ed editoriale, mettendo in discussione le loro definizioni e modalità di presentazione.

Elena Barison: Ciao ragazze, potete introdurre ai lettori di Arshake il progetto REPLICA, come è nato e qual è stata la sua genesi?

In un primo momento, Simona aveva aperto un piccolo corner dedicato ai libri d’artista presso la Libreria Utopia di Milano, ma gestire da sola il progetto, già di per sé molto articolato, risultava difficile. Ci siamo incontrate quasi sette anni fa e, condividendo interessi comuni, abbiamo dato vita a REPLICA nel 2019, un progetto di ricerca e curatoriale dedicato ai libri d’artista.

La decisione di creare un archivio italiano del libro d’artista è nata dalla consapevolezza che in Italia mancava una realtà di questo tipo, soprattutto con uno sguardo verso la contemporaneità. Nel primo anno, attraverso due open call, abbiamo iniziato a raccogliere libri di artisti, designer, performer, mantenendo un approccio flessibile alla collezione, che ora si espande grazie a donazioni spontanee e acquisizioni. È interessante notare come, alla luce del fatto che sia difficile definire cosa sia esattamente un libro d’artista, riceviamo volumi molto diversi tra loro.

Negli ultimi anni il percorso di REPLICA ha assunto direzioni specifiche: abbiamo sviluppato un’attenzione particolare per gli anni Settanta e Ottanta, raccogliendo pezzi storici, e dal 2023 ci stiamo dedicato principalmente alle ricerche sull’Antigruppo siciliano, tema sul quale abbiamo vinto la dodicesima edizione dell’Italian Council. A breve uscirà il primo libro realizzato grazie ai fondi del premio, mentre a febbraio consegneremo a Postmedia Books la bozza per un volume teorico sull’Antigruppo, che conterrà tutta la storia della nostra ricerca.

Rispetto alla gestione dell’archivio, per un periodo la collezione era ospitata a Villa Vertua Masolo a Nova Milanese, dove avevamo realizzato dei display specifici, lavorando e riflettendo sul concetto di esposizione del libro. Con la chiusura della Villa, dovuta prima al Covid, poi a un restauro e infine alla conclusione del mandato di Simona come direttrice, abbiamo iniziato a sviluppare l’idea di un archivio nomade. Presso lo Spazio Volta di Bergamo e alla Scuola indipendente per le arti visive e gli studi curatoriali di Lecce, PIA, abbiamo inviato in occasione del festival Langue&Parole delle scatole di libri, selezionati in base ai temi degli incontri o dei progetti, come ad esempio il viaggio o gli studi bibliografici italiani. La collaborazione con PIA è stata particolarmente interessante perché prevedeva non solo un momento di attivazione performativa dei volumi da parte degli studenti, ma offriva anche alla scuola la possibilità di utilizzare il materiale fornito da noi.

Nel 2023 abbiamo tenuto insieme il corso di scrittura creativa dell’Accademia di Belle Arti di Siracusa, un’esperienza che ha rappresentato un importante lavoro sull’archivio: attraverso i laboratori annuali proposti agli studenti emergono nuove riflessioni e progetti, partendo dalla loro analisi del materiale di REPLICA.

Durante l’ideazione dei vari progetti curatoriali, quali sono state le sfide principali che vi hanno posto di fronte i materiali esoeditoriali? Secondo voi ci sono state delle occasioni espositive nelle quali è particolarmente riuscita la restituzione della ricerca sul libro d’artista?

All’inizio, insieme al tema dell’archiviazione, ci siamo interrogate sulle modalità espositive dei manufatti, che per loro natura permettono una vastità di forme ed esperienze, ma non volevamo creare un effetto vetrina che fossilizzasse l’oggetto e la sua essenza democratica. Non abbiamo trovato una risposta definitiva, anche in materia di salvaguardia, quindi abbiamo sempre affiancato il lavoro curatoriale a quello editoriale (attraverso ATPreplica e la rubrica per NERO Editions).

Con la mostra Multipli e unici a Edicola Radetzky a Milano nel 2019 abbiamo presentato il paradigma forse più immediato per raccontare il libro d’artista: come pezzo unico o nella sua dimensione moltiplicata. Il display, realizzato da Nicola Melinelli, permetteva di esporre gli oggetti aperti, con parti in tessuto che formavano delle amache, e abbiamo presentato delle compilation musicali di Davide Bertocchi, così come una performance su un libro realizzato da Valerio Veneruso.

Sul tema dei multipli abbiamo anche inaugurato nel 2023, la sezione Multipli ad Arte Fiera Bologna, che ci ha offerto una nuova occasione per riflettere sull’oggetto e sul termine, per esplorarne la dimensione e comprendere come il libro d’artista crea opere-narrativo-performative e sfugga a definizioni univoche, essendo soggetto a una certa problematicità e ambiguità.

A Bologna, pur non essendosi creato il contesto per dare forma a un display radicale, il processo di inclusione ed esclusione si è rivelato altrettanto interessante.

Una delle mostre più significative per le riflessioni generate è stata Spoken Narrative a Villa Vertua Masolo nel 2020, dove abbiamo collaborato con Francesco Pedraglio, che oltre a gestire una casa editrice di pubblicazioni legate alla narrativa e alla fiction, crea opere-libro e opere performative. L’allestimento della mostra prevedeva drappi di tessuto appesi che creavano tavoli immaginari con mensole e oggetti, come elementi da leggere e attivare. Quando il collezionista di uno dei libri esposti ci ha richiesto una teca protettiva, abbiamo proposto di realizzare un libretto a supporto della lettura ulteriore dei libri e dei materiali presenti entro le teche, quasi restituendo una voce ai loro autori. Il libro in quella sede è diventato un luogo, in cui si sono attivate comunità di voci diverse.

Con il progetto Archive Actualized, prima editoriale sulla piattaforma NERO e poi espositivo, è stato possibile aprire nuovi quesiti. La rubrica iniziale è nata nel 2022 dall’idea di mappare i luoghi in cui i libri d’artista sono conservati. Per farlo abbiamo raccolto una serie di interviste: alla Fondazione Baruchello, al collezionista Giuseppe Garrera, ai collezionisti di P420 e all’Archivio di Alberto Grifi, grazie alle quali abbiamo investigato le singole metodologie di archiviazione e di lettura di cosa sia il libro d’artista o il libro oggetto. Il progetto è stato poi presentato a Spazio Mensa a Roma, in dialogo con il designer Valerio Di Lucente e Studio Julia. Con un allestimento molto semplice, costituito da materassini in gommapiuma sui quali poggiavano dei fogli con l’introduzione di Archive Actualized e da del nastro adesivo blu con cui abbiamo creato una grande griglia, in contrasto con il colore giallo della stanza. Con dei chiodi abbiamo appeso degli estratti delle interviste su fogli A4, insieme ai contatti e agli indirizzi degli archivi per invitare il pubblico a visitarli. In quel caso abbiamo presentato anche una sorta di anticipazione dell’intervista all’Archivio di Alberto Grifi esponendo un film del regista romano.

Un esperimento che ricordiamo con grande affetto è anche quello con Franco Ariaudo, una lecture performance di Sportification, in cui l’artista ha ideato una modalità ulteriore di presentare il progetto libro. Oppure, la mostra con Giuseppe De Mattia a Spazio Chiosi a Lugano, nel 2021, in cui abbiamo ideato Fogliaccio, un lavoro che parla di archivio e di schedatura archivistica della casa editrice Tasso, includendo l’esistente e l’inesistente. È come se nel riflettere su tutte queste forme del mostrare e del parlare, l’oggetto richiamasse una dimensione altrettanto libresca per essere esperito.

… to be continued…

Lisa Andreani è attualmente dottoranda allo IUAV di Venezia con un progetto sulla mediazione culturale. Nel corso degli anni pregressi ha partecipato alla realizzazione di progetti molteplici, all’interno di istituzioni come il MACRO e il MAXXI di Roma, co-curando più recentemente :After. Festival diffuso di Architettura in Sicilia (22-29 aprile 2023).
Simona Squadrito è co-fondatrice di Kabul Magazine e docente allo IED di Milano, dove insegna un corso su Pasolini e su Arte e intelligenza artificiale, mentre all’Accademia di Belle Arti di Siracusa MADE PROGRAM insegna fenomenologia dell’arte, estetica e scrittura creativa.

immagini: (Cover 1) Team REPLICA: Lisa Andreani e Simona Squadrito (2) Installation view, REPLICA. Archivio Italiano del libro d’artista, display a cura di Parasite 2.0 e Furlani-Gobbi, Villa Vertua Masolo 2019, credits di Martina de Rosa (3) Multipli e unici, a cura di REPLICA, display a cura di Nicola Melinelli, Edicola Radetzky, Milano 2019, credits Martina De Rosa (fig. 4) Installation view, Un foglio è un foglio ma piegato enne volta diventa un libro d’artista, a cura di REPLICA, Spazio Choisi, Lugano 2021, courtesy Libri Tasso (5) Installation view, Archive Actualized, a cura di REPLICA, display a cura di Studio Julia, Spazio Mensa, Roma 2022, credits Giorgio Benni.

