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Adrian Piper al PAC di Milano

15 mai 2024 à 16:55

Che il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano sia da alcuni anni una delle istituzioni pubbliche italiane più ricettive alle ricerche di artisti attenti ai contesti sociali, nonché alla performance è abbastanza noto tra gli addetti ai lavori: a definire tale identità ha contribuito in maniera cospicua la direzione artistica di Diego Sileo che, con competenza, curiosità e senza disdegnare la provocazione, dedica parte della programmazione a tale medium, attraverso mostre tanto di italiani quanto di figure internazionali, riannodando tragitti che segnano la storia dell’istituzione milanese. Quello che forse è meno evidente a chi non frequenta sistematicamente il PAC è che l’edificio stesso sembra favorire andamenti laterali rispetto alla tradizione delle arti visive, “naturalmente” aperto a esplorazioni che eludono “l’armadio chiuso” del modernismo: la grande vetrata affacciata sui giardini di Villa Reale è membrana osmotica con l’area verde retrostante, la sua continua mutevolezza cromatica e luminosa, la sua piacevole ma invadente presenza. E ugualmente il ballatoio che corre parallelo al vano centrale del piano terra si trasforma agevolmente nel balcone da cui assistere a quanto si svolge in basso. Un ideale loggione, tropo di una dimensione teatrale celata appena sotto la pelle dello spazio museale.

Dal 19 marzo e fino al 9 giugno, il PAC ospita la prima retrospettiva italiana di Adrian Piper (New York 1948), figura di spicco dell’arte post-concettuale statunitense, particolarmente rappresentativa per il costante impegno su aspetti e questioni legate al razzismo, ma con rare apparizioni italiane, tra cui il tempestivo Parlando a me stessa. L’autobiografia progressiva di un oggetto d’arte, edito in italiano da Marilena Bonomo nel 1975, con la presumibile mediazione di Sol Lewitt; il prestigioso Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 2015, quella diretta da Owki Enwezor; la traduzione di Meta-art (1973) per Castelvecchi nel 2017 a cui aggiungere qualche inclusione di lavori in rassegne collettive. Sebbene la dimensione performativa a cui si è accennato in apertura, questa volta sia affidata solo alla documentazione fotografica e audiovisiva con cui si da conto di numerosi interventi di Piper, in particolare della splendida Funk Lessons (1983-85) tramite il film di Sam Samore, lo stile del curatore è ben riconoscibile. Infatti, tranne pochi lavori giovanili, tutto guarda al mondo, oltre i convenzionali problemi del visuale.

Il visitatore è accolto da un brusio di voci che provengono da installazioni sonore e video che punteggiano il percorso espositivo: una dimensione corale messa in evidenza sin dalle prime opere, con Negative Self-Portrait (1966), lavoro figurativo su carta, firmato “Adrienne”, subito prima quindi dell’adozione del più neutro – ma con sfumature maschili – Adrian. L’artista si presenta quindi con una identità multipla e sfaccettata: sebbene ricorra sovente alla propria immagine disegnata, fotografata, ripresa in video, i suoi connotati restano volutamente sfocati tanto rispetto all’appartenenza a un gruppo etnico definito – come avverte la definizione che campeggia su materiali promozionali dell’esposizione, Race Traitor – quanto dal punto di vista del genere. Se questo secondo aspetto è mobilitato solo indirettamente in The Mythic Being (1973-1980), Race Traitor è il titolo di un lavoro del 2018  in cui l’artista rielabora la riflessione sulla propria identità formulata quarant’anni prima, con i Political Self-Portraits (1978-1980), giocati sull’associazione tra la riproduzione della fotografia del passaporto – per antonomasia lo strumento di identificazione burocratica del cittadino – e una serie di eventi biografici in cui Piper ha preso coscienza del gruppo razziale a cui apparteneva o al quale gli altri ritenevano appartenesse. Il titolo della mostra, quindi, allude anche all’esperienza del passing, tematizzata dall’artista in questi e altri interventi, rievocandone le ambiguità sulla scorta sia della tradizione letteraria, sia delle pressioni sociali.

