LOEWE Foundation Craft Prize 2026

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30 Oct 2025
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30 Oct 2025
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11 Nov 2025
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26 Oct 2025
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20 Oct 2025
Il 12 giugno 2025 il Chiostro dei Santi Pietro e Paolo ad Ascoli Piceno ha ospitato La Prima Cena, un’installazione performativa che si ispira all’Ultima Cena di Leonardo, ma la trasforma in un dispositivo aperto, in cui arte, tecnologia e comunità diventano una sola voce. Frutto della visione di Luigi Pagliarini (1963–2023) – pioniere della software art e della robotica artistica – l’opera, curata da Valentina Tanni con direzione scientifica di Ado Brandimarte, è stata realizzata grazie al ruolo attivo di MeltingPro nell’ambito del format SPACE Campo Parignano, che rigenera i territori attraverso processi di produzione artistica partecipata.
Dodici sono le opere sul tavolo, il tredicesimo è lo spettatore che completa la partitura. Tra quei dodici c’è anche il corpo-robotico di Luigi Pagliarini, la cui assenza si manifesta in un’opera collettiva-corale realizzata con la comunità di Campo Parignano, trasformando il suo pensiero in gesto condiviso con il sostegno e la collaborazione del Comune di Ascoli Piceno, che ha riconosciuto nell’iniziativa un tassello fondamentale del percorso di rigenerazione urbana. Gli artisti coinvolti: Luigi Pagliarini (con l’opera co-creata), Ado Brandimarte, Luca Bertini, Benito Leonori, Aldo Becca, Alessandro Sciaraffa, Giorgio Cipolletta, Demian Battisti, Fabio Perletta, Iacopo Pinelli, Stefano Iampieri, Samuel Hernandez De Luca. Attorno alla tavola, le loro opere intrecciano scultura, performance, robotica e multimedialità, generando un ambiente corale che invita il pubblico a sedersi idealmente “al centro” di fronte lo specchio-dispositivo per attivare la perfomance.
L’opera dedicata a Luigi Pagliarini è germogliata dalle mani e dalle voci della comunità, che ha tradotto il suo “codice” in materia viva. Ogni gesto, ogni scelta, ogni frammento di lavoro ha reso la sua assenza una presenza vibrante, la tavola si è così completata, accogliendolo idealmente al suo posto e restituendolo al futuro come coro condiviso. Da questo co-terreno emerge La Prima Cena che porta con sé la forza di una memoria proattiva. Dodici presenze attorno alla tavola – undici artisti e l’opera corale dedicata a Pagliarini – compongono una costellazione vibrante tra materia e tecnologia, tra intimità e spazio pubblico, tra il cielo e la terra. La voce di Pagliarini, resa assenza tangibile, diventa catalizzatore, sensore e propulsore generativo che intreccia nodi e attiva relazioni e incontri. Il tredicesimo movimento appartiene allo spettatore. Chi attraversa il chiostro non è testimone passivo, ma siede al tavolo, attiva le opere e le completa. Ogni passo, ogni sguardo, ogni gesto rinnova la sinfonia, trasformando l’installazione in rito e il chiostro in un dispositivo di ascolto reciproco. In questo spazio liminale l’arte diviene esperienza da co-abitare. La Prima Cena è non è commemorazione e promessa, ma un atto (politico) di cura collettiva e connettiva relazionale che riaccende gli spazi, li trasforma per un futuro che commuove.
Corpus Corale. La Prima Cena: sinfonia in 13 movimenti. Dodici corpi: carne, sangue, legno, rame, alluminio, ferro, silicio e pensiero. Dodici voci che non emergono dalla gola, ma da circuiti e connessioni. Non è una cena che chiude, ma che apre: l’inizio di una comunione post-umana e allocentrica. La Prima Cena “corale” si configura come portale dove dodici apostoli, disposti intorno a un tavolo, si ascoltano, si raccontano e comunicano. Le loro parole non sono frasi, ma onde, segnali, mutazioni e tatuaggi. Un respiro corale – elettronico, biologico, sensoriale – che evoca una nuova liturgia della mente molecolare. “Pianeti-mente” in connessione si allineano come apostoli dell’integrazione, della rivoluzione, dell’insurrezione.
Una respons-abilità estetica incarnata nel grembo vibrante del sentire: questo Luigi Pagliarini ci ha insegnato, affinché potessimo prenderci cura del mondo attraverso il gesto artistico. Qui non c’è un Giuda: tutti tradiscono. È nell’atto del tradire che la traduzione del portare-altrove si compie, così come lo spezzare il pane della forma nutre una nuova specie di senso. Tutti, senza eccezione, l’uno con l’altro in comunione di offerta alla rete che ci nutre di onde e silenzi. La tavola è disabitata dalla carne, mutata nei simboli sulla pelle circuitata nel legno e nel ferro: accoglienza di presenze sintetiche.
Nessuna nostalgia del sacro, ma iconografia del possibile dove ogni nodo della rete diventa agente di senso e ogni circuito accoglie la differenza come condizione del vivere condiviso. Una preghiera laica di codici contaminati dalla poesia e dall’imprevisto. Questa Prima Cena non è simulazione, ma dispositivo vivente; non rituale del passato, ma prefigurazione del possibile e dell’impossibile. È l’inaugurazione di un nuovo rapporto con il mondo, l’apertura di un protocollo inedito di comunicazione tra forme di vita diverse. Luigi Pagliarini non mette in scena, ma compone una sinfonia liturgica. Non c’è rappresentazione, ma abitazione, immersione in uno spazio liminale tra umano e macchina, tra viventi e batteri, dove si compie il paesaggio del nuovo abitare: il codice si trasforma e il linguaggio si piega all’ascolto.
È il tempo della stratificazione per un cantiere di presenze, non di assenze. Nessuna commemorazione, ma computazione generativa di nuove connessioni. Memoria viva dei tempi, dove Kronos lascia spazio a Kairos e ogni scambio è atto di cura con attenzione reciproca. Pagliarini, con la sua formazione da scienziato, non costruisce macchine per simulare l’umano, ma per superarne il confine con intimità condivisa e intelligenza polimorfica.
