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Adrian Piper al PAC di Milano

15 mai 2024 à 16:55

Che il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano sia da alcuni anni una delle istituzioni pubbliche italiane più ricettive alle ricerche di artisti attenti ai contesti sociali, nonché alla performance è abbastanza noto tra gli addetti ai lavori: a definire tale identità ha contribuito in maniera cospicua la direzione artistica di Diego Sileo che, con competenza, curiosità e senza disdegnare la provocazione, dedica parte della programmazione a tale medium, attraverso mostre tanto di italiani quanto di figure internazionali, riannodando tragitti che segnano la storia dell’istituzione milanese. Quello che forse è meno evidente a chi non frequenta sistematicamente il PAC è che l’edificio stesso sembra favorire andamenti laterali rispetto alla tradizione delle arti visive, “naturalmente” aperto a esplorazioni che eludono “l’armadio chiuso” del modernismo: la grande vetrata affacciata sui giardini di Villa Reale è membrana osmotica con l’area verde retrostante, la sua continua mutevolezza cromatica e luminosa, la sua piacevole ma invadente presenza. E ugualmente il ballatoio che corre parallelo al vano centrale del piano terra si trasforma agevolmente nel balcone da cui assistere a quanto si svolge in basso. Un ideale loggione, tropo di una dimensione teatrale celata appena sotto la pelle dello spazio museale.

Dal 19 marzo e fino al 9 giugno, il PAC ospita la prima retrospettiva italiana di Adrian Piper (New York 1948), figura di spicco dell’arte post-concettuale statunitense, particolarmente rappresentativa per il costante impegno su aspetti e questioni legate al razzismo, ma con rare apparizioni italiane, tra cui il tempestivo Parlando a me stessa. L’autobiografia progressiva di un oggetto d’arte, edito in italiano da Marilena Bonomo nel 1975, con la presumibile mediazione di Sol Lewitt; il prestigioso Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 2015, quella diretta da Owki Enwezor; la traduzione di Meta-art (1973) per Castelvecchi nel 2017 a cui aggiungere qualche inclusione di lavori in rassegne collettive. Sebbene la dimensione performativa a cui si è accennato in apertura, questa volta sia affidata solo alla documentazione fotografica e audiovisiva con cui si da conto di numerosi interventi di Piper, in particolare della splendida Funk Lessons (1983-85) tramite il film di Sam Samore, lo stile del curatore è ben riconoscibile. Infatti, tranne pochi lavori giovanili, tutto guarda al mondo, oltre i convenzionali problemi del visuale.

Il visitatore è accolto da un brusio di voci che provengono da installazioni sonore e video che punteggiano il percorso espositivo: una dimensione corale messa in evidenza sin dalle prime opere, con Negative Self-Portrait (1966), lavoro figurativo su carta, firmato “Adrienne”, subito prima quindi dell’adozione del più neutro – ma con sfumature maschili – Adrian. L’artista si presenta quindi con una identità multipla e sfaccettata: sebbene ricorra sovente alla propria immagine disegnata, fotografata, ripresa in video, i suoi connotati restano volutamente sfocati tanto rispetto all’appartenenza a un gruppo etnico definito – come avverte la definizione che campeggia su materiali promozionali dell’esposizione, Race Traitor – quanto dal punto di vista del genere. Se questo secondo aspetto è mobilitato solo indirettamente in The Mythic Being (1973-1980), Race Traitor è il titolo di un lavoro del 2018  in cui l’artista rielabora la riflessione sulla propria identità formulata quarant’anni prima, con i Political Self-Portraits (1978-1980), giocati sull’associazione tra la riproduzione della fotografia del passaporto – per antonomasia lo strumento di identificazione burocratica del cittadino – e una serie di eventi biografici in cui Piper ha preso coscienza del gruppo razziale a cui apparteneva o al quale gli altri ritenevano appartenesse. Il titolo della mostra, quindi, allude anche all’esperienza del passing, tematizzata dall’artista in questi e altri interventi, rievocandone le ambiguità sulla scorta sia della tradizione letteraria, sia delle pressioni sociali.

Attraverso approcci spiazzanti, Piper lavora per erodere le linee delle costruzioni sociali che dividono le persone in gruppi razziali: dalla riproposizione dei cliché al loro ribaltamento, fino all’esplorazione di situazioni in cui i presenti – visitatori inclusi – sono disorientati. In tal senso si muove la celebre installazione Cornered (1988) in cui il pubblico del museo diventa anche il destinatario del monologo della professoressa Adrian Piper[1], trasmesso da un televisore installato tra due certificati di nascita in cui un medesimo individuo viene definito “octoroon” nel 1953 e “white” nel 1965.