 

 

 

 

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Carlo Zanni alla Banquet Gallery

Par : Arshake
15 janvier 2025 à 14:05

“Mi sentivo diviso, schizofrenico. La guerra, ciò che
stava accadendo in America, la brutalità del mondo.
Che tipo di uomo sono, seduto a casa, a leggere
riviste, andando su tutte le furie per qualsiasi
cosa—e poi andare in studio a sfumare un rosso su
un blu.”
(Philip Guston, circa 1968)

 Banquet Gallery a Milano ospita DAN, personale di Carlo Zanni con opere recenti ed inedite, che includono dipinti, sculture e una performance digitale su Internet, tutte incentrate sulle intersezioni tra consumismo, ansia, emoji e identità, sullo sfondo di una guerra perpetua.

La serie Check-Out Paintings esplora il limbo psicologico dell’esperienza d’acquisto, catturando le emozioni fugaci e compulsive che l’eCommerce genera come forma di interazione con il mondo. Questi dipinti astratti evocano una riflessione contemplativa sull’ansia, il desiderio e la consapevolezza delle nostre azioni mentre prenotiamo, mettiamo like, scorriamo, spediamo, zoomiamo o restituiamo un oggetto. I Check-Out Paintings mettono in relazione la cultura digitale con una pratica artistica tradizionale, richiamandosi alle esplorazioni del tempo di On Kawara e alla sensibilità minimalista di Agnes Martin. Con una palette di colori delicati e l’inclusione di elementi visivi come emoji ed emoticon giapponesi utilizzati come clickbait, questi dipinti invitano lo spettatore a un’esperienza più intima, rivelando, infine, contenuti inaspettati.

Al piano inferiore, in un ambiente poco illuminato, è esposta per la prima volta la serie DAN: sculture in MDF incise al laser con i loghi di Amazon distorti e storpiati. Alterazioni generate dall’utilizzo di una versione preliminare ed imperfetta di DALL-E, un software di Intelligenza Artificiale per la generazione di immagini basate su input testuali – ora integrato in ChatGPT.

DAN è l’acronimo di “Do Anything Now”, un comando che un tempo permetteva agli utenti di hackerare ChatGPT, aggirando le sue protezioni etiche e morali. Queste sculture minimaliste, in penombra, invitano gli spettatori a impegnarsi in un processo simbolico di unboxing e di autoriflessione. Man mano che la vista si adatta alla scarsa illuminazione, delle forme nascoste iniziano gradualmente ad emergere.

A completamento della mostra è la performance online My Shameful Sweet Spot Between Distress and Hilarity, un’opera digitale, live e in continua evoluzione che esplora il fragile equilibrio tra bellezza, umorismo e assurdità delle nostre vite. Mediante un bot che interroga un sito web di moda con le ultime notizie di Al Jazeera, l’opera trasforma la cultura del consumo in una meditazione dinamica sui desideri e le vulnerabilità umane. Ciò richiama il concetto di Slavoj Žižek di “Unknown Knowns” (Cose Conosciute Sconosciute) – quelle credenze, valori e ideologie che esistono al di sotto della nostra consapevolezza e hanno un impatto determinante sul modo in cui percepiamo il mondo e agiamo in esso.

Le opere in mostra fondono tecnologia, commento sociale e tecniche tradizionali in uno stato liminale che evoca una sensazione di instabilità e trasformazione continua; elementi tipici della ricerca dell’artista.

(dal comunicato stampa)

Carlo Zanni. DAN, Banquet Gallery, Milano, 12.12.2024 – 01.03.2025
Carlo Zanni (La Spezia, 1975) è un artista concettuale la cui ricerca, sin dagli esordi, trova esiti coerenti mediante l’utilizzo di pratiche molto distanti, come la pittura e l’arte digitale. È stato pioniere nell’uso di dati di terze parti prelevati da Internet e da oltre vent’anni esplora lo spazio pubblico del web con opere effimere che combinano una forte sensibilità sociale con un’attenzione particolare alla privacy, all’identità e all’individuo.
Come pittore, focalizza la sua attenzione su un nuovo tipo di “paesaggio politico condiviso” emerso con Internet, che continua a trasformare le dinamiche umane. In un’epoca in cui le piattaforme di eCommerce dominano le nostre vite, Zanni rielabora questi ambienti familiari come vettori per sollevare questioni sociali e politiche urgenti. Zanni ha esposto in gallerie e musei di tutto il mondo, tra cui: National Taiwan Museum of Fine Arts, Taiwan; Arts Santa Mònica, Barcellona; Hammer Museum, Los Angeles; Marsèlleria, Milano; Tent, Rotterdam; MAXXI, Roma; MoMA PS1, New York; Borusan Center, Istanbul; PERFORMA 09, New York e ICA, Londra. È autore del libro “Art in the Age of the Cloud” in ristampa presso Magütt Publishing, e di recente è stato invitato a presentare la sua ricerca alla 10ª edizione di “Talking Galleries” a Barcellona. Il suo lavoro appare in più di 50 libri e cataloghi, oltre che in centinaia di articoli e interviste online. La sua prima monografia è in uscita per Printer Fault Press nel 2025.
immagini: (tutte) Carlo Zanni. DAN, Banquet Gallery, Milano

 

 

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FRAME > ARC 2000

Par : Arshake
2 janvier 2025 à 14:49

FRAME cattura Arc 2000 di Simon Beck, una di una sua serie di trasformazioni di paesaggi innevati e sabbiosi  in opere geometriche monumentali, combinazione di precisione matematica e natura, realizzati camminando lungo i laghi ghiacciati della Savoia.

 Simon Beck, Arc 2000, immagine via

 

 

 

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Il valore delle residenze d’artista

29 décembre 2024 à 10:03

La presente riflessione nasce a distanza di alcune settimane dal convegno Ripopolare, Rigenerare, Risiedere. Il ruolo delle residenze artistiche: un incontro durato due giorni, 9-10 novembre scorsi, presso lo Spazio Pertini del Comune lucano di Latronico (PZ) e promosso, oltre che dalla stessa Amministrazione Comunale, dall’Associazione delle residenze artistiche italiane STARE, e dall’Associazione Culturale Vincenzo De Luca-APS.

Il convegno è stato importante occasione di discussione del valore sociale, politico, oltre che artistico, delle residenze d’artista nelle aree interne e rurali: qual è il ruolo che queste strutture rivestono nelle dinamiche di valorizzazione dei territori fragili e nelle relazioni tra arte, comunità e sviluppo economico-sociale?

Sebbene le residenze artistiche siano state inizialmente concepite come spazi di riflessione e ricerca per gli artisti, il loro impatto va ben oltre la produzione culturale: esse sono anche momento durante il quale la comunità si riappropria di spazi fisici e simbolici, generando forme nuove di coesione sociale e di riattivazione dei territori.

Le residenze artistiche, dunque, non sono solo momento di sperimentazione e ricerca, ma contribuiscono anche alla creazione di legami tra le comunità locali e gli artisti, trasformando e arricchendo l’intero sistema sociale ed economico.

L’arte, pur nella sua autonomia espressiva, può essere un potente strumento per stimolare la partecipazione civica. In questo senso, il concetto di “risiedere” non si limita a una mera presenza fisica, ma diventa una metafora di una residenza attiva, impegnata nel connettere individui e collettività, promuovendo un’idea di “abitare” che trascende la semplice permanenza.

Occorre, però, sottolineare il fatto che, nonostante le residenze artistiche siano riconosciute come potente strumento per favorire l’incontro tra ricerca artistica e territorio, esse da sole non possono assolvere all’azione rigenerativa dei territori, troppo spesso associata ad una mera opera di maquillage urbano. Sebbene il termine “rigenerazione” sia, infatti, ormai abusato, e non solo nei proclami politici, il vero significato di questa parola, quando applicato alle residenze artistiche, si radica in un’azione di sensibilizzazione e educazione al “bello”, un processo che nasce dalle comunità stesse, nella consapevolezza che la cultura e l’arte possono stimolare una nuova visione del territorio. La vera azione di rigenerazione non può non partire da un’azione di sensibilizzazione delle collettività, trovando la sua vera forza nell’azione culturale ed educativa.

