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Agnese Banti al Romaeuropa Festival 2025

31 octobre 2025 à 08:56

Scrivere di una performance dopo che è accaduta significa interrogare il tempo della sua assenza. È un gesto inevitabilmente postumo, che non mira a restituire ciò che si è visto o sentito, ma a capire cosa rimane, cosa continua a muoversi sottopelle.

Speaking Cables [EXPANDED] di Agnese Banti, presentato al Romaeuropa Festival 2025, è una di quelle opere che sopravvivono alla propria temporalità, che continuano a risuonare anche quando lo spazio scenico è stato smontato e il suono si è dissolto. Ciò che resta non è una memoria nitida, ma una vibrazione sospesa, un’eco che abita ancora il corpo di chi ha ascoltato.

Entrare nello spazio è significato attraversare una costellazione di cavi, altoparlanti e microfoni: una topografia di linee sonore che, più che disegnare un palcoscenico, tracciava una mappa sensoriale. La voce della performer, frammentata e ricombinata, percorreva i cavi come una corrente elettrica, generando un ambiente acustico in continuo movimento. Non c’era un punto di vista privilegiato, né un fronte scenico da cui osservare: si era immersi in una rete di connessioni, dentro un organismo di suono e tensione. Il corpo di Banti danzava con la tecnologia, mosso da un desiderio di abitarla, di confondersi con essa.
La voce diventava materia plastica, presenza che attraversava e veniva attraversata, sostanza ibrida capace di toccare il limite tra umano e artificiale. A distanza di tempo, è proprio questa immagine a riemergere con forza: la voce che si slega dal corpo, che si distribuisce nello spazio e negli oggetti, fino a perdere i confini della propria origine.

Nel lavoro di Agnese Banti, la voce umana è materia di ricerca autonoma, radicale, ancestrale, sensoriale. È corpo ed energia insieme, vibrazione e linguaggio, memoria e contatto. Banti indaga la voce come soglia tra presenza e sparizione, tra identità e alterità, come luogo in cui l’umano incontra il suo doppio acustico e lo lascia parlare. La voce, per lei, è un territorio poroso in cui le categorie di naturale e artificiale si mescolano: può scomporsi, moltiplicarsi, distorcersi fino a diventare altra, disumana, collettiva. È una forma di pensiero incarnato, un campo di risonanza dove la percezione si espande e la soggettività si disperde. Questa esplorazione radicale del vocale, come gesto, materia, respiro,  attraversa l’intera poetica di Banti.
In Speaking Cables, la voce appartiene a una comunità di dispositivi, a un ecosistema sonoro in cui le soggettività si dissolvono e si ricompongono continuamente. Ripensata nel tempo mutante e sospeso della memoria, la performance appare come un esperimento di ascolto radicale, una temporalità circolare, fatta di ritorni e di riverberi. In questo senso, Speaking Cables [EXPANDED] è un’opera che lavora sul residuo e sulla durata, sulla possibilità che l’esperienza artistica non finisca con la sua rappresentazione, ma continui a generare vibrazioni, impulsi e percezioni liberi di muoversi e di ri-prodursi.

Tra i tratti più significativi del progetto, emerge la profonda attenzione di Agnese Banti verso la comunità delle persone ipovedenti e non vedenti, che trova nella versione [EXPANDED] una dimensione effettiva. La performance è stata concepita come esperienza realmente accessibile: attraverso mappe tattili, percorsi guidati e una drammaturgia pensata per il contatto più che per la visione. L’accessibilità non è un dispositivo aggiuntivo, ma uno strumento profondamente necessario ai fini della diffusione del suono e della sua dimensione performativa fra tutti i corpi che ne fanno esperienza, orizzontalmente, senza barriere. Banti trasforma l’idea stessa di fruizione, proponendo un’arte che non esclude, che riconfigura la relazione tra spettatore, spazio e suono. L’ascolto diventa esperienza multisensoriale, campo di incontro tra corpi diversi, luogo in cui la percezione si condivide e si modella.