Nel video, infatti, Piper spiega – rivolgendosi direttamente al visitatore in sala – proprio l’impossibilità teorica di definirsi bianco o nero nella società statunitense, dove i contatti tra i due gruppi sono antichi e ramificati. La sensazione di essere parte in causa, parte del problema, di essere tra gli interlocutori dell’artista non ci abbandona mai: dal reiterato impiego del pronome “you” nei titoli, fino all’adozione dell’indagine sociologica che nella serie Close to Home (1987) fa emergere – potenzialmente nelle biografie di ciascuno – omissioni circa il proprio inconfessato razzismo; dalle luci che alternativamente si accendono e si spengono in Black Box /White Box (1992) trasformando l’osservatore in osservato al ricorso agli specchi in Das Ding-an-sich bin ich (2018).

Pur rinunciando alla narrazione lineare con l’intento di calare il pubblico nel bel mezzo delle prove di un coro, in cui le voci si alternano e si sovrappongono, la mostra dipana una conversazione che copre una carriera lunga quasi sei decadi, puntellata da prestigiosi riconoscimenti, come si deduce dalle collezioni da cui provengono i pezzi in mostra, coerente nel nucleo semantico ma diversificata per medium e stili, dai lavori d’esordio debitori dell’arte concettuale, fino alle recenti animazioni digitali, passando per installazioni, video e variazioni attorno all’impiego della fotografia e della scrittura.

Tra le opere stilisticamente più sorprendenti i Vanilla Nightmares (1986-1989, fig. 6) disegni a carboncino eseguiti sulle pagine del New York Times. Resi celebri dalle riflessioni di Hal Foster in Il ritorno del reale, le opere insistono sulle paure che alimentano il razzismo: con fisionomie esagerate e corpi vistosamente erotizzati, l’artista tratteggia donne e uomini bianchi e neri che visivamente interagiscono con le figure riprodotte nelle pubblicità o fotografate per la cronaca, e in generale entrano in risonanza con le notizie relative al Sudafrica pubblicate dal quotidiano. Ma dal vero si apprezza quanto il tratto, volutamente caricaturale e semplificato, non si sottragga alle atmosfere neoespressioniste di quegli anni, mettendo ancora una volta in comunicazione personale e collettivo, pubblico e privato, e con un approccio intersezionale ante litteram.

[1] Oltre che artista visiva, Piper ha insegnato filosofia teoretica in numerosi atenei statunitensi; dal 2005 vive a Berlino.
Adrian Piper, RACE TRAITOR, PAC- Padiglione Arte Contemporanea, Milano, 19.03 – 09.06.2024

images: (cover1) Adrian Piper, «Das Ding-an-sich bin ich», 2018, photo Nico Covre (2) Adrian Piper, «Race Traitor», 2018, stampa digitale (3) Adrian Piper, «Cornered», 1988 (4) Adrian Piper, «Close to Home», 1987, fotografie, testo, audiotape  (5) ) Adrian Piper, RACE TRAITOR», PAC, Milano, ph Nico Covre – Vulcano Agency (6) Adrian Piper, «Vanilla Nightmares #11», 1986, carboncino su pagina di giornale.

 

 

 

 

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Audition InDance International 2024/25

16 avril 2024 à 10:57
Audition InDance International 2024/25

InDance International offers limited scholarships for a One Year Performance Company in Performance in Barcelona City.  Accredited by International Dance Council CID Paris, France, Europe. Where: Barcelona, Spain When: 16th September 2024 to 27th June 2025 Deadline for applications: 26th April 2024 You will perform in Spain, England and Europe with visiting choreographers for stage performances and site-specific creations in solo and […]

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Travellers Mirror Cities a Venezia

Par : Arshake
21 avril 2024 à 09:00

Il 17 aprile il MoCA di Shanghai, in collaborazione con Venice International University in Italia, presenta una grande mostra collettiva: “TRAVELLERS MIRROR CITIES”, titolo che richiama le tematiche della 60° Biennale di Venezia “Stranieri ovunque”. La mostra è visitabile fino al 18 maggio nelle sale espositive de La Venice International University, centro internazionale di formazione avanzata e ricerca, spazio dedicato agli scambi internazionali di saperi presso l’isola di San Servolo a Venezia.

La mostra, curata da Miriam Sun, direttrice esecutiva del MoCA di Shanghai, e da Giuliana Benassi, curatrice italiana, presenta alcune delle voci più interessanti del panorama dell’arte contemporanea cinese e italiana, tra cui Qiu Anxiong, Josè Angelino, Shi Chengdong, Rä di Martino, Guo Fei, H.H. Lim, Matteo Nasini, Oliviero Rainaldi, Gabriele Silli, Fu Tong, Jin Wang, Yang Yongliang.