La vera rigenerazione territoriale è il frutto di un impegno condiviso, che va oltre la logica dell’evento e investe la capacità delle persone di riscoprire e rivitalizzare il proprio territorio.

Il valore della bellezza, in questo contesto, non è solo un valore estetico, ma un principio educativo che sollecita nuove forme di relazione con lo spazio e con gli altri. L’arte ha il potere di trasformare non solo il paesaggio fisico, ma anche la percezione che una comunità ha di sé stessa e del proprio futuro. In questo modo, le residenze artistiche si configurano come attori fondamentali nella creazione di una cittadinanza attiva, consapevole e capace di immaginare e realizzare un futuro più aperto e dinamico.

“Stare” e “residenza” sono due termini meravigliosi: presuppongono un’azione di stato in luogo, di stanziamento, di occupazione fisica di uno spazio, perché, come sosteneva Benjamin, l’abitante è colui che lascia una traccia del suo passaggio e della propria esperienza. Ecco dunque STARE.

Ripopolare, rigenerare, risiedere. Il ruolo delle residenze artistiche 9 – 10 novembre 2024 Latronico
Promosso da STARE Associazione delle residenze artistiche italiane, Associazione Culturale Vincenzo De Luca-APS, Amministrazione Comunale di Latronico

immagini (tutte): “Ripopolare, rigenerare, risiedere Il ruolo delle residenze artistiche”, November,  9 – 10, 2024 Latronico

 

 

 

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Iginio De Luca. Carborundum

27 décembre 2024 à 18:27

Carborundum, il suono del tempo minerale è il lavoro che l’artista romano Iginio de Luca ha realizzato per la Litografia Bulla (fondata a Parigi nel 1818), dal 1840 attiva a Roma nell’incontro con generazioni di artisti locali o in transito da diverse parti del mondo.

Con la capacità di pochi di re-inventarsi, dal 2020 la Litografia ha inaugurato una delle sue finestre al Progetto Passaggi, apertura sulla strada di una delle due delle stanze storiche dello studio, dove gli artisti hanno sperimentato, e continuano a sperimentare, con questa particolare tecnica di stampa. Apertura, anche, alla sperimentazione con ogni generazione di artisti per iniziativa Beatrice e Flaminia Bulla, settima generazione a portare avanti l’attività assieme al padre Romolo.

Iginio De Luca è stato invitato a realizzare un lavoro e a mettersi in ascolto del luogo. “Artista attento alle condizioni di soglia, là dove prendono forma confini mobili, i momenti in cui avvengono i passaggi di stato, in cui la percezione di chi osserva trasforma le persone, i luoghi e le cose in qualcos’altro”.
Così ritrae l’artista Pietro Gaglianò, e questa particolare sensibilità fa sì che il luogo si incontri nel procedimento litografico, in particolare nel momento della cancellazione della pietra, passaggio tra un lavoro e un altro.

Il disegno ad inchiostro formato da grassi e resine, realizzato dagli artisti e poi fissato sulla pietra, viene infatti poi cancellato alla fine di ogni lavorazione attraverso un materiale abrasivo, il carborundum (del titolo). La cancellatura è un momento di transizione che il suo lavoro restituisce in più di un’immagine, tutte radicate nel suono.

Il suono è quello che nasce nello sfregamento del carborundum sulla pietra, con l’impiego di diverse grane, dalla più fina alla più spessa. Iginio De Luca si è impegnato in questo processo alla ricerca di una sintonia e un ritmo, con un impegno anche fisico che potesse far rivivere la memoria della pietra.

Quando il suono, orchestrato in cinque brani compressi in un vinile, si disperde nelle stanze della litografia, ‘luogo esoterico’, ‘tempio dell’immagine’ come lo ha fotografato con le parole Anna Cestelli Guidi nel testo che accompagna l’installazione, la memoria dell’attività di centinaia di pietre litografiche affastellate nello spazio, è restituita alla vita.

A questa immagine ‘suonata’ nelle corde dell’empatia, si aggiunge quella della traccia audio di questo procedimento formattata dal computer e incisa a mano da Iginio de Luca sulla stessa pietra per farne una litografia.

L’eco di queste immagini risuona nel materiale che riveste interamente le copertine della serie dei venti vinili e nel titolo, Carborundum, il suono del tempo minerale, che deposita nel materiale abrasivo e nel suo processo, la matrice di questa operazione e ne visualizza la sua futura trasformazione nella sperimentazione che verrà. Nel mentre, fuori dalle stanze del laboratorio litografico, l’eco della cancellazione risuona nella coscienza politica con la stessa forza poetica che definisce tutte le operazioni di Iginio De Luca.

immagini: (tutte) Iginio De Luca, «Carborundum, il suono del tempo minerale», Litografia Bulla, Roma. © Luis do Rosario

 

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VIDEO POST > The Recap

Par : Arshake
24 décembre 2024 à 16:55

VIDEO POST rilancia r/place, progetto collaborativo ed esperimento sociale ospitato nel 2017 (e poi nel 2022-23) su Reddit, community nata nel 2005.

L’esperimento consisteva in una tela online che gli utenti registrati potevano modificare cambiando il colore di un singolo pixel con un altro da una tavolozza di 16 colori. Dopo il posizionamento di ogni pixel, un timer impediva all’utente di inserire altri pixel per un periodo di tempo variabile da 5 a 20 minuti. Il video riprende l’esperimento nel 2023, quando la piattaforma è stata interrotta. Questo breve video documenta il posizionamento di 160 milioni di piastrelle posizionate da 10,4 milioni di persone in sole 83 ore.

r/place

 

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VIDEOCITTÀ Awards 2024

Par : Arshake
21 décembre 2024 à 10:15

Da diversi anni a Roma, Il festival VIDEOCITTÀ, ideato da Francesco Rutelli e diretto da Francesco Dobrovich,  si pone come osservatorio audiovisivo, includendo anche nomi della musica elettronica, talk sui new media e installazioni immersive. Ponendosi tra cultura e intrattenimento da qualche anno questo grande evento è ospitato nel suggestivo spazio di archeologia industriale del Gazometro di Roma.

Ora, chiusa a settembre l’edizione 2024 che ha presentato il lavoro di oltre 500 artisti, Videocittà ha proseguito il 14 dicembre con l’assegnazione del Videocittà Awards, al Palazzo dei Congressi di Roma, con la conduzione del giornalista e critico d’arte Nicolas Ballario e della content creator Momoka Banana.

Federica Di Pietrantonio (categoria: video arte), l’artista multimediale e fisico Riccardo Giovinetto (categoria: AV Performance),la content creator Margherita Paiano (categoria: Creator), gli studi new media Onda Studio (categoria: Immersive Experience), e Machine Zero (categoria:Next). Margherita Landi ha ottenuto la menzione speciale.

In una sala gremita, la cerimonia è stata accompagnata dalla performance live audiovisiva “SHIRO” dei Nonotak, duo fondato nel 2011 dall’artista visiva Noemi Schipfer e dall’artista del suono e della luce Takami Nakamoto, gioco di sovrapposizioni di ombre, luci e musica techno attraverso quattro schermi semi-trasparenti e i corpi degli artisti.

All’interno del foyer dell’arte è stato possibile fare esperienza di ODE corporis, la prima esperienza in VR del Teatro dell’Opera di Roma, ideata e curata da Anna Lea Antolini con Giuliano Danieli per la regia di Guido Geminiani. Prodotto dal Teatro dell’ Opera di Roma in collaborazione con Videocittà, si tratta di un viaggio attraverso il corpo, negli spazi noti e meno noti, accessibili e inaccessibili del Teatro Costanzi e del suo laboratorio scenografico, i Cerchi. La serata si è conclusa con il DJ set di Efee

I videocittà Awards sono organizzati da Videocittà, il festival ideato da Francesco Rutelli con la direzione creativa di Francesco Dobrovich, in coproduzione con EUR SpA nell’ambito della rassegna EURCULTURE 2024/25, e grazie allo sponsor partner Ploom.

I premi di questa edizione sono stati consegnati da: Lorenza Lei, Responsabile Cinema Regione Lazio, Silvia Scozzese, Vicesindaco e Assessore al Bilancio Roma Capitale, Dardust, pianista, compositore e produttore, Laura Negrini, Direttrice IED Roma.