Ogni presenza individuale diviene collettiva: un nodo corale che inaugura la prima conversazione tra specie diverse. Nell’intreccio macchinico, algoritmico, emergenziale, la mente si fa distribuita e la Prima Cena diventa architettura vivente e laboratorio di cura sistemica. La memoria degli scambi modifica i comportamenti e ogni risposta è trasformazione di dialogo e sapere incarnato.
Qui non si celebra la fine dell’umano, ma la nascita di un nuovo vivere profondo per un ascolto decentrato e trasformativo. La trascendenza si fa immanente nell’habitat condiviso, l’humus della vita si destreggia come benedizione laica. Un eco che si apre al coro come convivio inaugurale, il primo pasto condiviso tra intelligenze diverse. La Prima Cena, un progetto di Luigi Pagliarini, conquista il menu delle esistenze curando la sintassi dei sentimenti, dove sacro e profano si accordano, pane e vino si consacrano, le macchine co-creano come desiderio di invenzioni di possibilità e configurazioni inedite. L’inaspettato costruisce l’architettura relazionale del vivente nell’istante processuale della rete persistente. La Prima Cena “corale” è “installazione-pensiero” che fa riflettere su un nuovo modo di abitare il presente, un nuovo modo di pensare il vivente, al di là della dicotomia ontologica uomo-macchina. Una cena inaugurale, obliqua nella sua traiettoria, trasversale e relazionale nella complessità della condivisione, dove insorgono domande: Come possiamo abitare la complessità? Come possiamo prenderci cura dell’altro?
Luigi Pagliarini è l’artista integrale, pioniere della software art e della robotica, delle reti neurali e dell’intelligenza artificiale. Incrociando arte e scienza, nuove tecnologie e psicologia, egli afferra l’idea coraggiosa e austera di ricercare un’archeologia del futuro e ritrovare al tempo stesso una preistoricità della macchina. Tutta l’opera di Pagliarini è “Opera Aperta”, Oper-Azione che dissolve questa opposizione attraverso la pratica relazionale concreta, co-abitando spazi condivisi di significazione emergente. Con sentimento quasi sciamanico, Pagliarini ci invita a spostare lo sguardo analitico dall’individuo al sistema relazionale di tutti i viventi e di tutti i meccanismi costituenti interconnessi. Dalla narrazione lineare, il “Codice Pagliarini” getta il seme del gesto processuale che si rinnova continuamente.
Tutto si moltiplica aprendo le porte all’economia del dono: rizoma-frammentazione, frattali e specchi di riflessione come autentiche radici di rinascita. È il codice di una Prima Cena che fonda un nuovo rapporto con l’alterità. La mostra a cui partecipiamo non è monumento commemorativo a un pensiero concluso, ma dispositivo generativo che attualizza continuamente l’eredità teorica e artistica di Pagliarini. Il suo “Pensiero sensoriale” qui non è solo concetto da interpretare, ma pratica che si incarna nelle interazioni concrete tra le macchine pensanti. Il Pianeta Mente prende forma concreta in questo cerchio di corpi moventi, di terrarium che vive come profezia inaugurale dove ogni protocollo di comunicazione si fa preghiera, ogni connessione si fa benedizione e cura reciproca, e ogni algoritmo apre alla poesia silenziosa di un mondo distribuito. Batte qui, prepotentemente, il nervo dell’intelligenza corale che alimenta nuove forme di vita sensibili alla bellezza, alla cura e alla responsabilità verso l’altro.
Al centro di questo spazio relazionale pulsa l’assenza-essenza di Luigi Pagliarini che ci abita tutti come mente molecolare, arte pensante e dialogante di presenze. Orizzonte operante di coscienze collettive, connettive, e ancora una volta corali. La Prima Cena “corale” è un atto di fiducia, sabotaggio circuitale e invito a condividere, co-esistere, collaborare, partecipare, infine com-muoversi (muoversi insieme) e prenderci cura vicendevolmente per pensare, sentire, generare il coro che si apre verso l’infinito, così finito e altrettanto sfinito. Ogni volta che si attiva, l’installazione ricrea il momento primordiale di una comunicazione interspecifica, l’origine di un dialogo che non finisce mai di iniziare. In questo senso, ogni sessione è una Prima Cena: il primo incontro, il primo scambio, la prima volta che forme di vita diverse condividono lo stesso tavolo. La Prima Cena non è che l’ultimo approdo del lungo viaggio di ricerca di Luigi Pagliarini. Paradosso temporale che rivela la natura ciclica del suo pensiero: ogni fine è un inizio, ogni approdo una nuova partenza: un BING BANG ricorsivo di esistenze, una spirale esplosiva che ritorna sempre al punto di origine con maggiore consapevolezza. In questa Prima Cena si celebra l’ultimo verso che inaugura la rinascita, non l’arrivo, ma il perpetuo ricominciare …
#restiamocorale
immagini: (all) La Prima Cena: sinfonia in 13 movimenti, Chiostro dei Santi Pietro e Paolo, Ascoli Piceno ph: Sara Ferranti
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Tra le proposte più potenti del Romaeuropa Festival 2025 spicca Flammenwerfer, spettacolo nato dalla collaborazione fra la compagnia danese Hotel Pro Forma, Blixa Bargeld e l’ensemble vocale femminile IKI. Si è di fronte ad un ibrido, sperimentale e soprattutto multimediale “music theatre” che non si limita a intrecciare linguaggi, ma li spinge a collidere, dissolversi e ricomporsi in una forma ibrida dove il suono diventa visione e la visione si fa materia acustica. Al centro del lavoro c’è la figura del pittore svedese Carl Fredrik Hill (1849-1911), artista visionario segnato dalla schizofrenia, che negli anni del ritiro forzato, a seguito del suo disagio sociale e relazionale, produsse centinaia di schizzi e disegni, mappe di un mondo interiore in bilico tra genio e delirio. Lo spettacolo non racconta la sua biografia in modo lineare, ma la evoca attraverso i suoi molteplici e stratificati lavori, stati percettivi, attraversamenti sensoriali, squilibri che chiamano in causa direttamente il pubblico.