Attraverso approcci spiazzanti, Piper lavora per erodere le linee delle costruzioni sociali che dividono le persone in gruppi razziali: dalla riproposizione dei cliché al loro ribaltamento, fino all’esplorazione di situazioni in cui i presenti – visitatori inclusi – sono disorientati. In tal senso si muove la celebre installazione Cornered (1988) in cui il pubblico del museo diventa anche il destinatario del monologo della professoressa Adrian Piper[1], trasmesso da un televisore installato tra due certificati di nascita in cui un medesimo individuo viene definito “octoroon” nel 1953 e “white” nel 1965.

Nel video, infatti, Piper spiega – rivolgendosi direttamente al visitatore in sala – proprio l’impossibilità teorica di definirsi bianco o nero nella società statunitense, dove i contatti tra i due gruppi sono antichi e ramificati. La sensazione di essere parte in causa, parte del problema, di essere tra gli interlocutori dell’artista non ci abbandona mai: dal reiterato impiego del pronome “you” nei titoli, fino all’adozione dell’indagine sociologica che nella serie Close to Home (1987) fa emergere – potenzialmente nelle biografie di ciascuno – omissioni circa il proprio inconfessato razzismo; dalle luci che alternativamente si accendono e si spengono in Black Box /White Box (1992) trasformando l’osservatore in osservato al ricorso agli specchi in Das Ding-an-sich bin ich (2018).

Pur rinunciando alla narrazione lineare con l’intento di calare il pubblico nel bel mezzo delle prove di un coro, in cui le voci si alternano e si sovrappongono, la mostra dipana una conversazione che copre una carriera lunga quasi sei decadi, puntellata da prestigiosi riconoscimenti, come si deduce dalle collezioni da cui provengono i pezzi in mostra, coerente nel nucleo semantico ma diversificata per medium e stili, dai lavori d’esordio debitori dell’arte concettuale, fino alle recenti animazioni digitali, passando per installazioni, video e variazioni attorno all’impiego della fotografia e della scrittura.

Tra le opere stilisticamente più sorprendenti i Vanilla Nightmares (1986-1989, fig. 6) disegni a carboncino eseguiti sulle pagine del New York Times. Resi celebri dalle riflessioni di Hal Foster in Il ritorno del reale, le opere insistono sulle paure che alimentano il razzismo: con fisionomie esagerate e corpi vistosamente erotizzati, l’artista tratteggia donne e uomini bianchi e neri che visivamente interagiscono con le figure riprodotte nelle pubblicità o fotografate per la cronaca, e in generale entrano in risonanza con le notizie relative al Sudafrica pubblicate dal quotidiano. Ma dal vero si apprezza quanto il tratto, volutamente caricaturale e semplificato, non si sottragga alle atmosfere neoespressioniste di quegli anni, mettendo ancora una volta in comunicazione personale e collettivo, pubblico e privato, e con un approccio intersezionale ante litteram.

[1] Oltre che artista visiva, Piper ha insegnato filosofia teoretica in numerosi atenei statunitensi; dal 2005 vive a Berlino.
Adrian Piper, RACE TRAITOR, PAC- Padiglione Arte Contemporanea, Milano, 19.03 – 09.06.2024

images: (cover1) Adrian Piper, «Das Ding-an-sich bin ich», 2018, photo Nico Covre (2) Adrian Piper, «Race Traitor», 2018, stampa digitale (3) Adrian Piper, «Cornered», 1988 (4) Adrian Piper, «Close to Home», 1987, fotografie, testo, audiotape  (5) ) Adrian Piper, RACE TRAITOR», PAC, Milano, ph Nico Covre – Vulcano Agency (6) Adrian Piper, «Vanilla Nightmares #11», 1986, carboncino su pagina di giornale.