Questa attenzione alla cura e alla prossimità sensoriale attraversa l’intera poetica dell’artista. Ogni gesto sonoro in Speaking Cables è una forma di relazione: tra voce e materia, tra performer e spettatore, tra dispositivo e spazio. È un lavoro che rifiuta l’idea di tecnologia come superficie neutra, per restituirle invece una dimensione viva, relazionale, affettiva.
I cavi non sono strumenti, ma corpi intermedi, dei veri e propri medium; gli altoparlanti non sono oggetti, ma presenze che respirano insieme alla voce. Tutto è interconnesso, attraversato da correnti invisibili, da onde che costruiscono e disgregano continuamente lo spazio. È un’opera che vive nel tempo della risonanza, nel margine tra presenza e sparizione. Nel suo dissolversi, la performance afferma la possibilità di una persistenza: quella del suono che sopravvive, della voce che continua a parlare attraverso le sue assenze.In un panorama performativo spesso dominato dall’immagine e dalla visibilità, il lavoro di Agnese Banti riporta l’attenzione sull’ascolto, sulla fisicità invisibile del suono, su una forma di percezione che è anche atto politico. Guardata da questa distanza, la sua pratica appare come un invito a rallentare, ad accordare l’udito al tempo della memoria, a lasciare che la voce, nei cavi, continui a vibrare dentro chi ascolta.

Agnese Banti. Speaking Cables [EXPANDED], Romaeuropa Festival 2025, 10-11.10.2025
Di e con: Agnese Banti | Live electronics: Andrea Trona | Design visivo e sonoro, regia, drammaturgia, musica: Agnese Banti | Collaborazione artistica, informatica musicale, direzione tecnica: Andrea Trona | Collaborazione alla drammaturgia, alla regia e all’allestimento: Marta Vitalini | Consulenza tecnica e luci: Antonio Rinaldi | Tecnica luci: Andrea Gallo | Incontri artistici a cura di: FONDO Yan Duyvendak, Camille Louis, Ana Pi | Accessibilità in collaborazione con: Giuseppe Comuniello, Dalila D’Amico, Camilla Guarino
Crediti di Produzione: Progetto sostenuto da: FONDO, network per la creatività emergente (prima edizione, coordinata da Santarcangelo dei Teatri e realizzata con AMAT, Centrale Fies, ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, Fabbrica Europa, I Teatri di Reggio Emilia, L’arboreto – Teatro Dimora | Centro di residenza Emilia Romagna, Operaestate Festival Veneto / CSC Centro per la Scena Contemporanea, Ravenna Teatro, Teatro Pubblico Campano, Teatro Pubblico Pugliese, TSU Teatro Stabile dell’Umbria, Triennale Milano Teatro), ORBITA|Spellbound Centro Nazionale di Produzione della Danzanell’ambito di Creazioni accessibili 2024 e Romaeuropa Festival. Con il supporto di: LAMINARIE nell’ambito delle residenze creative 2025 – DOM la cupola del Pilastro e Grabinski Point. Grazie a Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza, Stamperia Braille della Regione Toscana.

immagini: (cover 1): Agnese Banti, “Speaking Cables”, Romaeuropa Festival 2025, foto: Monia Pavoni (2) Agnese Banti, “Speaking Cables”, Romaeuropa Festival 2025, foto: Lorenza Daverio (3) Agnese Banti, “Speaking Cables”, Romaeuropa Festival 2025, foto: Laura Farneti (4-5) Agnese Banti, “Speaking Cables”, Romaeuropa Festival 2025, foto: Lorenza Daverio

 

 

 

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KOR’SIA al Romaeuropa Festival

20 octobre 2025 à 21:36

Nella costellazione della performance contemporanea, Simulacro del collettivo KOR’SIA si impone come una delle esperienze più radicali e ipnotiche degli ultimi anni. Presentato al Romaeuropa Festival e alla Biennale Danza 2025, lo spettacolo, firmato da Antonio de Rosa e Mattia Russo, con la drammaturgia di Agnès López-Río, è un attraversamento dello sguardo, una meditazione reale e virtuale sul corpo, biologico ed espanso, e sull’immagine nell’epoca della simulazione.
Non può definirsi come un racconto ma piuttosto un’esperienza totale, immersiva che avvolge lo spettatore in un campo percettivo dove la materia viva e la materia mediale si confondono, fino a diventare indiscernibili.
In Simulacro, il corpo non è un solo medium della danza: è un’interfaccia, una soglia, un rito dissolto nelle reti e nella loro permanenza volatile.