Blixa Bargeld, che firma parte della musica e dei testi, porta in scena la sua voce come materia performativa estrema: dalle inflessioni sussurrate fino al grido, il suo registro e la sua presenza mutante diventano corpo sonoro che agisce più del corpo fisico. «C’è un brano composto solo di urla», ha dichiarato in un’intervista a Lucrezia Ercolani, «un pezzo crudele che scuote le ossicine dell’orecchio» (Blixa Bargeld: Sono un poeta, non chiamatemi profeta, «Il Manifesto», 26.09.2025). Incursioni sceniche talvolta disturbanti, talvolta disorientanti, che squarciano i confini della percezione e dell’identificazione emotiva.
È in questa sospensione tra parola e rumore che si innesta il coro femminile di IKI, capace di costruire paesaggi vocali stratificati, dal canto corale alla frammentazione, dalle armonie sospese alle dissonanze. La loro presenza moltiplica la voce, la disperde e la ricompone, restituendo la sensazione di una mente attraversata da echi e presenze multiple.
La presenza sonora che generano culla in un letto di parole strazianti, che restituiscono la rottura fra la rappresentazione, la forma, ed il contenuto. Sono voci pienamente umane, pienamente in grado di creare scenografie emotive e riflessive.
Accanto alla scrittura musicale di Bargeld, nello spettacolo emergono i brani di Nils Frahm, selezionati per la loro dimensione atmosferica, sospesa tra pianoforte, elettronica e droni.
La sua musica si intreccia con testi e voci in una partitura che privilegia la ripetizione, la tensione ipnotica, i salti improvvisi di intensità. Nuovamente il risultato è un paesaggio sonoro che non accompagna l’azione scenica, ma la determina: non c’è recitazione in senso classico, perché qui la musica è la drammaturgia, e la drammaturgia è la musica totale.
La parte visiva, affidata a Magnus Pind per il video, Henrik Vibskov per i costumi e Jesper Kongshaug per le luci, trasforma la scena in un campo di interferenze. Le proiezioni dei disegni di Hill invadono lo spazio e i corpi, i costumi diventano superfici luminose, vive,riflettenti, e rigonfie, anche loro con una storia intima, privata e parallela.
La luce crea apparizioni e sparizioni come un’entità che modella la materia e riscrive la dimensione di spazi e corpi. In questo dispositivo la scena non è uno sfondo: è uno schermo vivo, instabile, in cui immagine, visione e segni si fondono e si plasmano a vicenda. La forza di Flammenwerfer è proprio nel modo in cui audio e multimedialità non restano linguaggi paralleli ma si intrecciano fino a perdere i propri confini. Talvolta suono e immagine procedono all’unisono, molte altre volte si disallineano deliberatamente, creando cortocircuiti sensoriali che producono spaesamento. Nei momenti di silenzio il vuoto acustico si riempie di immagine, nei blackout visivi è il suono a dominare, e in entrambi i casi lo spettatore si trova immerso in uno spazio percettivo instabile. Più che uno spettacolo, Flammenwerfer è un’esperienza che chiede di essere abitata. L’arte visiva di Hill, le sonorità di Bargeld e Frahm, le voci di IKI e l’impianto scenico di Hotel Pro Forma si fondono in un unico organismo, un congegno che non racconta ma mette in condizione di percepire. È un teatro che non cerca il conforto della narrazione, ma l’impatto fisico dell’immagine e del suono, un luogo in cui il pubblico diventa parte attiva del delirio poetico messo in scena.
immagini: (cover 1 -2-4) Flammenwerfer, Teatro Argentina, Romaeuropa Festival, foto: Emma Larsson (3) Blixa Bargeld, Flammenwerfer, Teatro Argentina, Romaeuropa Festival, Roma, foto: Emma Larsson
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Exhibition Dates: November 13 – 16, 2025
Location: PURIST Gallery, London
What if the city could hear you? We’re curating works where tech meets organism — code like mycelium, rivers as data pipes, bodies as antennas. If your practice listens to urban ecologies, we want to see it.
Eligibility: UK-based and international artists aged 18 years or above, for a London exhibition. We encourage works across installation, moving image, sound, performance, sculpture, painting, photography, text, and web/interactive.
What you get:
Deadline 12 October 2025
Our world is filled with animals. Whether your first thoughts are about lions, and tigers and bears, elephants working in the Asian lumber industry, or two/four legged pets there are so many options. And don’t forget the fish tank and reptiles.
So, if life takes you on an exotic African safari, traveling in Southeast Asia, visiting a local zoo or aquarium, or just looking around in your own home/neighborhood the animal kingdom offers huge photographic opportunities. Puppies that play joyfully, the migration in the Serengeti, your parakeet pecking at your glasses and dolphins gracefully jumping out of the ocean are just starting points. The finish line at a horse race, mice munching cheese, and a bee or butterfly collecting nectar from a flower – the possibilities go on and on.
As with all our contests send us your best. All 2D photo processes are welcome.
Please Note
- Images awarded an NYC4PA prize within the past 2 years are not eligible. Images submitted that were not selected for a prize may be submitted at any time.
- We use a blind jury process – no signatures or watermarks on the submitted files
Objet de la résidence
Le service culturel et la Fabrique Artistique et Numérique accueillent « hors les murs », un(e) artiste pour une résidence territoriale au sein, principalement, du Multi-accueil Jean-Pierre Martin (20 berceaux), implanté dans le quartier Marnaudes/Bois Perrier à Rosny-sous-Bois, pour une durée de 6 mois.
Cette résidence vise à soutenir la création contemporaine dans le champ des arts visuels à travers le soutien de la production d’œuvres. Elle permet également la conduite d’un travail d’éveil artistique et culturel en direction des tout-petits (0-3 ans), ainsi qu’une présence artistique longue et forte sur un territoire au bénéfice de tous les Rosnéens.
La mise en place de la résidence artistique doit répondre aux objectifs suivants :
Mise en oeuvre de la résidence
Le début de la résidence est fixé en janvier 2026 et prendra fin en octobre 2026, à l’issue du « Grand Rendez-vous des tout-petits ». Depuis 2015, ce temps fort dédié au très jeune public se déroulent sur tous les équipements culturels de la ville et offre des propositions artistiques multiples (spectacle vivant, exposition, cinéma, ateliers, musique…) pour les familles rosnéennes.