Le città, in quanto spazi geografici, sociali e culturali, racchiudono numerose stratificazioni di valori che non sono immediatamente visibili. “TRAVELLERS MIRROR CITIES” si propone di costruire in modo ingegnoso un percorso artistico concettuale su “La città del viaggiatore – un’immagine spirituale speculare di sé e dello straniero”, tessendo una narrazione dinamica su due piani, uno evidente e l’altro nascosto. Da un punto di vista formale, scegliendo di presentare in maniera non lineare opere d’arte di artisti cinesi e italiani che lavorano con diversi linguaggi artistici, la mostra invita “chi la percorre” a continuare a porre domande alla città, ridestando la loro attenzione attraverso i singoli elementi del percorso espositivo e guidandoli a cercare il riflesso di se stessi nello specchio delle varie soluzioni fornite dalla città. Lo scopo della mostra, quindi, non è solo quello di far trovare ai viaggiatori le risposte agli enigmi visivi della città, ma anche di delineare la loro capacità di autorispecchiamento e di incoraggiare una più profonda contemplazione delle relazioni interpersonali. L’intera mostra vuole restituire quella “rete simbiotica” dell’oggi, tessuta dagli artisti contemporanei che, seppur provenienti da Cina e Italia, sembrano uniti da un unico filo: quello dell’essere umano al cospetto del mondo.I differenti e multidisciplinari linguaggi degli artisti in mostra testimoniano, tra l’altro, le nuove scoperte della scienza e della tecnologia nell’era dei contenuti generati Intelligenza Artificiale (IA), i nuovi concetti di sostenibilità le strutture filosofiche alla base delle pratiche di installazione e l’estetica tradizionale orientale. Attraverso molteplici mezzi di comunicazione e narrazioni uniche, la mostra cerca di collegare la Cina con il mondo, la tradizione con la contemporaneità, rimodellando lo sfondo mutevole della storia, riempiendo l’ultimo frammento dell’immagine intellettuale della città e cercando la chiave per collegare le relazioni umane in base alle loro identità.

L’anno 2024 ha un significato particolare per la Cina e l’Italia, in quanto segna il 700° anniversario della scomparsa di Marco Polo. Con la mostra “TRAVELLERS MIRROR CITIES”, l’intento del MoCA di Shanghai non è solo di riecheggiare lo spirito del tema della 60a Biennale di Venezia “Stranieri ovunque”, ma anche di introdurre una nuova prospettiva per approfondire la comprensione reciproca dell’arte, della cultura e dell’estetica tra i popoli di Cina e Italia, promuovendo ulteriormente l’amicizia e la conoscenza tra le due nazioni. La mostra all’Università Internazionale di Venezia è il debutto del progetto espositivo itinerante “TRAVELLERS MIRROR CITIES”, che nel prossimo futuro si sposterà a New York, negli Stati Uniti.

(dal comunicato stampa)

TRAVELLERS MIRROR CITIES, curated by Miriam Sun, executive director of MoCA Shanghai, and Italian art curator Giuliana Benassi,  Venice International University (VIU), Isola di San Servolo, 19.04 – 18.05.2024
Artisti: Qiu Anxiong, Josè Angelino, Shi Chengdong, Rä di Martino, Guo Fei, H.H. Lim, Matteo Nasini, Oliviero Rainaldi, Gabriele Silli, Fu Tong, Jin Wang, Yang Yongliang.
17-20 aprile, 2024 (19.30 – 11-30) Guo Fei e il compositore Jin Wang saranno impegnati in una performance audio-visiva live nella cornice della chiesa adiacente all’Università Internazionale di Venezia. 

immagini: (1) Fu Tong, «Flowing Bodies», 2023. Audio-Video Installation (2) Guo Fei, «endlessREDDAL» (3) Josè Angelino, «Mosquitos», 2017, Campi elettromagnetici, micro magneti, bicchieri, frequenze di risonanza di Schumann, riproduttore/amplificatore audio, dimensioni variabili, Courtesy l’Artista e Galleria Alessandra Bonomo Roma, ph Adriano Mura

 

 

 

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Cuba Introspettiva a Matera

Par : Arshake
17 avril 2024 à 06:59

Il Museo nazionale di Matera, presso l’Ex Ospedale di San Rocco, ospita la mostra Cuba introspettiva. Esperienze performative di videoarte, ideata e curata da Giacomo Zaza.