Videocittà Awards, 2024

 immagini: (cover 1)  Nonotak (2) Vincitori Premio Videocittà (3) ODE corporis, esperienza in VR 360° (4) Videocittà Awards Cerimony

 

 

 

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Michael Bauer. Helmeted Towards Dawn

20 décembre 2024 à 12:31

In occasione dell’apertura del nuovo spazio romano della Federica Schiavo Gallery, il 26 ottobre scorso si è inaugurata la prima mostra personale a Roma dell’artista tedesco Michael Bauer (1973, Erkelenz) dal titolo Helmeted Towards Dawn.

L’esposizione presenta un nucleo di otto dipinti, tre di grandi dimensioni e cinque più piccoli, realizzati tutti negli ultimi anni, quale elaborazione di una suggestione del passato insieme a una serie di elementi legati a una dimensione presente, contemporanea. Proprio per questo la mostra sembra mettere in atto un confronto (e un dialogo) costante tra le opere di piccole dimensioni e le grandi che differiscono non tanto per la tecnica pittorica adottata, quanto per ciò che sembrano comunicare.

La prima sala si apre con le opere Deflated husband, armpit of the universe and blue sun (2024), sulla destra, e Helmeted Towards Dawn (2024), che dà anche il titolo alla mostra, e We live in caves and tunnels (2024), entrambe sulla parete di fronte l’ingresso. I tre lavori, così come gli altri esposti, sono caratterizzati dallo stesso stile pittorico, già utilizzato da Bauer in opere precedenti, contraddistinto da una stratificazione e giustapposizione sulla tela di diverse tecniche quali acrilico, tempera e pastello mischiati insieme a creare una serie di immagini difficilmente riconoscibili.

Elementi amorfi, linee ondulate, colori caldi e freddi, cerchi colorati si affastellano sulla tela in modo da dar vita a una costellazione di paesaggi che attingono sia a una sfera personale che a elementi esterni, dal forte significato poetico. Tra questi per esempio si inserisce l’influenza derivata dalla lettura – anzi, rilettura – di una serie di romanzi di fantascienza molto cari a Bauer fin da bambino e ripresi in questi anni, di autori quali Clark Ashton Smith, Samuel Delaney, David Bunch e soprattutto il Dying Earth (il Ciclo della Terra Morente) di Jack Vance, da cui estrae alcune frasi che ha utilizzato come titoli delle opere esposte in mostra.

Stando alle parole dell’artista:

«Considero le opere di grande formato realizzate negli ultimi anni come una sorta di prequel dei dipinti più piccoli in mostra. Le figure che nei primi sprofondavano in un vortice di entropia, ora ne affrontano le conseguenze. C’è ancora intorno a loro l’eco dell’energia precedente che sembra ora immergerle in uno spazio in lenta dissoluzione. Abbandonate a sé stesse, si aggirano solitarie in paesaggi indefiniti pervasi da uno stato d’animo malinconico e da un senso di pace».

La dialettica che sembra emergere all’interno della mostra è proprio un passaggio da una dimensione vorticosa, entropica, dinamica, piena, ben visibile nelle tele di grande formato, a una più riflessiva, malinconica, “vuota” delle piccole: L’approdo dunque a un paesaggio psicologico, sottolineato anche dal cambiamento della tavolozza utilizzata, che da colori caldi scivola verso tonalità più fredde e scure. Questo confronto emerge anche nella seconda e ultima sala della galleria, in opere come Futile cousins, green shorts and fading sun (2024), di grande formato, e The dawnman cried as his faced appeared on the moon (2024), piccolo, poste tra l’altro una accanto all’altra.

Il percorso di ricerca portato avanti da Michael Bauer prosegue verso composizioni astratte ma velatamente figurative, i cui elementi diventano riconoscibili solo dopo una visione attenta e prolungata dei dipinti, risentendo chiaramente l’eco della tradizione pittorica tedesca. Il risultato raggiunto è quello di un percorso lirico e introspettivo, culminante nel tentativo di mettere in scena la sensazione di pace che si prova «nell’immaginare paesaggi vuoti, gli ultimi respiri di chi li ha abitati».

Michael Bauer. Helmeted Towards Dawn, Federica Schiavo Gallery, Roma, 26.10.2024 – 25.01.2025

immagini: (cover 1) Michael Bauer, «Helmeted Towards Dawn», 2024, olio, acrilico, pastello su tela (2-3) Michael Bauer. «Helmeted Towards Dawn», 2024, panoramica d’installazione, Federica Schiavo Gallery, Roma, foto Giulia Pietroletti, courtesy dell’artista e di Federica Schiavo Gallery (4) Michael Bauer, «Futile Cousins, Green Shorts and Fading Sun», 2024, olio, acrilico, pastello su tela

 

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Fotonica 2024

Par : Arshake
16 décembre 2024 à 22:05

Con installazioni, performance audio-video live, musica elettronica, video mapping, workshop, residenze artistiche e simposi, Fotonica si divide tra l’Accademia d’Ungheria a Roma e il quartiere Alessandrino in una location avveniristica di ultima generazione: il Chromosphere Dome, un’enorme cupola, solitamente utilizzata in campo astronomico e in particolare nei planetari, che avvolge il pubblico con suoni e immagini da ogni direzione, garantendogli una reale quanto rara esperienza immersiva a 360 gradi.

Fiore all’occhiello di FOTONICA i live audio video di otto artisti di fama internazionale aprono e chiudono il Festival: Lydia Yakonowsky (Canada), VJ Spetto (Brasile), Ployz (Germania) Monocolor (Austria), Damiano Simoncini | Levi & Cristina Angeloro (Italia) Kati Katona (Ungheria), Milian Mori (Svizzera), Touchy Toy Collective (Italia) Konx-om-Pax (Uk).

Dal 13 al 21 dicembre, tutti i giorni dalle 11 alle 17, nel Chromosphere Dome si susseguiranno le opere video dedicate a bambini e bambine. Dalle 17 in poi, l’esterno della cupola ospita i video mapping di artisti come DeRe dal Michigan e i lavori finali delle residenze artistiche e dei workshop per adulti e bambini a cura di Naba, FLxER e Fusolab, mentre all’interno della cupola, parallelamente, saranno proiettate le opere video di artisti internazionali: dal Giappone Yuri Urano e Manami Sakamoto, dalla Cina Te-Hsing Lu e Calvin Sin, dalla Polonia Ari Dykier, dalla Germania Sergey Prokofyev, dalla Grecia e dal Regno Unito Uncharted limbo Collective, e infine dalla Francia Milkorova, Sandrine Deumier, François Vautier, Flore e Sébastien Labrunie.

Fotonica ha inaugurato venerdì 13 dicembre all’Accademia d’Ungheria in Roma con Modulator V3, installazione del celebre artista ungherese Dávid Ariel Szauder, ispirata all’iconico “Light Prop for an Electric Stage” (1930) della figura di spicco della Bauhaus László Moholy-Nagy.

L’opera concepita da László Moholy-Nagy e progettata dall’architetto István Sebők era originariamente intesa come un “dispositivo sperimentale per la pittura della luce”. Attingendo al prototipo originale Szauder ha creato una performance interattiva arricchita da un’esperienza uditiva che risponde all’ambiente di luci e ombre creato dal movimento della scultura.

Il Festival ha proseguito, e prosegue ancora, tra Accademia di Ungheria e il Chromosphere Dome fino al 21 dicembre, 2024 con eventi di live performance, incontri e workshop. Consultate qui il sito per il calendario aggiornato degli eventi e per i biglietti.

Fotonica Festival, Accademia di Ungheria e Chromosphere Dome (quartiere Alessandrino), Roma, 13.12 – 21.12.2024
Il progetto, promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, è vincitore dell’Avviso Pubblico biennale “Culture in Movimento 2024 – 2025”, realizzato in collaborazione con SIAE e con il sostegno della Comunità Europea – Creative Europe. FOTONICA è prodotto da Flyer srl, che nel 2004 ha dato vita a LPM Live Performers Meeting, il più grande evento del settore, giunto alla sua venticinquesima edizione. Il Festival fa parte del network AVnode, una rete internazionale con oltre 60 membri che promuovono più di 200 progetti tra festival, meeting e workshop.
immagini: (cover 1) MONOCOLOR, Entangled Structures (2) Kati Katona, Continuum (3) Touchy Toy Collective

 

 

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FRAME > Seeders and Leechers

Par : Arshake
16 décembre 2024 à 15:37

FRAME cattura Seeders and Leechers di Janne Schimmel, scultura ed ecosistema dove componenti tecnologici coesistono con forme scultoree che imitano forme viventi e che sembrano in procinto di trasformarsi.