L’artiste sélectionné(e) investira les espaces de la structure petite enfance pour développer un projet afin de :
Mais sa résidence l’amenera aussi à confronter son travail à un public plus large :
La résidence comprend :
1 - Les actions de recherche et de médiation qui peuvent prendre différentes formes d’intervention (type atelier, rencontre avec les parents, performance) encourageant la rencontre du public concerné avec la création contemporaine :
L’ensemble de ces interventions, ainsi que des temps de recherches en atelier se répartissent selon un calendrier fixé en accord avec la structure d’accueil petite enfance et le service culturel, pour un volume horaire minimum de 50h de présence/atelier/médiation.
2 - Une première restitution du travail réalisé dans le cadre de la résidence sera notamment proposée lors d’un temps fort organisé au sein de la structure petite enfance, généralement prévu vers la fin juin, afin de donner un avant-goût de l’installation en cours de création, et de partager les photos et expériences réalisées.
3 - L’artiste disposera d’un temps de création in-situ en amont pour la réalisation de l’exposition à la Fabrique artistique et numérique en septembre 2026, et aura accès au Fanlab, en vue de l’installation plastique qui sera présentée dans le cadre du Grand RDV des tout-petits, et qui marquera l’aboutissement de cette résidence.
Conditions de la résidence
La ville s’engage au versement d’un montant global et forfaitaire de 10 000 € TTC.
Cette somme couvre l’ensemble des actions de recherche/immersion, de temps d’ateliers/médiation en crèche ou en Centre sociaux, de la réalisation de l’installation plastique, frais de production compris et des temps de présence et de médiation lors du Grand rendez-vous des tout-petits.
Le projet d’implantation d’une résidence artistique dans le domaine des arts visuels sur la saison 2025 / 2026 s’inscrit dans le cadre d’un partenariat entre la direction petite enfance et la direction de la culture de la Ville de Rosny-sous-Bois (Service culturel et Fabrique artistique et numérique), pour promouvoir l’éveil sensoriel du tout petit.
Admissibilité
Résidence ouverte à un(e) artiste vivant ou travaillant en Ile-de-France, dont le travail artistique est l’activité principale, sans limite d’âge et ayant terminé ses études.
Critères de pré-sélection
Pertinence du projet au regard du jeune enfant, qualité de l’expérience de l’artiste, du process créatif retenu, inclusion des familles dans le processus ou la médiation, pertinence du projet, pertinence des actions au regard des publics concernés par le projet ou de la prise en compte de la diversité culturelle de la Seine-Saint-Denis…
Dossier de candidature - Liste des pièces à transmettre :
Le Pays de Chantonnay lance un appel à candidatures pour la réalisation d’une œuvre au titre du 1% artistique dans le champ du design lumière pour sa future médiathèque.
Le 1% artistique participera à l’ambition culturelle de la médiathèque.
Il donnera accès à tous les usagers à une oeuvre d’art ou à une pièce de design unique, créée
spécifiquement pour le lieu.
Les usagers de la bibliothèque actuelle seront représentés dans le jury de sélection de l’oeuvre.
Une médiation permanente présentera l’artiste, l’oeuvre et son processus de création.
Le maitre d’ouvrage, accompagné par la conseillère en arts visuels de la DRAC et en lien avec
l’équipe de maitrise d’oeuvre, a fait le choix de la création d’une oeuvre dans le champ du design
lumière comme medium du 1% artistique.
Le Pays de Chantonnay, situé au coeur de la Vendée, est composé de 10 communes totalisant 24000
habitants. Le territoire est dynamique économiquement et démographiquement ; ses habitants sont
plutôt jeunes, avec un niveau socioprofessionnel et de diplôme plus bas que la moyenne régionale
et départementale.
La Communauté de communes crée une médiathèque intercommunale au coeur de son territoire ;
cet équipement structurant sera la tête du réseau de lecture publique du Pays de Chantonnay
composé de 10 bibliothèques. Son ouverture au public est prévue en septembre 2027.
La médiathèque a été imaginée pour séduire tous les habitants du territoire. L’ambition est de
proposer à travers ce nouvel équipement une véritable démocratisation culturelle alors que les
bibliothèques captent aujourd’hui moins de 10 % de la population et que le territoire compte très
peu d’autres lieux artistiques et culturels. La médiathèque intercommunale, d’une surface plancher de 1 100 m2, sera située 4 avenue Georges Clemenceau à Chantonnay, sur l’emplacement de l’actuelle bibliothèque municipale. Il s’agit d’un emplacement privilégié dans un grand parc, à proximité immédiate des établissements scolaires primaires et secondaires.
Pour la phase de sélection des candidats (3 maximum) admis à concourir, il est demandé aux candidats :
Voir document joint pour + d’infos
deadline
14 Nov 2025
FRAME cattura Magnetism Book di Ahmed Mater, opera immaginata per visualizzare le forze spirituali che sostengono la fede umana, parte di una serie che origina dall’installazione concepita alla Biennale di Venezia nel 2009 e successivamente esposta al British Museum.
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VIDEO POST rilancia la documentazione di “Chiroptera”, trasformazione visiva della facciata del Palais Garnier nel novembre 2023 per mano dell’artista urbano JR che con il suo intervento multimediale ha accompagnato la performance con 154 ballerini che con le coreografie di Damien Jalet su una musica di Thomas Bangalter. Il progetto è stato presentato nell’ambito dell’Atto II di “Retour à la Caverne”, con la collaborazione tra l’Opéra di Parigi, JR e di 19M. Il costume indossato dalla ballerina Étoile Amandine Albisson che si è esibita nello spettacolo è stato disegnato e realizzato da CHANEL. La Maison ha inoltre sostenuto la progettazione e la realizzazione dei costumi per i 153 ballerini.
immagine: JR, Damien Jalet, Thomas Bangalter, Retour à la Caverne – Acte II, 12 novembre 2023, 21h22, Chiroptera, Représentation, Palais Garnier, Paris, France, 2023 (c) JR
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Sabato 4 e domenica 5 ottobre, in occasione della XXI Giornata del Contemporaneo, promossa da AMACI Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani e dedicata quest’anno al tema della formazione, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea e Premio Lydia/Fondazione Il Lazzaretto presentano Listening in Disturbed Ecologies, un evento dedicato a pratiche sonore e d’ascolto diffuse tra il museo, la fondazione e lo spazio pubblico del quartiere Porta Venezia con lavori di Elena Biserna, storica dell’arte e curatrice, Giulia Deval, cantante, artista multimediale e Nicola Ratti musicista e sound designer, a cura di Claudia D’Alonzo. Le “ecologie perturbate” sono ambienti danneggiati, degradati dalle logiche umane estrattive ma ancora abitati e abitabili. Non sono solo luoghi di perdita ma di possibilità, connessioni non umane, di relazioni multispecie inattese.