Il progetto si muove tra contesti che s’intrecciano e s’incontrano: lo spazio pubblico e quello privato, la strada e l’intimità, la sfera socio-culturale e i percorsi immaginari. Evidenzia l’andamento diversificato delle pratiche artistiche cubane, slegandole da qualsiasi etichettatura. Pone in risalto la produzione di nuovi significati mediante esperienze video performative.

Il percorso espositivo si articola attraverso le esperienze di videoarte di dodici artisti cubani, protagonisti della ricerca contemporanea dentro e fuori l’isola: Juan Carlos Alom, Analía Amaya, María Magdalena Campos-Pons, Javier Castro, Susana Pilar Delahante Matienzo, Luis Gómez Armenteros, Tony Labat, Ernesto Leal, Glenda León, Sandra Ramos, Grethell Rasúa e Lázaro Saavedra.

«L’ampio sguardo rivolto alla ricerca artistica da Cuba, con particolare attenzione ai protagonisti di una sperimentazione visiva tra le più interessanti dell’area caraibica – sottolinea Annamaria Mauro, direttore del Museo nazionale di Matera – conferma l’apertura del Museo al mondo contemporaneo internazionale. Il complesso monumentale dell’Ex Ospedale di San Rocco continua a essere un laboratorio di perlustrazione della creatività odierna, capace di offrire immaginari condivisi ed esperienze provenienti da diversi ambiti culturali».

«Negli artisti in mostra – spiega il curatore Giacomo Zaza – prevale una visione riflessiva, intrisa di tratti ironici e paradossali, scabri e inquieti, come avviene in certa letteratura cubana, da Virgilio Piñera a Pedro Juan Gutiérrez. Una visione accompagnata dall’interiorizzazione e dal vaglio della storia (con le sue derive), nonché uno scenario ricco di attitudini sincretistiche. La pratica video cubana porta con sé una marcata spinta performativa. Gli artisti scelti per Matera si muovono tra valori fondativi dell’esperienza (la solidarietà, la libertà dell’individuo) e la ricerca di una dimensione poetica e di uno spazio sensibile, presso corteggiando il mondo magico».

(dal comunicato stampa)

Cuba introspettiva. Esperienze performative di videoarte, a cura di Giacomo Zaza, Ex Ospedale di San Rocco 22.03 –  30.06.2024.  

immagini: (cover 1) Sandra Ramos, «Aquarium», 2013 (2) Lazaro Saavedra, «El sindrome de la sospecha», 2004 (3) Juan Carlos Alom, «Habana Solo», 2000 (4) Analia Amaya, «Concierto», 2006 (5) Javier Castro, «El beso de la patria», 2011

 

 

 

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VIDEO POST > Long String Instrument

Par : Arshake
14 avril 2024 à 19:45

VIDEO POST rilancia la documentazione di una performance di Ellen Fullman con il suo Long String Instrument dove decine di corde metalliche altamente tese, lunghe fino a trenta metri, vengono sfiorate con dita rivestite di colofonia per produrre un coro di toni minimi, simili a quelli di un organo.

Ellen Fullman with Theresa Wong, Long String Instrument, 1981-ongoing, Video by Jason Heller 

 

 

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FRAME > Borrando la Frontera

Par : Arshake
30 mars 2024 à 10:50

FRAME cattura Borrando la Frontera, ‘scultura sociale’ di Ana Teresa Fernández che in un mattino di giugno del 2011, complici una grande scala e una pistola a spruzzo, ha ‘cancellato’ le barre della frontiera tra Messico e USA con un pallido blu polvere.

Ana Teresa Fernández, Borrando la Frontera, 2011, immagine via

 

 

 

 

 

 

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Arts & Creative Technology Festival of the Asia Culture Center 2023

Par : Noema Staff
21 avril 2023 à 23:00
ACT (Arts & Creative Technology) Festival of the Asia Culture Center (ACC) aims to integrate artistic creativity and technology in a transdisciplinary festival that showcases future-oriented projects and ideas through various programs including exhibitions, academic forums, performances, and workshops, promoting the exchange of knowledge, skills, and experiences among local and international artists, cultural producers, and the general public.

CALL FOR ARTISTS: ROME EXPERIMENTAL 2024

Par : admin
18 mars 2024 à 02:54
ITSLIQUID Group is thrilled to announce the open call for ROME EXPERIMENTAL VIDEO AND PERFORMING ART FESTIVAL 2024, a video and performance art event, that will be held in Rome, at ITSLIQUID Monti - Rome Art Space during the 10th edition of ROME INTERNATIONAL ART FAIR 2024, from May 24 to June 06, 2024.