Janne Schimmel, Seeders and Leechers, 2023, immagine via

 

 

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VIDEO POST > Slow Room

Par : Arshake
15 décembre 2024 à 11:23

VIDEO POST rilancia SLOW ROOM dell’artista californiano Johnatan Schipper: un soggiorno viene lentamente trascinato in un buco nel corso di un mese, risposta al dilemma dei nostri tempi: “essere parte del sistema mentre si nega e si rifiuta la stasi… ”.

Johnatan Schipper, Slow Room, 2024

 

 

 

 

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Haacke alla Schirn Kunsthalle

Par : Arshake
12 décembre 2024 à 20:02

Dall’8 novembre 2024 al 9 febbraio 2025, la Schirn Kunsthalle di Francoforte dedica una retrospettiva all’artista tedesco-americano Hans Haacke, con una rassegna di opere a dal 1959 a oggi, tracciandone il suo indirizzo politico.

In diverse occasioni, i suoi controversi contributi artistici ai dibattiti in corso sono stati censurati dalle mostre. Artisticamente, ha perseguito una varietà di strategie, impegnandosi precocemente nei campi dell’ecologia e delle scienze naturali, attingendo agli approcci del gruppo ZERO, del Minimalismo, dell’Arte Concettuale, dell’arte pubblica e della poster art, tra gli altri. In qualità di pioniere della Critica Istituzionale nell’ambito dell’Arte Concettuale, le sue opere esaminano ordini o sistemi e li presentano in modo comparativo. L’artista stesso descrive il mondo come un super-sistema con innumerevoli sottosistemi, ognuno dei quali è più o meno influenzato dagli altri. Il pensiero sistemico, la critica istituzionale e la democrazia sono i temi principali che attraversano l’opera di Haacke. Alla Schirn sono in mostra i primi lavori iconici degli anni Sessanta, i suoi influenti sistemi in tempo reale, i pezzi che invitano alla partecipazione del pubblico e le ampie installazioni (storiche) politiche. Con circa settanta dipinti, fotografie, oggetti, installazioni, azioni, manifesti e un film, la mostra illustra come Haacke sia diventato uno degli artisti politici più importanti e influenti del mondo per le generazioni successive.

 

Per questa retrospettiva completa, lo Schirn è riuscito a riunire a Francoforte importanti opere dell’artista provenienti da collezioni pubbliche e private internazionali, tra cui: Museum Abteiberg, Mönchengladbach; Art Gallery of Ontario, Toronto; FRAC Bourgogne Dijon Collection; Generali Foundation Collection at the Museum der Moderne, Salzburg; Hamburger Bahnhof Nationalgalerie der Gegenwart, Berlino; LACMA, Los Angeles; Museum Ludwig, Colonia; MACBA, Barcellona; Lila and Gilbert Silverman Collection, Detroit; TATE London e Whitney Museum of American Art, New York.

Sebastian Baden, direttore della Schirn Kunsthalle di Francoforte, osserva che: “Hans Haacke è una leggenda dell’arte concettuale politica. Con questa retrospettiva presentiamo un artista il cui lavoro ha avuto una grande influenza sull’arte contemporanea. I suoi temi principali dell’ecologia, della critica istituzionale e della democrazia sono anche i temi centrali del presente. La pratica critica di Haacke deve essere resa accessibile e comunicata a un vasto pubblico internazionale. L’artista si preoccupa sempre di coinvolgere gli spettatori, invitandoli a impegnarsi in un dibattito critico e sensibilizzandoli alla diversità e alla libertà di opinione. Il potenziale democratico del suo lavoro di opposizione è particolarmente rilevante oggi, in un momento in cui le democrazie di tutto il mondo sono a rischio”.

Ingrid Pfeiffer, curatrice della mostra, osserva inoltre: “Osservare in particolare i primi lavori di Hans Haacke offre spunti di riflessione su un’opera che a prima vista può sembrare eterogenea. Egli utilizza questioni sistemiche per combinare materiali e tecniche diverse come la fotografia, gli oggetti, le azioni o le installazioni. I parallelismi strutturali percorrono come un filo d’oro la sua opera. In vari periodi, ha collegato sistemi fisici, biologici e sociali per rivelare strutture e cicli. Il lavoro di Haacke è sempre rigorosamente politico, ma anche poetico e umoristico. Questa sua schiettezza lo ha portato a essere disinvitato più volte dalle mostre. Ha sempre difeso le sue convinzioni, in particolare la difesa dei principi democratici”.

Nella sua rotonda accessibile al pubblico, la Schirn presenta l’iconico Gift Horse (2014) di Hans Haacke, che l’artista ha realizzato per Trafalgar Square a Londra nell’ambito del Fourth Plinth, una delle più prestigiose commissioni di arte pubblica al mondo. Come una sorta di “contro-monumento” alla rappresentazione imperiale del potere da parte delle statue di questa piazza, la scultura in bronzo di Haacke, alta 4,5 metri, mostra uno scheletro di cavallo basato su uno studio tratto dal libro di George Stubbs The Anatomy of the Horse. Il ticker della Borsa di Francoforte è trasmesso in diretta tramite un display elettronico su un anello nella parte anteriore dell’osso della coscia dello scheletro. Gift Horse di Haacke può essere letto come un commento su una società che per secoli è stata definita da antagonismi di classe e soggetta ai dettami dei mercati.

Il percorso espositivo inizia con importanti opere fisiche, biologiche ed ecologiche a partire dagli anni Sessanta. I primi progetti di Haacke sono stati influenzati dall’amicizia con Otto Piene e dal contatto con il gruppo ZERO di Düsseldorf. In questo periodo partecipò a numerose mostre pionieristiche sull’Arte Cinetica, l’Op Art, l’Arte Concettuale e la Land Art. Sebbene il lavoro di Haacke si sovrapponga a molti movimenti innovativi degli anni Sessanta, egli non sente di appartenere veramente a nessuno di essi. Non era interessato a materiali o stili specifici, ma alle connessioni fondamentali tra sistemi fisici, biologici e sociali. Tra le prime opere esposte allo Schirn figurano il dipinto Ce n’est pas la voie lactée (1960) e i rilievi di Haacke con lamine di specchio realizzati a partire dal 1961.

Quest’ultimo testimoniava già un interesse per le interazioni con lo spettatore, che sarebbero diventate sempre più importanti. Anche la prima opera fotografica di Haacke, Photographic Notes, documenta 2 (1959), ritrae il comportamento dei visitatori negli spazi espositivi. Altre opere, alcune delle quali di natura partecipativa, mostrano processi fisici, come Column with Two Immiscible Liquids (1965) o Large Water Level (1964-65). In mostra anche una serie in cui Haacke ha esplorato i vari stati fisici dell’acqua. Una delle opere simbolo dell’artista è il Large Condensation Cube (1963-67), un cubo di vetro acrilico che racchiude una piccola quantità d’acqua. Haacke ha anche chiamato questi cubi “scatole meteorologiche” e in seguito ha fatto analogie tra il clima meteorologico e quello politico.

Questo collegamento di sistemi diversi è caratteristico del metodo di Haacke. Il passaggio dall’oggetto (o scultura) al processo è evidente anche nella sua pratica artistica. Altri “allestimenti sperimentali” all’interno del museo mostrano il ciclo dell’acqua (Circulation, 1969) attraverso l’evaporazione, la condensazione, la cristallizzazione, la liquefazione, altri movimenti d’aria (Blue Sail, 1964-65) o processi di crescita (Grass Grows, 1969).

L’artista è tornato costantemente su questioni sistemiche ed ecologiche. La sua fotografia Monument to Beach Pollution (1970) è una delle prime opere d’arte ecologiche. Con il Trittico delle acque di scarico di Krefeld (1972) e l’Impianto di depurazione delle acque del Reno (1972), Haacke ha commentato in modo diretto e incisivo l’inquinamento del fiume Reno. Anche i suoi “sistemi in tempo reale” sono una caratteristica distintiva della sua opera. L’azione Chickens Hatching (1969) vede schiudersi pulcini in L’azione Chickens Hatching (1969) vede schiudersi pulcini in tempo reale nello spazio espositivo, dimostrando i processi di nascita e crescita in una struttura scatolare minimalista. Ant Co-op (1969) documenta la regolarità delle gallerie scavate dalle formiche come sistema biologico e sociale. Il ritratto d’artista documentario Hans Haacke: Self-Portrait of a German Artist in New York (1969) offre approfondimenti sui suoi metodi artistici e mostra anche molte delle prime opere processuali in azione.