 

 

 

 

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call: animateC’24

Par : netty
3 avril 2024 à 10:37

Deadline: 5 August 2024
Call for entries


animateC’24 – Cologne Art & Animation Festival (aC24)
@ Alphabet Art Centre Cologne – Autumn 2024

Founded in 2012 by Wilfried Agricola de Cologne in the framework of CologneOFF – the international festival network – operating since 2005 from Cologne/Germany – animateC – Cologne Art & Animation Festival – would like give the animation more attention, relevance and space as a particular artistic expression, thus the focus is directed to non-commercial, experimental artistic representation and concepts in order to bring animation forward to both – art & moving images, as well as contemporary art.

aC24 – would like to demonstrate the diversity of the artistic animation as a global language connecting people from all continents, cultural and social backgrounds.

aC24 – is looking for
– animated art contents in digital video in all its variety within the wide range of different topic
– new and experimental approaches in transforming artistic concepts via animation into the language of the “moving images”

aC24 – is inviting film & video creators – to submit up to 3 works of experimental forms of film and video art – (exclusively) online by using the entry form below.

Regulations

– deadline: 5 August 2024
– no age limit
– no entry fee
– submissions by film/video from all countries on the globe to be submitted exclusively online
– max 3 works can be submitted for each category film/video
– wanted: single channel videos in mp4 – duration between 1 minute and 15 minutes (exceptions possible on request)
– creations using language and/or text other than English need English subtitles
– The full-length films/videos may be produced between 2020-2024. The submission of extracts is not accepted!!
– The video preview copy – mp4 HD – have to be made available for download via WETRANSFER or from VIMEO or Youtube (link)
– only selected artists will be notified after the deadline and invited to send the HD screening copy of the selected video in best screening quality.
– The New Museum of Networked Art is looking for innovative and experimental approaches in dealing with contents and technology

Entry Form - please cut and paste<br /> Please use for each piece to be submitted a new entry form

1.
artist/director

a) full name
b) full address
c) email, URL
d) short bio (max. 100 words, English only)

2. video

a) title English – original (max 3 works)
b) URL home page, (Internet address for download)
c) year of production
d) duration
e) work synopsis (max. 100 words/submission, English only)
f) 2 screenshots for each submitted work (jpg, HD 1920×1080 px)

Please add this declaration & sign it with your full name & email address
\
I, the submitter/author, declare to be the holder of all rights on the submitted work.
In case the work is selected, I give – The New Museum of Networked Art the permission to include the work in the project context online and in physical space for screenings /exhibitions and the use of screenshots for non-commercial promotional purposes free of charge.
//

Please use for each submission a separate entry form

Please use this email address for submitting
artvideokoeln (at) gmail.com
and following subject line “animateC’24”

The New Museum of Networked Art
Alphabet Art Centre
http://alphabet.nmartproject.net

TOKYO ANIME AWARD FESTIVAL 2021



Anime Festival


Deadline

31 October 2020 for Short Animation

10 November 2020 for Feature Animation


Tokyo Anime Award Festival 2021(TAAF2021) calls for feature and short animated films with high potential and strong messages from all over the world. Our aim is to screen high-quality animated films superior in originality, provide opportunities to inspire audience as well as creators, cultivate new talents, and contribute in the development and promotion of animation cultures and industry.


Tokyo Anime Award Festival 2021 (TAAF2021) is an international animation film festival organised by the Association of Japanese Animations and TAAF Executive Committee, and co-hosted by the Tokyo Metropolitan Government. TAAF2021 will take place in Tokyo in March 2021.


Two categories:

Feature Animation (60 min. or longer)

Short Animation (less than 30 min.)


No entry fee


Prizes:

Grand Prize (both for Feature and Short): 500,000 yen

Award of Excellence (both for Feature and Short): 100,000 yen


Details:

https://animefestival.jp/en/award/competition/


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