CALL FOR ARTISTS: VENICE EXPERIMENTAL 2024

Par : admin
26 avril 2024 à 10:16
ITSLIQUID Group, in collaboration with ACIT Venice - Italian-German Cultural Association, is pleased to announce the open call for VENICE EXPERIMENTAL VIDEO AND PERFORMING ART FESTIVAL 2024, a one-night event dedicated to video and performance art, that will be held during VISIONS, third appointment of ANIMA MUNDI 2024, at Palazzo Albrizzi-Capello from June 07 to June 21, 2024, and at San Marco Art Space from June 20 to July 04, 2024, and in other prestigious venues and historical buildings, during the 60th Venice Biennale of Art.

Lab.18 art contest

 


Deadline: 11 March 2021


"Lab.18 art contest, is a call for submissions open to all kind of artists. Works allowed in the art competition are: drawings, paintings, sculptures, photographs, graphics, mix media and video. A great opportunity for the artists, which can win a cash prize, have the opportunity to exhibit the artworks and much more. 

The following types of works are admitted: Painting, Sculpture, Photography, Mixed media, Digital, Video, Graphics, Net art, other (all visual works that can be reproduced through a picture are allowed).

The contest is addressed to professional and amateur artists, graphic designers, painters, photographers, etc. from all over the world. 


Entry fee

45€


Prizes / Awards

5000,00€

- collaboration award for a new Malamegi collection

- artwork acquisition award

- cash prize

- monographic book prize


Details:

https://www.lab.malamegi.com/

THE CREATIVE ROOM

 



Deadline: 3 January 2021


a.topos Venice is pleased to present THE CREATIVE ROOM, an original initiative created by the Curatorial Collective to promote emerging creatives, following the CC’s commitment to enhance their visibility by providing an exhibition space to selected artists in the venetian contemporary art scene.


In this OPEN CALL first edition, we are inviting participants to send proposals that address a challenge imposed by the exceptional reality of lockdown and social distancing during the COVID-19 pandemic: How to recreate oneself? Exercising the gaze towards the outside? Repositioning self as subject/object? Share your artwork with us so that we can convert our gallery in an extension of your own CREATIVE ROOM.


Entry fee:

20€


Prizes / Awards:

2 exhibitions


Details:

https://atoposvenice.com/thecreativeroom

European Festival for Perfoming Arts

 



Performance festival

Deadline: 30.10.2020

Festival will take place from May 25th - 30th 2021in Hildesheim, Germany.

We are looking for six guest-performances considering especially the scope of performing arts, although works which align with related art forms or have a transdisciplinary approach are also welcome to be submitted.


No entry fee


Festival offers:

• Salary

• travel expenses, accommodation and food during the festival


Details:

http://transeuropa-festival.de/2021/call-for-arts/

Sonica Glasgow 2022

 


sound installations and/or live music performances

Deadline: 26 November 2020


Cryptic is inviting Scottish based artists to submit existing sound installations and/or live music performances with visuals to be shown at Sonica Glasgow which returns for its sixth edition from 10 – 20 March 2022.

No entry fee

The successful artist will receive:
– A guaranteed fee of £500, which is above the Scottish Artist Union and Musicians’ Union 2020 rates of pay. Please note, the fee will remain the same for submissions from two or more artists working collaboratively. Fees will be revised if necessary in line with 2022 rates of pay;
– Travel and accommodation expenses for artists based out with Glasgow;
– Support in sourcing basic technical equipment;
– Support for install/de-install;
– Venue, PR and marketing support.

Details:


Intervista | Pietro Cardarelli

16 mars 2024 à 11:37
Lavorare con la luce è un’arte complessa, soprattutto quando la luce stessa si fa soggetto di vita. Luce emozionale, luce intima, luce che danza. Pietro Cardarelli, lighting e visual artist, mescola ogni giorno lighting design, live video, videomapping, live media, graphic design, scenografia contemporanea e perfoming art.
Nato sotto il segno dell’Ariete, Pietro esplora le costellazioni della luce consegnandoci lo stupore magico della ribalta, illuminando la parte più profonda di ognuno di noi nel momento che ci attraversa e ci fa ‘riflettere’.

Giorgio Cipolletta: Raccontami della tua ricerca artistica. Come inizia e in che direzione si sta evolvendo? Puoi descrive il tuo lavoro, i tuoi metodi, le tue fonti di ispirazione?

Da che ne ho memoria, la luce ha sempre occupato i miei pensieri, in qualsiasi sua forma. Un fascino irresistibile, da sempre, quasi fossi una falena.

La mia ricerca si basa prevalentemente su due campi: la manipolazione dello spazio attraverso la luce e la luce intesa come elemento fisico con una sua vita propria, in grado di interagire con tutto ciò che essa avvolge. In altre parole la luce può essere esperita come un’essenza capace di vivere autonomamente e generare relazioni con l’Altro.