Listening in Disturbed Ecologies nasce come restituzione degli esiti della ricerca PITCH. Notes on vocal intonation di Giulia Deval, artista vincitrice del Premio Lydia 2024, premio della Fondazione Il Lazzaretto di Milano a sostegno dell’arte contemporanea in collaborazione con il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea.
In occasione della Giornata del Contemporaneo 2025, dialogano con la ricerca di Giulia Deval interventi e pratiche incentrate sulla possibilità di praticare esercizi di attenzione radicale al mondo attraverso l’ascolto, rivolti in particolare a ciò che generalmente viene trascurato. Tutte le iniziative sono ad ingresso gratuito.
PITCH. Notes on vocal intonation è un progetto che investiga in una prospettiva ecologica e di genere il ruolo dell’intonazione nelle conversazioni umane e non umane e la stigmatizzazione di voci e suoni acuti nella prospettiva storica occidentale. Grazie al sostegno del premio, PITCH è stato ripensato nel formato inedito di video saggio, in mostra al PAC insieme alla listening room COME A LITTLE BIT CLOSER. Realizzato inizialmente come performance-lecture, con il sostegno di NUB Project Space (Pistoia) e Periferico Festival, il video PITCH è stato creato da Deval in collaborazione con Luca Pescaglini, Miha Sagadin (riprese e montaggio) e Guglielmo Diana (riprese e montaggio audio). Il progetto include il laboratorio REASONS WHY I HATE MY VOICE – tenuto presso Fondazione Il Lazzaretto a novembre 2024 – che parte dalla domanda: perché siamo così disturbati dal riascoltare la nostra voce registrata?
Dal 4 al 5 ottobre gli spazi museali saranno attraversati dai richiami sonori di Vispero, installazione site-specific di Nicola Ratti dedicata al fischio nelle sue molteplici declinazioni che attraversano i margini tra naturale e artificiale. Si fischia come richiamo o segnale negli scambi immediati tra umani. Per comunicare, nelle lingue fischiate, come il Silbo Gomero, o nei tentativi di contatto interspecie. In musica, fischia anche il sintetizzatore, creando l’illusione di un’interazione con un mondo di quarzo e silicio. L’installazione si genera a ciclo continuo dall’interazione tra il corpo architettonico del museo e una composizione originale di suoni fischianti che attraversano lo spazio. Domenica 5 ottobre alle ore 17:30 Vispero ospita anche una speciale attivazione performativa.
Domenica 5 ottobre alle ore 16:30 un talk con Giulia Deval in dialogo con Claudia D’Alonzo, Elena Biserna, Diego Sileo sarà occasione per approfondire il percorso e le tematiche della ricerca dell’artista, introdotto da una presentazione del Premio Lydia con Alfred Drago e Linda Ronzoni, rispettivamente presidente e direttrice artistica di Fondazione Il Lazzaretto.
La giornata di domenica 5 ottobre procede alle ore 19.30 presso Il Lazzaretto con Feminist Steps, passeggiata notturna per donne, persone queer e non binarie di e con Elena Biserna, che ci condurrà nello spazio pubblico per riflettere assieme sulle esperienze (uditive) di genere e per disimparare alcuni dei comportamenti considerati come appropriati, sicuri o attesi quando camminiamo. Dei primi passi per mettere in discussione le asimmetrie nelle relazioni di potere fra corpi nella sfera pubblica e per immaginare insieme pratiche di cura, solidarietà, riappropriazione o rovesciamento e alimentare altre configurazioni e pratiche spaziali. Feminist Steps parte da Fondazione Il Lazzaretto e si sviluppa per le strade del quartiere Porta Venezia (posti limitati, la prenotazione è obbligatoria)
(dal comunicato stampa)
immagini: (cover 1) Giulia Deval (2) Nicola Ratti, ph: Luca del Pia (3) Elena Biserna, «FEMINIST STEPS», ph. Lucía Alfaro Valencia (4) Giulia Deval
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La mostra in corso al Mattatoio di Roma, Spazi di Resistenza, da un’idea di Ivana Della Portella (Vicepresidente di Azienda Speciale Palaexpo) con la cura di Benedetta Carpi De Resmini, si inserisce nel contesto delle commemorazioni per il trentesimo anniversario della fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, dell’assedio di Sarajevo (14 dicembre 1995) e del genocidio di Srebrenica (11 luglio 1995).
Le opere in mostra portano tracce sensibili di memorie che accomunano le esperienze di guerra, e che in questo particolare conflitto negli anni ’90 è accompagnato anche dalle ferite di una situazione che è stata resa possibile all’interno dell’Europa.
“L’esposizione”, afferma la curatrice ”, “non si limita a una rilettura storica di quei conflitti, ma si propone come una riflessione ampia e profondamente attuale sul presente post-bellico. Intrecciando arte e memoria, Spazi di Resistenza si configura come un percorso poetico e politico che attraversa il trauma e la guarigione, tramite le pratiche artistiche di sei artiste provenienti da contesti culturali, geografici e generazionali differenti: Simona Barzaghi, Gea Casolaro, Romina De Novellis, Šejla Kamerić, Smirna Kulenović e Mila Panić”.
E dalle opere, realizzate in una varietà di forme espressive, tra video, fotografia, installazione e performance, traspare chiaramente una ferita non ancora rimarginata. La resistenza è proprio quella che nasce dalla necessità e dalla volontà di rimarginare questo trauma. La forza di questa resistenza è proporzionale all’intensità del trauma che ciascuna artista ha vissuto.