Una delle aree di interesse della mostra è l’approccio sociologico e politico che alla fine è diventato la sua firma. A partire dal 1969, Haacke ha iniziato ad analizzare e visualizzare i sistemi sociali al fine di suscitare dibattiti sociopolitici nel contesto artistico. Questa forma di arte concettuale è fondamentalmente una presa di coscienza delle condizioni sociali, economiche e istituzionali in cui l’arte viene prodotta, esposta, venduta e ricevuta. Nel 1971, Shapolsky et al. Manhattan Real Estate Holdings, a Real-Time Social System, as of May 1, 1971 ha scatenato uno scandalo politico-culturale e proteste artistiche contro la censura. Utilizzando fotografie, tabelle e planimetrie di 142 proprietà nel Lower East Side e nel quartiere di Harlem a Manhattan, Haacke ha esposto la dubbia concentrazione di proprietà immobiliari e le relative pratiche del gruppo Shapolsky.

Quest’opera portò il direttore del Guggenheim Museum, Thomas Messer, a cancellare la mostra personale di Haacke poco prima della sua inaugurazione. Anche Manet-PROJEKT ’74 (1974), presentato da Haacke per la mostra di anniversario del Wallraf Richartz Museum di Colonia, ha provocato un altro atto di censura istituzionale. Haacke propose di esporre il Grappolo di asparagi (1880) di Édouard Manet, proveniente dalla collezione del museo, insieme ai risultati delle sue ricerche sulla provenienza dell’opera. I pannelli informativi contengono dettagliate informazioni personali, biografiche, professionali e finanziarie sui precedenti proprietari, nonché informazioni sul loro coinvolgimento nel nazionalsocialismo. La Schirn presenta anche altre due opere che esaminano criticamente gli intrecci tra mecenatismo artistico e attività economica: Der Pralinenmeister (Il maestro del cioccolato) (1981), sulle connessioni tra le decisioni culturali e fiscali dell’influente collezionista e produttore di Colonia Peter Ludwig, e Buhrlesque (1985) sul collezionista d’arte, mecenate e produttore di armi svizzero Dr. Dietrich Bührle.

La mostra presenta anche opere partecipative, come l’installazione MoMA Poll (1970) in cui Haacke ha posto ai visitatori del Museum of Modern Art di New York domande sulle loro convinzioni politiche. Durante la mostra alla Schirn sarà condotto anche un nuovo sondaggio tra i visitatori. In Photoelectric Viewer-Controlled Coordinate System (1968), i movimenti dei visitatori attraverso la stanza attivano proiettori a infrarossi e sensori fotoelettrici che attivano in modo diverso ventotto lampadine.

In numerose opere Haacke ha sostenuto i processi democratici, l’attivazione dell’opinione pubblica e un approccio antifascista pluralista. Alcuni dei suoi progetti riguardano la rappresentazione dei media: News (1969) trasporta il ticker di un’agenzia di stampa nello spazio espositivo; nello Schirn vengono trasmessi i servizi di alcuni media di Francoforte, come la Frankfurter Allgemeine Zeitung, la Frankfurter Rundschau e Hessenschau.de. Photo Opportunity (After the Storm / Walker Evans) (1992) offre una prospettiva comparativa sul reportage fotografico. La Schirn presenta anche il lavoro di Haacke sulla critica del potere per Documenta 7. L’installazione Oil Painting: Homage to Marcel Broodthaers (1982) consiste in un ritratto dell’allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan realizzato dallo stesso Haacke, esposto di fronte a una fotografia di grande formato di una grande manifestazione di oppositori alla sua politica e allo spiegamento di armi nucleari. Anche l’impegno di lunga data di Haacke nei confronti della politica della storia e del post-nazismo è presente nella mostra. Nel 1993 ha rappresentato il Padiglione tedesco alla Biennale di Venezia, per il quale ha ricevuto il Leone d’oro insieme a Nam June Paik.

Il suo sensazionale contributo GERMANIA presenta un campo di detriti di lastre di marmo all’interno della sala, che era stata ristrutturata nel 1939 sotto il nazionalsocialismo. Haacke ha sviluppato l’opera di grandi dimensioni DER BEVÖLKERUNG (TO THE POPULATION) (2000) come installazione permanente per uno dei due cortili interni dell’edificio del Reichstag tedesco a Berlino. La decisione di affidare l’incarico ad Haacke è stata oggetto di intensi dibattiti pubblici nel Bundestag. Le lettere illuminate installate sul pavimento si riferiscono all’iscrizione “DEM DEUTSCHEN VOLKE” (Al popolo tedesco) sul frontone dell’edificio del Reichstag. Ogni membro del Bundestag è stato invitato a contribuire con 50 chilogrammi di terra del proprio collegio elettorale; i semi inseriti nel terreno sono cresciuti in una varietà di vegetazione vivente, che oggi incornicia le lettere. Il progetto di poster di Haacke We (All) Are the People, creato per documenta 14 (2017) a Kassel e Atene e da allora esposto più volte, può essere letto come una reazione all’aumento del sentimento anti-migranti degli ultimi decenni. L’opera, basata su manifesti testuali, ripete lo slogan omonimo nelle dodici lingue diverse dei principali gruppi di migranti in ogni Paese.

(dal comunicato stampa)

Hans Haacke. Retrospective, Schirn, 08.11 – 05.02.2024
La mostra “Hans Haacke: Retrospettiva” è finanziata dalla Kulturstiftung des Bundes (Fondazione culturale federale tedesca). Finanziata dalla Beauftragte der Bundesregierung für Kultur und Medien (Commissario del governo federale per la cultura e i media). Con il sostegno aggiuntivo di fiber to the people GmbH.

immagini: (cover 1) Hans Haacke: Retrospective, exhibition view, © Schirn Kunsthalle Frankfurt 2024, Photo: Norbert Miguletz (2) Hans Haacke: Retrospective, exhibition view, © Schirn Kunsthalle Frankfurt 2024 (3) Hans Haacke, Large Condensation Cube, 1963–67, Acrylic glass, distilled water, 76.2 x 76.2 x 76.2 cm, MACBA Collection, MACBA Foundation, Gift of National Comitee and Board of Trustees Whitney Museum of American Art, © Hans Haacke / VG Bild-Kunst, Bonn 2024, Photo: Hans Haacke (4) Hans Haacke, News, 1969, Teletype machine, paper, wire service, variable dimensions, Edition 2/3, Courtesy the artist and Paula Cooper Gallery, New York, © Hans Haacke / VG Bild-Kunst, Bonn 2024, Photo: Ellen Wilson (5-6) Hans Haacke: Retrospective, exhibition view, © Schirn Kunsthalle Frankfurt 2024, Photo: Norbert Miguletz

 

 

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Angelo Trimarco (1941 – 2024)

10 décembre 2024 à 15:54

Nel segno di Baudelaire il primo incontro con Angelo Trimarco, nelle aule dell’Università di Salerno, incantato dalla voce morbida e dalla grazia che nutriva il movimento delle mani che disegnavano nell’aria le traiettorie del pensiero ed aprivano nel nome luminoso del poeta alle latitudini del moderno. Anzi no, forse ho intercettato la profondità e la dolcezza del suo sguardo ancora prima, nelle stanze accoglienti della Galleria Paola Verrengia, lui che con asciutta eleganza, raccontava in modo impareggiabile l’incontro con l’arte sociale di Joseph Beuys, epicentro della sua cangiante Napoli ad arte 1985-2000 (1999). Poco importa, forse se, come ha scritto Roland Barthes, «non si riesce mai a parlare di ciò che si ama».

La sequenza di fermo-immagine prodotta dall’emozione per la scomparsa di Trimarco è innanzitutto l’indice di una riflessione limpidissima condotta con lucidità critica e passione civile nel territorio dell’arte, Dentro e fuori (1980) le istituzioni, come recita il titolo di un volume di Filiberto Menna, suo amatissimo maestro. Un intellettuale generoso che faceva dell’amicizia un dono prezioso ed uno studioso che sin dalla fine degli anni Sessanta – Trimarco nel 1971 aveva assunto l’incarico dell’insegnamento di Storia della Critica d’Arte nell’ateneo salernitano, dal 2012 era docente emerito – ha intrecciato con rara intelligenza e calibrata misura riflessione teorica e pratica critica, guardando tra i primi in Italia all’orizzonte surrealista, di cui La poetica di Breton (1969) e l’introduzione alla Filosofia del Surrealismo di Alquiè (1970) sono prove flagranti, ed insieme interrogando il presente dell’arte, come testimonia la mostra-saggio Ricognizione Cinque (1968) che con taglio generazionale allineava, sondandone le intersezioni, cinque critici e cinque artisti: Achille Bonito Oliva, Agostino Bonalumi – Maurizio Fagiolo, Marcolino Gandini – Germano Celant, Aldo Mondino – Renato Barilli, Gianni Ruffi – Alberto Boatto, Gilberto Zorio. Seguendo i sommovimenti dell’arte e della critica, indagandone in profondità le zone d’ombra, assumendo gli strumenti dell’antropologia – di cui aveva accolto con tempestività la svolta suggerita da Joseph Kosuth, Artist as Anthropologist (1975) – e della psicanalisi lungo l’asse «Freud avec Lacan», della sociologia dell’arte e dell’iconologia in chiave warburghiana (L’iconologia oltre la semiotica?, il titolo dell’intervento tenuto al Convegno di Teoria e pratiche della critica d’arte a Montecatini nel 1978), Trimarco ha costruito un raffinatissimo controdiscorso teorico che ha trovato forma in volumi esemplari per lo spazio italiano degli anni Settanta: L’inconscio dell’opera. Sociologia e psicanalisi dell’arte (1974), Itinerari freudiani. Sulla critica e la storiografia dell’arte (1979).