Il mio lavoro inizia con il desiderio di attivare queste relazioni.

La luce è un attore sulla scena, un musicista sul palco, un danzatore nello spazio, un artista luminoso che trascina il pubblico rendendolo partecipe.

Da questo percorso, che ho mosso insieme a molti altri artisti di settori diversi, sono arrivato ad un lavoro più intimo e personale dedicato alla manipolazione spaziale attraverso la realizzazione di installazioni e ambienti immersivi in cui il pubblico potesse compiere un percorso di relazione a partire dallo spazio esterno fino ad annullarlo e arrivare al proprio spazio interiore.

La luce abbraccia totalmente la mia ricerca multidisciplinare. Essa rappresenta intimità e allo stesso tempo, spazio visuale, tecnologia e fenomeno di ‘riflessione’.

James Turrell e Ólafur Elìasson sono stati, e sono ancora oggi, grande fonte di ispirazione.

Non posso non citare Room for one color (1997) dell’artista danese, un’installazione folgorante per il mio percorso. Così come sono assolutamente fondamentali artisti più recenti come Robert Henke o Yann Nguema.

Quando inizio un nuovo lavoro mi pongo sempre in un’ottica di studio, conoscenza profonda e rispetto per l’artista che devo ‘vestire’ o lo spazio da ‘abitare’. Una volta entrato in empatia con la luce, cerco semplicemente di diventare il primo spettatore dei miei lavori. Cerco di raggiungere, quanto più possibile, quella soglia di stupore ed emozione in grado di sorprendermi per primo.

Portare la luce, per me elemento vivo, deve essere un gesto quasi ‘magico’, quell’elemento nel realismo magico che porta una variazione nello spazio conosciuto del reale. Altro passaggio fondamentale però è lo studio, attento, meticoloso al limite del maniacale. Così come voglio rispettare lo spazio o l’artista che ospiterà la mia luce, altrettanto cerco di rispettare la luce stessa. Se questa ibridazione funziona, allora il pubblico si troverà in una dimensione immersiva attraverso la quale potrà vivere profondamente questa condizione ‘di rapimento estatico’.

Qual è il segreto della luce? Che rapporto hai con essa?

Prima di tutto, bisognerebbe dedicare una riflessione alla fisica quantistica, ma non è questa la sede per farlo, ma sicuramente occorre tenere presente la dualità della luce (particella/onda) come fulcro della mia ricerca e studio profondo sulla vera della sua natura ‘viva’.

Perché parlo di vita? Perché il suo essere fisico interagisce con noi e vive con noi attraverso i nostri occhi, ci fornisce la visione di quella che consideriamo realtà.

Nel corso dei laboratori sulla luce, che mi è capitato di tenere, ho potuto sperimentare la capacità che hanno le persone di ‘sentire’ la luce anche non vedendola.

Il mio rapporto sempre più stretto con la luce si basa su due elementi fondamentali: la percezione ‘fisica’ della luce e la luminanza. Quest’ultima viene descritta come la «qualità-quantità» della luminosità che arriva nella nostra retina. Questo rapporto tra l’intensità luminosa emessa da una sorgente nella direzione dell’osservatore e l’area apparente della superficie emittente così come vista dall’osservatore determina il fenomeno dell’esperienza della luce stessa.

Partendo dalla consapevolezza di una «soggettività» della realtà, la mia produzione artistica si muove proprio catturando la parte percettiva, interiore ed emotiva della luce. L’universo che esploro è legato proprio al concetto di spazio e luogo. Infatti nei miei lavori parlo di ‘manipolazione’ dello spazio, perché si va ad agire in quel confine tra percezione e luminanza. Per capire meglio, è quell’effetto, Ganzfeld che Turrell elabora nelle sue opere, dove la luce che vede lo spettatore (senza che egli ne veda la fonte) è solo la sua percezione: uno spazio-mente. Per fare un altro esempio, l’installazione, per la performance Schönheit (2023) che ho realizzato nella foresta di Aaper a Düsseldorf si basa proprio sul principio dell’alterazione della percezione spaziale. L’installazione è invisibile, i dispositivi nascosti sono nell’ambiente naturale e ciò che si va a catturare è proprio la natura stessa della foresta, la luce naturale del sole. Solo stando nell’area della performance il pubblico ha la percezione di un’alterazione sensoriale, ma allo stesso tempo la foresta rimane tale con la sua vegetazione naturale.

Ci racconti del progetto della lampada Birth? Che cosa è? Come funziona? Dove l’hai già sperimentata e hai intenzione invece di portarla? Qual è la sua caratteristica principale?