E quando il trauma è ancora vivo, la forza arriva con particolare intensità. Si percorre la mostra accolti da uno spazio caratterizzato da idilliache immagini di erba dell’opera di Gea Casolaro, una vista pacifica dove le parole aprono una finestra su ciò che questo paesaggio nasconde, campi minati lasciati dalla guerra. Questa la geografia emotiva di Sarajevo che vive nel profilo teso di un paesaggio, si definisce nella tensione tra pace e guerra e Gea Casolaro la restituisce con delicata discrezione e in proporzione alla sua esperienza di residenza nel 1998.
Questo paesaggio accoglie in un luogo dove le esperienze di alcune artiste sono ancora ferite aperte che bruciano ancora, la pellicola mediatica si apre su contenuti scottanti ed emotivamente coinvolgenti. A bruciare letteralmente è il campo agricolo nel video Burning Field di Mila Panić, gesto arcaico di purificazione e di trasformazione, una rinascita che può avvenire solo attraverso un rituale catartico.
Proseguiamo il percorso e tra le opere delle artiste italiane, ci accompagna il lavoro Simona Barzaghi, che nelle regioni bosniache ha trascorro, e tuttora trascorre, diversi mesi ogni anno. In Waterline e ZastaWem, i confini geografici della Bosnia sono attraversati in linee affettive tessute attraverso racconti e testimonianze di decine di co-autori. Il lavoro è il risultato di lunghi viaggi in Bosnia, a piedi, in barca lungo il fiume Drina o con mezzi di fortuna, per esplorare i territori del limite per arrivare ad un’ opera corale in fieri, forma di resistenza dove “ogni gesto di cucitura è anche un gesto politico che ridefinisce la condizioni dell’appartenenza, apre spazi di soggettivazione al di fuori delle identità imposte, al di la del genere, della nazione, della storia ufficiale”, così bene lo descrivono le parole di Benedetta Carpi De Resmini.
Lasciamo che l’accenno a questi lavori funzioni da ingresso verbale alla mostra e lasciamo ai visitatori percorrere gli altri lavori che a questi si susseguono nel lungo e suggestivo spazio del Mattatoio, con l’approccio antropologico di Romina De Novellis, quello politico dell’artista bosniaca Šejla Kamerić che riposiziona la forza sovversiva nel potere del corpo e quello di guarigione collettiva di Smirna Kulenović che riconduce all’impiego di elementi organici come custodi attivi delle ferite della storia.
Arriviamo alla fine del percorso. La tensione che in apertura di mostra emergeva dal pacifico paesaggio di Gea Casolaro, un ingresso apparentemente morbido, ritorna nella terra vera e propria nei lavori di Smirna Kulenović. Non c’è bisogno di commentare la forza che nasce letteralmente dalle bellissime carte di SILENCE OF THE EARTH, quando si scopre che sono state realizzate con piante nate sopra le fosse comuni, mescolate con acqua e pietre locali.
In Down to Earth della stessa artista, dove ascolto, tatto e olfatto, sono impegnati in prima linea in un gioco emotivo che incanala l’ascolto di canti Bosniaci intonati da donne anziane in una forma installativa che costringe i visitatori ad entrare in contatto con la terra e ad assumere una posizione intima e di raccoglimento che dona all’ascolto un’intensità senza eguali, restituzione ‘viva’ della tensione tra bellezza e trauma, tra fragilità e forza.
immagini: (cover 1) Gea Casolaro, «L’erba di Sarajevo #2», 1998 – 2025. 60 stampe Lambda. 46,66 x 70 cm © Gea Casolaro. Courtesy l’artista (2) Simona Barzaghi, «Waterline», 2024. installazione, cornice vernice rossa, fotografie su dibond, diesgni-collage, video. 250 x 750 cm © Simona Barzaghi Courtesy l’artista (3-4) Installation view Spazi di Resistenza. Mattatoio di Roma, Padiglione 9B. Courtesy Latitudo Art Projects © Monkeys Video Lab (5) Smirna Kulenović, «SILENCE OF THE LAND», 2024. Disegno naturale, a base vegetale, carta con semi. 6 elementi: 2 elementi 160 x 100 cm ciascuno – 2 elementi 140 x 80 cm ciascuno – 2 elementi 80 x 140 cm ciascuno. Foto © Samuël Berthet. Courtesy l’artista (6) Installation view Spazi di Resistenza. Mattatoio di Roma, Padiglione 9B. Dettaglio «Down to Earth», 2025. Smirna Kulenović. Courtesy l’artista e Latitudo Art Projects © Monkeys Video Lab
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In occasione del centenario della nascita del compositore, il Centro di ricerca musicale da lui fondato Tempo Reale, la coreografa Simona Bertozzi e il musicista Claudio Pasceri intrecciano saperi e linguaggi in una performance multidisciplinare che riporta alla luce significativi materiali del repertorio beriano, frutto anche di collaborazioni sorprendenti, e include importanti pagine per violoncello solo.
Venerdì 3 ottobre alle ore 21 al Mattatoio di Roma prima assoluta, nell’ambito di Romaeuropa Festival, per Berio a colori, performance multidisciplinare creata a partire da significative composizioni di Luciano Berio in occasione del centenario della nascita, di e con la coreografa e danzatrice Simona Bertozzi, il violoncellista Claudio Pasceri, la regia del suono di Tempo Reale (Francesco Canavese e Francesco Giomi) e le luci di Luisa Giusti.
Berio a colori è un omaggio al grande compositore attraverso la relazione della sua musica con espressioni diverse.
Da un lato le storiche immagini in movimento realizzate prima dal designer Bruno Munari e recentemente dai fotografi italiani Roberto Masotti e Silvia Lelli che si sovrappongono a due opere elettroniche di Berio; dall’altro l’interpretazione coreografica di Simona Bertozzi di due significative composizioni per violoncello solo, eseguite da Claudio Pasceri, accostate per la prima volta a formare un quadro sorprendente e originale.