KOR’SIA costruisce uno spazio in cui luce, proiezioni, video e suono agiscono come membrane sensoriali, attraversando i performer e dissolvendone i contorni. La scena diventa organismo: non rappresenta, ma reagisce. Ogni movimento si propaga nello spazio come dato e come emozione, come codice e come respiro. La multimedialità performativa è il vero linguaggio di programmazione dello spettacolo. L’immagine abita ed invade la danza: la genera, la disturba, la prolunga. Contemporaneamente, in una osmosi sorprendente, la luce  seziona i corpi come un bisturi ottico; il suono prende la forma di architettura invisibile del visibile, struttura effimera della radicalità dei corpi in movimento. In questo equilibrio instabile tra carne e proiezione, Simulacro interroga la presenza e la sua copia, il gesto e la sua traduzione digitale, la realtà e il suo doppio. La tecnologia non è dispositivo freddo, ma materia sensibile, capace di generare flussi di dati, di sensazioni, di percezioni, di movimenti.
L’elettronico diventa epidermico: luce e video aderiscono alla pelle, il movimento diventa pixel, il corpo si fa spazio di proiezione, il suono rete tangibile. La multimedialità svela la fragilità, la sua vocazione all’instabilità e al riflesso. Simulacro mette in scena la crisi della percezione. Gli interpreti emergono e si dissolvono come presenze digitali, apparizioni che scivolano nel flusso visivo di un sogno elettronico. Lo spettatore è immerso in una soglia percettiva dove ogni figura sembra essere insieme viva e artificiale. In questa ambiguità , dove la carne vibra con la luce e la luce sembra sudare, nasce la forza poetica del lavoro: una riflessione fisica sull’irrealtà, sulla liminalità virtuale, sulla finzione come condizione esistenziale. La performance di de Rosa e Russo è anche un gesto politico: un atto di resistenza del corpo dentro l’eccesso visivo e accumulativo della contemporaneità.

Nell’epoca in cui tutto può essere simulato, Simulacro restituisce al corpo la sua potenza originaria: quella di un essere fragile, imperfetto, fallibile, non programmabile.
La danza diventa una forma di sopravvivenza dell’esperienza, un rito per ritrovare dentro la moltiplicazione delle immagini una presenza autentica, una possibilità di respiro.
La multimedialità performativa, per KOR’SIA è una pratica di attraversamento, un modo di interrogare la soglia dove la visione si fa corpo e il corpo diventa immagine.
Là dove l’arte incontra la tecnologia non per descriverla, ma per sentirla, per trasformarla in carne viva.

Antonio de Rosa, Mattia Russo, KOR’SIA, Romaeuropa Festival, 07-08.10.2025
Produzione: Gabriel Blanco, Paola Villegas, Andrea Mendez (Spectare) | Direzione Tecnica: Meritxell Cabanas | Coproduzione: Centro de Cultura Contemporánea Conde Duque (Madrid, Spagna), La Biennale di Venezia, Centro Nazionale di Produzione della Danza ResExtensa | Porta d’Oriente (Bari, Italia), Montpellier Danse – Agora Montpellier (Francia), Theater Freiburg (Germania) | Con il supporto di: Ministero dell’Educazione, Cultura e Sport – Governo di Spagna Comunità di Madrid, Comune di Madrid

immagini: (tutte) KOR’SIA, «Simulacro», Romaeuropa Festival

 