La lampada Birth nasce in realtà da una sorta di ‘ossessione’, un sogno nel cassetto nato dalla necessità di avere un dispositivo luminoso molto versatile e che potesse essere anche presente e con un corpo minimal e sottile. Questa luce ideata e creata assume le sembianze del classico faro-luce e allo stesso tempo sprigiona vita, perché diventa esso stesso performer.

La lampada Birth ha una sua grande versatilità capace di creare multi-effetti e diverse tipologie di luce.

Birth è una lampada ‘emotiva’ in grado di adeguarsi alle varie suggestioni e  interagire con i danzatori, attori, musicisti, etc…

La lampada ha la grande capacità sia di generare luce attraverso l’interno che quella di modificare la luce riflessa. La forma di Birth evoca una stella prodotta da delle estrusioni di elementi prismatici simili a quelli che si trovano all’interno dei fari motorizzati attualmente in commercio.

Attualmente esistono solo sei esemplari di Birth. La lampada è stata realizzata grazie alla collaborazione professionale di Tecno Service di Ernesto Ottavi e Realizzazioni Castelli e Fanini. Le lampade Birth hanno accompagnato il concerto di Sergio Cammariere, di Anne Paceo, degli Yellowjackets, di Dee Dee Bridgewater e di Emiliano D’Auria.

Attualmente le Birth sono impegnate a danzare insieme a Giosy Sanpaolo nel progetto “15e36” della compagnia di danza contemporanea Hunt. Questo progetto, a cui tengo moltissimo, mi permette di interagire intimamente con la performer, come un passo a due: corpo e luce che danzano insieme. In futuro vorrei invece impiegarle in un’installazione, a cui sto lavorando, dove le lampade possano rispondere e interagire con il pubblico direttamente attraverso un sistema di sensori.

Nella tua carriera hai avuto l’occasione di mescolare digital art, pure light, installation art for performing e lighting for music, come riesci a mescolare e gestire le arti?

Il mio lavoro non è solo individuale, anzi spesso sono in collaborazione e a supporto di altri artisti. Ho cercato da sempre di portare la luce, con le sue sfumature e forme e una continua ricerca tecnologica, realizzando molti progetti con diversi artisti. L’idea su cui la luce prende forma nei miei progetti, mi ha permesso di dare totale libertà al suo spettro che avvolge ogni campo artistico. Desidero sempre di superare i limiti della luce e continuamente attraverso teatri, musei, ma anche piazze, spazi industriali o addirittura aziende. Ciò che amo della luce è proprio la sua versatilità e la sua capacità di essere intrinsecamente site-specific.

Personalmente, a ogni lavoro, mi colloco sempre come un soggetto in più in legame con il performer, ma non solo, può essere un un grafico, un architetto o qualsiasi altro soggetto. In altre parole la luce si fa soggetto attivo e co-protagonista di ogni lavoro.

Riguardo al tuo legame con la luce, pensi che l’artista abbia una responsabilità sociale e quindi essere strumento di coscienza collettiva?

Personalmente, come per molti artisti, sento una responsabilità sociale dovuta dalla grande comunicabilità dei media che ho scelto di usare per il mio lavoro. In tutti i miei progetti c’è sempre una componente di riflessione per il pubblico. Ogni lavoro nasce da idee che presuppongono una necessità di comunicazione profonda. Nella mia ultima installazione immersiva nel verde, Growing Lights, lo spettatore viene invitato a vivere questa esperienza con lentezza, riappropriandosi del luogo illuminato.

Oltre all’aspetto estetico di una nuova illuminazione con i molteplici “punti di vista” che posso creare, sicuramente, c’è una riflessione sui temi ecologici, dettato anche dal tema  del surriscaldamento globale, che investe oggi la discussione collettiva.

Attraverso i miei studi e i miei lavori con l’intelligenza artificiale, molto prima dell’ondata globale a cui stiamo assistendo ora, mi sono sempre messo nell’ottica di esplorarla dal punto di vista umano e del rapporto uomo-tecnologia. L’essere umano (con la sua emotività) insieme alla luce (con la sua percezione sensibile) sono ‘i registi’ dei miei progetti.

La luce è un fenomeno complesso, pensiamo alla frase ‘venire alla luce’ per indicare la nascita, la vita e da sempre è elemento naturale, nonché rappresentato nell’arte pittorica.

Questa azione del ‘venire alla luce’ (al mondo) per me oggi rappresenta l’approdo ad una conoscenza profonda soprattutto di sé, della propria interiorità e del rapporto del sé con la società e la realtà circostante.