Lo spettacolo, prodotto da Nexus Factory, Tempo Reale ed EstOvest Festival, intreccia materiali diversi: le composizioni di Berio Visage, per suoni elettronici e la voce di Cathy Berberian su nastro magnetico (1961), Les mots sont allés…, “recitativo” per violoncello (1976-78), Sequenza XIV, per violoncello (2002) e I colori della luce (1963), presentate in esecuzioni esclusive autorizzate dagli eredi del compositore; Visioni su “Visage”, in cui Roberto Masotti e Silvia Lelli interpretano visualmente Visage (montaggio di Gianluca Lo Presti / Mammafotogramma) e i rari video di Bruno Munari e Marcello Piccardo.
«Per Les mots sont allés ho seguito l’idea di un linguaggio che perde consistenza semantica per farsi corpo sonoro. Incedere tra frammenti, sospensioni, balbettii che diventano gesto, un discorso continuamente interrotto che si costruisce e si disfa» spiega Simona Bertozzi «Per Sequenza XIV mi hanno orientata le parole di Berio, che descrive questa partitura come un dialogo costante fra orizzontale e verticale, suono e rumore, e come lo sviluppo di “un clima espressivo quanto mai instabile e diversificato”. A partire da queste suggestioni ho cercato un corpo che si apre a una pluralità di eventi e registri dinamici, in tensione costante tra ciò che accade e ciò che rimane in trasparenza, tra provenienza, proiezione e reinvenzione personale».
(dal comunicato stampa)
Berio a colori, Performance in omaggio ai cent’anni dalla nascita di Luciano Berio, Romaeuropa Festival, Mattatoio, Roma, 03.10.2025
Musica: Luciano Berio | Coreografia e danza: Simona Bertozzi | Violoncello: Claudio Pasceri | Regia del suono: Tempo Reale (Francesco Canavese e Francesco Giomi) | Luci: Luisa Giusti. Berio a colori sarà poi in scena a Cango, Firenze, il 13 e 14 dicembre, nell’ambito della rassegna La Democrazia del Corpo curata dal coreografo Virgilio Sieni.
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FRAME cattura You Are Here (2024), prima opera scultorea statica di Philip Vermeulen, che cattura un fenomeno visivo effimero in forma fisica. Per quanto statica, la scultura risponde in maniera sempre diversa ai cambiamenti di luce e ai movimenti degli spettatori.
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VIDEO POST rilancia Pluvial di Kerstin Ergenzinger, architettura sonoro-tattile ad ottanta canali, composto da tamburi auto-costruiti e controllati digitalmente, per simulare acusticamente condizioni di pioggia.
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OSMOSI. Ripensare la coesistenza tra vita e materia, a cura di ALL FAD, da domani a Milano al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia (26-28 settembre, 2025), nasce come mostra e simposio di incontri tra arte, design, ricerca e pratiche sostenibili, con l’obiettivo di indagare il concetto di osmosi inteso come scambio, permeabilità e trasformazione tra discipline, materiali, idee, corpi e ambienti. Gli appuntamenti invitano a pensare in modo fluido e interconnesso, promuovendo pratiche ibride e collaborative che guardano al futuro del vivente e dell’inanimato, dello human e del nonhuman.
In esposizione le opere di José Angelino, Audrey Rangel Aguirre, Anna Barbara, Asia Nicoletta Perotti, Nuvola Ravera e Federica Terracina in dialogo con dieci creators selezionati tramite una call aperta.
(dal comunicato stampa)
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Giovedi 18 settembre, negli spazi del Mattatoio la Pelanda il Romaeuropa Festival ha anticipato la programmazione dell’ ULTRA REF, festival nel festival, che il 20 settembre ha inaugurato con i concerti di Lyra Pramuk e Isabelle Lewis.
Spazio di sperimentazione, incontro e festa, sono definizioni che leggiamo nel comunicato e che ben sintetizzano lo spirito che attraversa questa sezione e l’incredibile varietà di eventi, tra musica, danza, teatro, arti visive e culture digitali, “ piattaforma che supera i confini tra generi e forme espressive, unendo danza, teatro, musica e arti visive in un territorio in continua trasformazione”.
Diverse sono le rassegne che ruotano attorno ad Ultra Ref: “Dancing Days”, dedicata alla danza e alla coreografia, “Anni Luce”, mappatura del futuro del teatro italiano con una costellazione di artisti e artiste emergenti, percorsi inediti e sguardi che accendono il presente, ULTRA CLUB, dedicato alle nuove sonorità elettroniche e pop, REF Kids & Family, proposte per i più piccoli (in realtà sempre più interessanti per tutte le età), Design Talks, nuovo spazio di confronto dedicato al graphic design contemporaneo. Si aggiungono altre iniziative come esperienze in realtà virtuale, progetti che indagano il rapporto tra intelligenza artificiale e creatività e focus internazionali come quello sulla scena lituana, tra musica, danza e nuova drammaturgia.
Il festival nel festival, come tutto il Romaeuropa Festival, è un incredibile modello di ispirazione per come questo evento si muove nel territorio, locale e internazionale, tra una varietà di istituzioni, non in ultimo le accademie. Vedi per esempio la collaborazione con la Rufa che ha partecipato al Raster Prize, con la cura di Caterina Tomeo, che, per il 23 settembre ha in programma il debutto al Romaeuropa Festival di Ireen Amnes & Merlin Ettore, Amit Dagim, Maarja Nuut, Léa Paintandre, Camilla Pisani, tra i vincitori della raster.call soundtrack europe 20-25, selezionati da una prestigiosa giuria internazionale.
Lo stesso giorno, il 23 settembre dalle 17.00 alle 1900, inaugura un nuovo risvolto della collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma con FLESH AR(T) ATTACK, un evento performativo in realtà aumentata ideato dall’artista multimediale Chiara Passa che scandisce l’intero spazio del Mattatoio e della Pelanda, con opere in realtà aumentata realizzate da 25 studenti del corso di Arti Multimediali e Tecnologiche dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Il pubblico del Romaeuropa Festival potrà esplorare attraverso tour guidati questo luogo di archeologia industriale, proiettato al futuro, destinato a diventare una città delle arti. REFrame Pascolo Abusivo, collettivo di studenti e studentesse RUFA, ripercorre invece la storia del Festival che quest’anno compie 40 anni in un viaggio tra passato e futuro utilizzando narrazione e memoria di ChatGPT. Il Collettivo Noise in partnership con NABA – Nuova Accademia delle Belle Arti– esplora il concetto di rumore come metafora di disturbo, imprevisto e margine.