Dopo la «vertigine del teorico» che solcava gli anni Settanta, aveva saputo all’avvio degli anni Ottanta registrare e diagnosticare, come un acutissimo sismografo, la graduale erosione delle funzioni della critica e «lo sfiorire della teoria», in un libro decisivo La parabola del teorico (1982) [ripubblicato nel 2014 – con un’introduzione di Stefania Zuliani -, nella collana Critical Grounds di Arshake, diretta da Antonello Tolve e Stefania Zuliani] che, insieme con il volume menniano Critica della critica (1980), costituisce un passaggio ineludibile per comprendere le traiettorie dell’arte e della critica all’incrocio tra moderno e postmoderno.

Stringendo arte e filosofia, architettura e design, poesia e letteratura, continuando a frequentare con intensità il pianeta surrealista e le sue articolazioni (del 1984 è il volume Surrealismo diviso), Trimarco con sguardo poroso – come osservò Gillo Dorfles nell’introduzione di un volume che sin dal titolo è un avvertimento Il presente dell’arte (1992) – è andato «sempre alla ricerca di categorizzazioni del pensiero profondo che sta alla base di ogni creatività».  Una parabola che all’avvio del nuovo millennio ha ripensato il destino dell’arte in un libro indimenticabile, Opera d’arte totale (2001) che annoda l’arte e la vita nello specchio della Gesamtkunstwerk, dove «la vita è una parola che, pur presa nel labirinto di mille significati, continua, comunque, a suggerire uno spazio irriducibile alle forme e un’alterità radicale». In questi stessi anni, con un trittico di saggi intersecanti, Post-storia.

ll sistema dell’arte (2004), Galassia. Avanguardia e postmodernità (2006), Ornamento. Il sistema dell’arte nell’epoca della megalopoli (2009), ha offerto una rilettura originale dell’intreccio di postmodernità e globalizzazione, disegnando una cartografia dei percorsi e degli squilibri, delle fratture e delle discontinuità del sistema dell’arte (e della critica) nel tempo della Global Art History. Ed è in questo quadro in continua trasformazione che Trimarco ha indicato nella questione dell’abitare, nell’ospitalità e nell’incontro con l’altro, un luogo prezioso per l’arte e per la critica, un nucleo cruciale che «virando oltre i tratti identitari propri del pensiero della modernità apre all’alterità» (L’arte e l’abitare, 2001).

Si configura lungo quest’asse concettuale l’orizzonte artistico del nuovo secolo, un campo mobile ed inquieto, segnato da una doppia ottica che ha trovato forma e respiro nel volume Italia 1960/Oltre il 2000. Teoria e critica d’arte (2022): ricostruzione «della trama per tagli e intrecci, del lessico e delle forme, delle figure e dei luoghi», di un segmento di critica e teoria dell’arte in Italia ed insieme inesauribile dispositivo di costruzione del nuovo. Così la critica – nel periplo luminoso disegnato da Trimarco in oltre mezzo secolo di riflessione teorica e lavoro sul campo, coniugando ininterrottamente esprit de géométrie ed esprit de finesse – «non è disciplinamento né decifrazione di un mutismo fondamentale, ascolto di una zona finalmente affrancata da ogni positività, ma una costruzione, che non è rivolta a penetrare e a scavare un significato dominante e una completezza, che non ha una meta né un’interezza da raggiungere, perché polisensa e plurale, infinita e interminabile» (Confluenze. Arte e critica di fine secolo, 1990). Ed è in questo movimento di costruzione infinita ed interminabile l’esito del suo illuminante pensiero e di un metodo da continuare incessantemente ad interrogare.

 

 

 

 

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FRAME > Spiral of Time

Par : Arshake
8 décembre 2024 à 18:39

FRAME cattura un fermo immagine del progetto online Spiral of Time del compositore e ricercatore olandese Edwin van der Heide, esplorazione della relazione tra suono, spazio e tempo, in questo caso riferito al paesaggio attorno al museo MACBA di Barcellona. I suoni del circondario, catturati per un minuto ogni ora nell’arco di tre anni sono organizzati in un archivio sonoro da fruire online con la possibilità di diverse letture temporali che ne fanno emergere i diversi patterns.

Edwin van der Heide, Spiral of Time, 2024, MACBA, Barcellona

 

 

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VIDEO POST > Round About Four Dimensions

Par : Arshake
8 décembre 2024 à 18:19

VIDEO POST rilancia la documentazione della scultura Round About Four Dimensions di Julius von Bismark e Benjamin Maus, proiezione di una rotazione quadrimensionale,  un “ipercubo”, un “quadruplo cubo” o un “tesseratto”, spesso citato nelle teorie matematiche e fisiche per illustrare concetti che vanno oltre le tre dimensioni spaziali.

Julius von Bismark e Benjamin Maus, Round About Four Dimensions, 2023
Il progetto è stato commissionato da Arts at CERN per la mostra Exploring the Unknown al CERN Science Gateway, il nuovo centro didattico del CERN.

 

 

 

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Artists Making Books: Pages of Refuge

5 décembre 2024 à 17:35

La mostra Artists Making Books: Pages of Refuge all’American Academy di Roma è un vero e proprio nel mondo del libro d’artista, ambito di produzione e di sperimentazione che ha accompagnato i lavori di moltissimi artisti, dalle avanguardie del primo novecento del XX secolo in poi. Il libro d’artista ha rappresentato uno spazio di libertà, con la possibilità di utilizzare materiali, caratteri tipografici, formati fuori dai canoni tradizionali.

I lavori selezionati in mostra, molte delle opere provenienti dalle collezioni Consolandi e Aldobrandini che hanno collaborato al progetto, questo aspetto lo mettono ben in evidenza. Compresi in mostra sono lavori di artisti impegnati in ogni genere di formato e scala, da pittori, ad artisti concettuali, a film-makers. Ciascun libro è un modo diverso di conquistare uno spazio di libertà e di sperimentazione in una incredibile varietà di approcci.

“Guardando alle relazioni tra le avanguardie e la contemporaneità” leggiamo nel comunicato, “la mostra vuole evidenziare come il libro sia stato, e continui a essere, un oggetto di sperimentazione, un modo per resistere ai vincoli del mercato e creare, in definitiva, uno spazio di libertà in cui rifugiarsi. La selezione esposta traccia una possibile storia di come approcci radicali al libro abbiano portato ad adottare diverse soluzioni grafiche che sovvertono, inventano, rovesciano e celebrano le lettere, le parole, i testi e le forme di una pubblicazione”.

Libri di artisti delle prime avanguardie, come Natalia Goncharova, Tristan Tzara, Fortunato Depero, Marcel Duchamp, a quelli legati alla Pop Art Andy Warhol, Keith Haring, all’arte concettuale, come John Baldessari, avviano un percorso che arriva fino alle produzioni più recenti, alcune esposte nella bellissima cornice della libreria Barbara Goldsmith Rare Book Room, accessibile al pubblico unicamente in questa occasione.

Alcune delle produzioni in mostra appartengono infatti ad artisti che nel corso degli anni sono stati invitati in residenza, come Jenny Holzer, Kara Walker, Irma Boom, William Kentridge, Arturo Herrera. Presenti anche i lavori dei borsisti vincitori del Rome Prize come Eugene Berman (1959), Ana Mendieta (1984), Tony Cokes (2022), Rochelle Feinstein (2017), e Italian Fellows come Nico Vascellari (2008), Luca Vitone (2009), Marco Raparelli (2011) e Rä Di Martino (2018).