L’Arte per me non è pura elucubrazione mentale, ma un grande strumento di comunicazione sociale, perché essa è in grado di parlare in luoghi dove altri mezzi non riescono a dialogare. Perciò, per me, l’artista ha anche un dovere etico-morale, se così si può dire, perché il suo lavoro non è fine a se stesso, ma intrinsecamente veicola già un messaggio. Nel panorama dell’arte contemporanea oggi, forse il mio pensiero può risultare un po’ naïf, ma credo sia molto importante riportare alla discussione alcune argomentazioni, che forse non sono più banali e scontate. Molto spesso oggi, quando tengo dei corsi e delle lezioni, noto che si è molto più interessati a realizzare il «cool tecnologico» fine a se stesso, piuttosto che usare la luce semplicemente come un mezzo di comunicazione profonda ed emotiva.

Un progetto che hai in mente, ma che ancora non hai realizzato.

Il rapporto tra luce e scienza è un campo che ho iniziato ad esplorare andando oltre la ricerca tecnologica. Attualmente sto lavorando con la Dott.ssa Bruna Corradetti del Baylor College of Medicine di Houston, con la quale stiamo sviluppando un progetto tra arte e ricerca del comportamento cellulare umano. La fusione tra tecnologia, arte e biologia darà vita ad un progetto interattivo che possa essere non solo riflessivo per il pubblico, ma anche, e soprattutto, utile in campo medico per l’esplicitazione di importanti e innovativi ‘punti di vista’ nella ricerca stessa. Anche in questo progetto, ovviamente, al centro c’è la luce con la sua emotività generata dai soggetti coinvolti e da chi permette questo: luce soggetto-oggetto umano.

Questa ricerca attualmente è molto appassionante e spero che questo progetto possa vedere la luce molto presto.

PIETRO CARDARELLI è scenografo, Lighting e Visual Artist e Creative Director. Produzione artistica, grafica, dalla promozione all’immagine dei live (lighting design, live video, videomapping, live media, graphic design, scenografia contemporanea, allestimenti e installazioni), perfoming art, video arte e digital art sono le espressioni artistiche che portano Pietro a lavorare come Creative Director per cantanti, artisti, band e produttori musicali, stilisti, coreografi, strutture d’arte ed aziende. È inoltre docente per diversi corsi di formazione (“Manipolazione Creativa dello Spazio”, “Visual Art”, “Lighting Design”.  Dal 2016 al 2020 fa parte del board scientifico per progetti di rigenerazione urbana creativa (“SPACE – Spazi Creativi Contemporanei” e “Invasioni Contemporanee”). Partecipa a diverse mostre e collettive d’arte in Italia e all’estero. Dal 2014 è progettista e lighting e visual artist per il compositore, autore e musicista Dardust (Dario Faini) curando tutte le date dei tour in Italia e all’estero. Dal 2015 è responsabile lighting designer e visual art director per i progetti “Pyanook” e “PyanookLab” del musicista e compositore Ralf Schmid presso lo studio Kubus dello ZKM di Karlsruhe e la Humboldtsaal di Freiburg (Germania), debuttando al live europeo Neue Meister Music a Berlino. Collabora inoltre con lo studio di ricerca per la realtà aumentata MarbleAR di Los Angeles. Dal 2019 è lighting e visual artist per il coreografo e performer Morgan Nardi presso l’FFT a Düsseldorf (Germania) dove nel 2020 realizza diverse installazioni digitali interattive una nel centrale Hofgarten, nel 2022 nel Northpark e nel 2023 nella foresta di Aaper.  Nel 2021, come artista, è firmatario del Manifesto Internazionale della Light Art.  Nello stesso anno crea il progetto di ricerca “Yūgen_a mood place”© sull’interazione tra la luce e il cibo.  Nel 2023 realizza una serie di installazioni di luce nell’area industriale dismessa ex Sgl-Carbon (Ascoli Piceno). Parallelamente crea la lampada “Birth”©, utilizzata nei concerti di Sergio Cammariere, Yellowjackets, Anne Paceo e Emiliano D’Auria Quartet. L’ultimo lavoro a cui partecipa è “Yume” di Elisa Maestri, un progetto di MeTe Teatro/La Casa di Asterione, dove luce e disabilità si fondono.

immagini: (cover 1) Pietro Cardarelli, «LampadaBirth», 2023 (2-3) Pietro Cardarelli, «Phisiologus», 2019 (4) Pietro Cardarelli, «Pea Wall», 2018 (5-6) Pietro Cardarelli, «Schönheit», 2023 (7) Pietro Cardarelli, «Phisiologus», 2019 (8) Pietro Cardarelli, ritratto

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