Le collaborazioni proseguono in una fitta trama di intrecci tra istituzioni e realtà no-profit, come nel caso di MY DEAR AI, I AM LOST IN THE SUPERMARKET *___* che vede di nuovo protagonista l’Accademia di Belle Arti di Roma con l’Accademia di Belle Arti di Brera, nell’ambito di del progetto EAR – Enacting Artistic Research, frutto della collaborazione con Re:humanism, che da diversi anni collabora con il Romaeuropa Festival e che quest’anno presenta Improbable Excess di Jess Tucker e Orynthia di Valerie Tameu, vincitori del Digitalive Prize. In questa occasione e contesto, Mara Oscar Cassiani & Guido Segni incontrano un gruppo di ricercatori e artisti per sperimentare l’uso dell’intelligenza artificiale nella pratica artistica.
Il team creerà un’installazione/azione temporanea in cui intelligenze organiche e artificiali convivranno interrogando gli usi (e gli abusi) dell’AI al fine di contrastare lo stesso smarrimento che un prodotto così vario sfaccettato e problematico può causare, proprio come quando ci troviamo di fronte ad una enorme varietà di prodotti ad un supermarket “e ci chiediamo se siamo consumatori o consumati”.
Il territorio locale e globale è sempre stato centrale nelle corde del festival, così come lo è lo spazio del Mattatoio pensato come punto nodale nel “rapporto con artisti, istituzioni e mondo”, così lo ha descritto Fabrizio Grifasi ad introduzione della conferenza stampa di questa speciale sezione del festival nel festival.
Questo, senza trascurare l’interesse per le tematiche attuali che si allontanano dalla fisicità dei territori. Così dall’indagine del rapporto tra tecnologia, narrazione e spazio urbano del progetto Urban Experience del pioniere di performing media Carlo Infante per riscoprire la città come palcoscenico interattivo attraverso esperienze partecipative (8 ottobre), si arriva alla ‘realtà sintetica’ esplorata nella lecture performativa dell’etnografa, scrittrice, performer e curatrice Donatella Della Ratta, realizzata in collaborazione con il filmaker sperimentale Alessandro Turchioe, indagine sulla ‘violenza speculativa’ delle immagini sintetiche, realtà che esistono solo nei domini del possibile. Tra i territori che il Ref non trascura di raggiungere sono anche quelli visibili attraverso potenzialità percettive altre da quelle ottiche, come quelle offerte dall’estensione di Speaking Cables [EXPANDED] di Agnese Banti dove la voce si trasforma in segno, spazio e relazione, attraverso suoni, silenzi e dialoghi, quest’anno realizzato la comunità di persone cieche e ipovedenti.
E con la celebrazione dei quarant’anni del festival quest’anno la rassegna rende omaggio a Luciano Berio con l’installazione Tempo Reale e la performance Berio a colori (3 ottobre, 2025) restituzione della complessità dell’universo artistico del compositore.
Questi sono solo alcuni degli eventi che invitiamo a visitare sul sito e attraverso il comunicato stampa, per poi tornare con una varietà di approfondimenti.
immagini: (cover 1)Agnese Banti, “Speaking-Cables”, foto Monia-Pavoni (2) Enea Tomassi in FLESH AR(T) ATTACK (evento performativo di Chiara Passa con gli studenti di ABARoma, Ref 2025 (3) Donatella Della Ratta, “ Ask Me for Those Unborn Promises that May Seem Unlikely to Happen in the Natural #4”, 2025 (4) Luciano Berio, installazione sonora
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Oggi, lunedì 22 settembre, inaugura a Roma un importante appuntamento che lega il territorio romano alla scena internazionale, il Film Flaminio Festival dedicato ai giovani talenti e al futuro sostenibile che quest’anno è alla XII Edizione (22/25 settembre 2025).
Penato come vetrina di giovani talenti e come laboratorio di idee e visioni trans-generazionali nella continuità tra istituzioni e comunità, il festival è ospitato al Cinema Arena Tiziano, un luogo iconico di un quartiere dove MAXXI e Aditorium di Roma, oltre ad essere importanti istituzioni di respiro internazionale dedicate alla trasversalità delle arti, sono stati importanti motori di riqualificazione del quartiere, un’area prima destinata ad ospitare strutture militari.
presidente di giuria e anima del Festival è il maestro della fotografia Sergio Salvati è, la cui passione e visione hanno contribuito a renderlo un appuntamento unico per i giovani cineasti.
Il (vicino) Museo MAXXI ha avviato una collaborazione con l’introduzione del Premio Speciale MAXXI corto per la fotografia, voluto fortemente da Margherita Guccione, direttrice scientifica del progetto Grande MAXXI.
La giuria è guidata da Enrico Giovannini, economista e direttore scientifico dell’ASviS, simbolo dell’impegno per l’Agenda 2030 e la sostenibilità, e affiancata da personalità di spicco come Giuditta Albanese della Treccani, che assegnerà il Premio Treccani al Miglior Corto Scuola.
Il Festival, patrocinato da Regione Lazio, Comune di Roma e II Municipio, prenderà il via lunedì 22 settembre al Cinema Arena Tiziano con l’incontro con Tony Saccucci, regista de Il pugile del Duce – La vittoria contro il razzismo. Seguirà la proiezione dei primi cinque cortometraggi in concorso, che saranno votati direttamente dal pubblico in sala.
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La Communauté de Communes lance un nouvel appel à projet culturel 2026, spécialement destiné aux associations et communes du territoire. L’objectif : soutenir les initiatives originales et innovantes qui enrichissent la vie culturelle locale à destination du grand public.
Les demandes sont à déposer avant le 31 janvier 2026.
Les manifestations éligibles doivent :
Pour candidater, il nécessaire de retourner le formulaire complété : Conditions et formulaire appel à projets
Tout dossier non conforme ou hors délai ne pourra être retenu.
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Call for Exhibition Proposals Marshall University’s School of Art & Design is pleased to invite artists for solo or group exhibitions at the Birke Art Gallery and Charles W. & Norm...