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Flammenwerfer al Ref 2025

7 octobre 2025 à 16:43

Tra le proposte più potenti del Romaeuropa Festival 2025 spicca Flammenwerfer, spettacolo nato dalla collaborazione fra la compagnia danese Hotel Pro Forma, Blixa Bargeld e l’ensemble vocale femminile IKI. Si è di fronte ad un ibrido, sperimentale e soprattutto multimediale “music theatre” che non si limita a intrecciare linguaggi, ma li spinge a collidere, dissolversi e ricomporsi in una forma ibrida dove il suono diventa visione e la visione si fa materia acustica. Al centro del lavoro c’è la figura del pittore svedese Carl Fredrik Hill (1849-1911), artista visionario segnato dalla schizofrenia, che negli anni del ritiro forzato, a seguito del suo disagio sociale e relazionale,  produsse centinaia di schizzi e disegni, mappe di un mondo interiore in bilico tra genio e delirio. Lo spettacolo non racconta la sua biografia in modo lineare, ma la evoca attraverso i suoi molteplici e stratificati lavori, stati percettivi, attraversamenti sensoriali, squilibri che chiamano in causa direttamente il pubblico.

Blixa Bargeld, che firma parte della musica e dei testi, porta in scena la sua voce come materia performativa estrema: dalle inflessioni sussurrate fino al grido, il suo registro e la sua presenza mutante diventano corpo sonoro che agisce più del corpo fisico. «C’è un brano composto solo di urla», ha dichiarato in un’intervista a Lucrezia Ercolani, «un pezzo crudele che scuote le ossicine dell’orecchio» (Blixa Bargeld: Sono un poeta, non chiamatemi profeta, «Il Manifesto», 26.09.2025). Incursioni sceniche talvolta disturbanti, talvolta disorientanti, che squarciano i confini della percezione e dell’identificazione emotiva.
È in questa sospensione tra parola e rumore che si innesta il coro femminile di IKI, capace di costruire paesaggi vocali stratificati, dal canto corale alla frammentazione, dalle armonie sospese alle dissonanze. La loro presenza moltiplica la voce, la disperde e la ricompone, restituendo la sensazione di una mente attraversata da echi e presenze multiple.

La presenza sonora che generano culla in un letto di parole strazianti, che restituiscono la rottura fra la rappresentazione, la forma, ed il contenuto. Sono voci pienamente umane, pienamente in grado di creare scenografie emotive e riflessive. 
Accanto alla scrittura musicale di Bargeld, nello spettacolo emergono i brani di Nils Frahm, selezionati per la loro dimensione atmosferica, sospesa tra pianoforte, elettronica e droni.
La sua musica si intreccia con testi e voci in una partitura che privilegia la ripetizione, la tensione ipnotica, i salti improvvisi di intensità. Nuovamente il risultato è un paesaggio sonoro che non accompagna l’azione scenica, ma la determina: non c’è recitazione in senso classico, perché qui la musica è la drammaturgia, e la drammaturgia è la musica totale.
La parte visiva, affidata a Magnus Pind per il video, Henrik Vibskov per i costumi e Jesper Kongshaug per le luci, trasforma la scena in un campo di interferenze. Le proiezioni dei disegni di Hill invadono lo spazio e i corpi, i costumi diventano superfici luminose, vive,riflettenti, e rigonfie, anche loro con una storia intima, privata e parallela.

La luce crea apparizioni e sparizioni come un’entità che modella la materia e riscrive la dimensione di spazi e corpi. In questo dispositivo la scena non è uno sfondo: è uno schermo vivo, instabile, in cui immagine, visione e segni si fondono e si plasmano a vicenda. La forza di Flammenwerfer è proprio nel modo in cui audio e multimedialità non restano linguaggi paralleli ma si intrecciano fino a perdere i propri confini. Talvolta suono e immagine procedono all’unisono, molte altre volte si disallineano deliberatamente, creando cortocircuiti sensoriali che producono spaesamento. Nei momenti di silenzio il vuoto acustico si riempie di immagine, nei blackout visivi è il suono a dominare, e in entrambi i casi lo spettatore si trova immerso in uno spazio percettivo instabile. Più che uno spettacolo, Flammenwerfer è un’esperienza che chiede di essere abitata. L’arte visiva di Hill, le sonorità di Bargeld e Frahm, le voci di IKI e l’impianto scenico di Hotel Pro Forma si fondono in un unico organismo, un congegno che non racconta ma mette in condizione di percepire. È un teatro che non cerca il conforto della narrazione, ma l’impatto fisico dell’immagine e del suono, un luogo in cui il pubblico diventa parte attiva del delirio poetico messo in scena.