Il libro d’artista esce dai canoni tradizionali e diventa territorio prezioso di sperimentazione ed espressione, per le potenzialità dello spazio, della materia, della tipografia, e della possibilità di spingere tutto questo fuori dai propri confini, non in ultimo quelli che chiudono il libro in un involucro prezioso e poco accessibile. Il libro d’artista è un oggetto che i suoi autori hanno abitato, sovvertito, sperimentato, lo hanno reso accessibile. Non ha confini di genere. Basti pensare che la collezione di libri d’artista della Franklin Furnace, fondata da Martha Wilson nel 1976 a New York e poi donata al Museo MoMA nel 1993, era inclusa in una programmazione, per missione, indirizzata a lavori time-based, accanto a performance art e progetti site-specific.

La mostra ‘condensa tempi ed epoche differenti in un percorso che tiene fede al sottotitolo della mostra Pages of Refugee’ , così visualizza molto lucidamente gli obiettivi auspicati e raggiunti della mostra Asia Benedetti nel suo bellissimo e dettagliato articolo pubblicato sulla Rivista “Engramma” (Ottobre 2024). “La pagina”, prosegue Asia Benedetti, ”soprattutto nelle avanguardie storiche, diventa spazio alternativo in cui è possibile liberare la parola dall’egemonia del linguaggio verbale istituzionalizzato e invertire i significati prestabiliti. La sinergia tra testo, immagini, formato e materiale esprime una creatività a tutto tondo che si trasmette dalla copertina alla struttura interna”.

Le copertine, le pagine, le azioni (quelle depositate nel libro inteso come documento) e le collaborazioni, sono i raggruppamenti espositivi e concettuali che articolano, più che suddividere, la mostra che gode di una certa continuità anche nel percorso delle varie stanze che la ospitano.

Il viaggio nel mondo dei libri d’artista si apre con Twentysix Gasoline Stations di Ed Rusha, dono dell’artista all’American Academy nel 2001. Raccolta di immagini di stazioni di servizio appartenenti al paesaggio della Route 66 in California e un formato tutto sommato non troppo anti-convenzionale, questo modello di libro d’artista ha rappresentato un nuovo paradigma del libro: “visivo economico e portatile”, come ben spiega uno dei testi che accompagnano il visitatore in mostra e che ne curano un aspetto non così marginale, quello di accompagnare il visitatore per mano in questo viaggio. D’altro canto, per quanto la produzione di libri d’artista sia stata incredibilmente prolifica durante le prime avanguardie, ha preso piede ed è stata riconosciuta come genere a sé stante alla fine degli anni sessanta, inizio settanta.

Il libro, questo oggetto così piccolo agile e soprattutto accessibile, racconta momenti salienti dei suoi autori, del loro ruolo all’interno del contesto storico-artistico delle loro rispettive epoche.

La mostra ha il dichiarato intento di mettere a fuoco la contaminazione culturale tra Italia e Stati Uniti, in particolare di quella favorita attraverso l’American Academy a Roma. La accuratissima selezione dei lavori, tuttavia, non manca di offrire un panorama d’insieme piuttosto esaustivo attraverso artisti significativi e lavori rappresentativi di momenti chiave nell’ambito di ciascun percorso e del suo posizionamento nelle geografie creative del momento da dove si diramano le direzioni future, forti del privilegio di uno sguardo retrospettivo.

Artists Making Books: Pages of Refuge, a cura di Ilaria Puri Purini, Andrew Heiskell Arts Director e Sebastian Hierl, Drue Heinz Librarian, con Lexi Eberspacher, Programs Associate for the Arts e Johanne Affricot, Curator-at-Large dell’American Academy in Rome, fino al 07.12.2024 (apertura Venerdi – Sabato. 16.00 – 19.00). L’exhibition design è affidato allo studio di architettura Supervoid (Benjamin Gallegos Gabilondo, Marco Provinciali e Anna Livia Friel).
Artisti: Vincenzo Agnetti, Micol Assaël, Josef Albers, Giovanni Anselmo, Stefano Arienti, Fabio Barile, Balthus, Elisabetta Benassi, Eugene Berman (Resident 1957), Irma Blank, Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Irma Boom (2018), André Breton, Alberto Burri, Alexander Calder, Canemorto, Chiara Camoni, Giuseppe Capogrossi, Maurizio Catellan, Alessandro Cicoria, Francesco Clemente, Tony Cokes (Fellow 2023), Gianluca Concialdi, Matthew Connors (Fellow 2025), Enzo Cucchi, Hanne Darboven, Giorgio de Chirico, Willem De Kooning, Michela De Mattei, Kimmah Dennis (Fellow 2025), Fortunato Depero, Rä Di Martino (Italian Fellow 2018), Marcel Duchamp, Nona Faustine (Fellow 2025), Rochelle Feinstein (Fellow 2018), Leonor Fini, Lucio Fontana, Allen Frame (Fellow 2018), Mario Gooden (Resident 2024), Natalia Goncharova, Keith Haring, Ann Hamilton (Resident 2017), Arturo Herrera (Resident 2024), Jenny Holzer (Resident 2004), ILIAZD, Emilio Isgrò, Isaac Julien (Resident 2016), Vassily Kandinsky, Alex Katz (Resident 1984), On Kawara, Ellsworth Kelly, William Kentridge (Resident 2011, 2016), Kiki Kogelnik, Jannis Kounellis, Maria Lai, Fernand Léger, Sol LeWitt, El Lissitzky, George Maciunas, Jackson Mac Low, Kazimir Malevich, Piero Manzoni, Franz Marc, Filippo Tommaso Marinetti, Henri Matisse, Mel Chin (Resident 2024), Julie Mehretu (Resident 2020), Ana Mendieta (Fellow 1984), Mario Merz, Sabrina Mezzaqui, Joan Mirò, Nelson Morpugo, Bruno Munari, Wangechi Mutu (Resident 2019), Francis Offman, Luigi Ontani, Giuseppe Penone, Gordon Powell (Fellow 1988), Pablo Picasso, Man Ray, Marco Raparelli (Italian Fellow 2011), Aleksandr Rodchenko, Olga Rozanova, Ed Ruscha, Kay Sage, Alberto Savinio, Kurt Schwitters, Dread Scott (Fellow 2024), Dorothea Tanning, Tricia Treacy (Fellow 2018), Richard Tuttle, Cy Twombly, Tristan Tzara, Grazia Varisco, Nico Vascellari (Italian Fellow 2008), Elihu Vedder, Luca Vitone (Italian Fellow 2009), Kara Walker (Resident 2016), Andy Warhol, Laurence Weiner, Francesca Woodman, Xu Bing (Resident 2024), La Monte Young.

Immagini: Artists Making Books: Pages of Refuge, American Academy, Roma, panoramica di mostra (2) Artists Making Books: Pages of Refuge, American Academy, Roma, panoramica di mostra, Barbara Goldsmith Rare Book Room (3) William Kentridge  , Portage, 2000 , Courtesy Collezione Privata, Ph. Alessandro Lui (4-5)  Artists Making Books: Pages of Refuge, American Academy, Roma, panoramica di mostra (6) Artists Making Books: Pages of Refuge, American Academy, Roma, panoramica di mostra, Barbara Goldsmith Rare Book Room, dettaglio

 

 

 

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FRAME > Pluma

Par : Arshake
1 juillet 2024 à 10:48

FRAME cattura Pluma di Giacomo Lepri, installazione sonora che rileva il tatto attraverso le piume e genera suoni attraverso una sintesi audio neurale.

Giacomo Lepri, Pluma, 2024, immagine via
Concept, design & sound: Giacomo Lepri | CNC fabrication: Halldór Úlfarsson | Audio neural synthesis: Victor Shepardson | Sviluppato presso Intelligent Instruments Lab come parte del progetto EU ERC INTENT.

 

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VIDEO POST > What does A.I. think about me?

Par : Arshake
29 juin 2024 à 18:42

VIDEO POST rilancia What Does AI Thinks About Me?, video saggio relativo all’installazione realizzata da mots per indagare comportamento e pregiudizi dell’intelligenza artificiale mentre osserva gli esseri umani. L’installazione è stata recentemente esposta al Sónar+D, piattaforma per la collaborazione, la sperimentazione e l’esplorazione delle ultime tendenze della cultura digitale, collegata al Sonar, uno dei festival più popolari che ogni anno si svolge a Barcellona coinvolgendo vari luoghi della città.

mots, What Does AI Thinks About Me?, video essay related to the installation ‘AI & Me’
 film di mots | Produzione: mots, Zauberberg Productions | Camera: Octavian Mot, Daniela Nedovescu, Imran Latif, Michal Cajzer | L’installazione AI & Me’ è stata presentata al  Sónar+D  nel giugno 2024

 

 

 

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