Flammenwerfer, collaborazione tra Hotel Pro Forma, Blixa Bargeld e l’ensemble vocale femminile IKI
Romaeuropa Festival – Teatro Argentina, 26-28.09.2025

immagini: (cover 1 -2-4) Flammenwerfer, Teatro Argentina, Romaeuropa Festival, foto: Emma Larsson (3) Blixa Bargeld, Flammenwerfer, Teatro Argentina, Romaeuropa Festival, Roma, foto: Emma Larsson

 

 

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CYFEST a Venezia

19 juin 2024 à 18:13

CYFEST è una realtà artistica e culturale nomade, viva e in continua espansione, fondata da un gruppo di artisti indipendenti nel 2007. Trova le sue radici nella sperimentazione e nella ricerca artistica, articolata nello sviluppo delle relazioni fra diversi media. I linguaggi legati alle New Media Art ed alle Nuove Tecnologie vengono fusi, ampliati, connessi dando vita a dimensioni percettive nuove.

CYFEST 15 si è svolto a Yerevan, Armenia e Miami, USA; oggi accolto negli spazi del CREA – Cantieri del Contemporaneo di Venezia, fino al 30 agosto 2024.

Il tema intorno al quale si sviluppa il festival è la vulnerabilità, sviscerata nella sua dimensione più profonda, legata all’essere umano e a tutto ciò che lo circonda, abbattendo i confini di specie, tempo e materia. Tale condizione che abita il nostro pianeta viene sviluppata in una chiave emancipatoria, dove attraverso la declinazione in linguaggi artistici differenti e complementari, diventa testamento della nostra più autentica esperienza.

I moderni spazi del CREA ospitano un programma vasto, che si articola in vari formati, comprendendo installazioni, performance e talk. Tra le principali opere figura il progetto multidisciplinare Drop Tracer, che esplora le dinamiche degli agenti non umani e la relazione tra immagini e mondo naturale, realizzato da Tuula Närhinen. Le pelli generate dalla fermentazione da batteri danno vita ad un un’opera di Ann Marie Maes, la quale esplora il potenziale scultoreo dei materiali organici e le interfacce tra umano e non umano, così come tra il microscopico e il macroscopico. Il collettivo Where Dogs Run, pionieri nella sperimentazione e nella ricerca artistica legata alla New Media Art, analizza i concetti dei set di Mandelbrot mediante modelli di maglieria sviluppati in una performance dal vivo.

Mariateresa Sartori, con l’uso della tecnica del frottage, mette in evidenza una geologia sub-urbana, nascosta all’occhio, indagata nei suoi aspetti materici vivi, facendo luce sulla poco conosciuta storia della cava di Rosà, nel vicentino. L’installazione multimediale di Elena Gubanova e Ivan Govorkov analizza e sviluppa il concetto di «densità temporale» elaborato dall’astronomo sovietico Nikolai Kozyrev. La mostra presenta anche i rari monotipi «Re-Pressions» dell’acclamato artista armeno Samvel Baghdasaryan (1956-2017), opere sperimentali di videoarte di Fabrizio Plessi, sculture gonfiabili in tessuto di Irina Korina, e oggetti architettonici e urbanistici realizzati con LED riciclati di Alexandra Dementieva. Inoltre, una nuova installazione di Anna Frants e molte altre opere arricchiscono l’esposizione.

CYFEST 15 – International Media Art Festival, Giudecca, Venezia, 15.04 – 30.08.2024

immagini: (tutte) CYFEST 15 – Vulnerability, Installation View, CREA — One Contemporary Art Space, 2024. Photo Edith Bunimovich

 

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