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“The Impossible Present. Caleidoscopio” a Milano

Par : Arshake
23 octobre 2025 à 20:21
Fino al 25 ottobre 2025, BUILDING TERZO PIANO a Milano presenta The Impossible Present. Caleidoscopio, un progetto site-specific di Delphine Valli a cura di Melania Rossi, che raccoglie una serie di opere e fotografie inedite, testi e installazioni, in una molteplicità di linguaggi. L’esposizione si colloca temporalmente a due anni dalla pubblicazione del libro The Impossible Present, edito da Parallelo42 Contemporary Art, in occasione della residenza di ricerca dell’artista a Marrakech, in seguito alla sua vittoria del Grant Italian Council di ricerca nel 2021. Arshake è lieto di pubblicare la conversazione tra Melania Rossi e Delphine Valli che accompagna la mostra.

 Melania Rossi: Questa mostra in BUILDING TERZO PIANO raccoglie opere realizzate nel corso del tempo: prima, durante e dopo la tua residenza artistica a Marrakech, vinta nel 2021 con il progetto The Impossible Present, grazie al bando del Ministero della Cultura Italian Council X. 

Trovo interessante che per l’esposizione tu abbia aggiunto al titolo la parola “caleidoscopio”. In effetti tutti i lavori esposti si sovrappongono e si richiamano in maniera quasi spontanea ma ordinata, come avviene ai ricordi che si accavallano nello spazio siderale della memoria. Tutto si gioca tra materialità e immaterialità, tra cose che si somigliano ad un livello più sottile di quello razionale, tra associazioni che si impongono agli occhi, come intuizioni o presentimenti. Molte delle tue opere ci ricordano che possiamo osservare e sentire in modo diverso anche le strade più battute, proprio come accade nell’attento vagare del viaggio, dove scopriamo il mondo e noi stessi.  Al centro della mostra mi sembra esserci ciò che davvero resta delle esperienze vissute. Essendo tu un’artista – scultrice anche quando lavori in ambito pittorico – forma e colore sono caratteristiche che si imprimono immediatamente nella tua visione e nel tuo ricordo. Per poi sedimentarsi a poco a poco e farsi senso. Mi hai raccontato la tua storia una notte di cinque anni fa, eravamo a Marsiglia per un progetto nell’ambito di Manifesta 13 e tu stavi realizzando un’opera che univa tre luoghi della tua vita: il Maghreb, la Francia e l’Italia. 

Considerando tutti i movimenti emotivi e fisici, tutte le memorie che saranno riaffiorate nel tuo viaggio di ricongiungimento con il Maghreb, lasciato a 16 anni di età e dove non avevi più fatto ritorno fino al 2022: cosa significa per te questa ultima esposizione da BUILDING, sia artisticamente sia personalmente? E che gestazione ha avuto? 

Delphine Valli: Una lunga gestazione, direi. In fondo, da quando il libro The Impossible Present che ha coronato la fine del periodo di ricerca con l’Italian Council è stato pubblicato, l’idea di traslare matericamente e plasticamente l’esperienza vissuta si è imposta. Non ne sentivo l’urgenza, ma la necessità sì. Poi, dall’ottobre 2023, nel momento in cui avrei dovuto proseguire sullo slancio della pubblicazione del libro e del progetto appena concluso, mi è caduta una coltre di asfalto nero addosso e ho provato un intenso senso di scollamento dalla realtà che mi circondava. Mi sembrava di evolvere in un immenso teatro insignificante ma prepotente, dove ogni concetto era svuotato dalla propria sostanza. In quel periodo ho realizzato le tre carte nere presenti in mostra, ricoprendo con inchiostro calcografico nero fumo dei fondi argentati realizzati in precedenza. Per me allora, le scene erano diventate oscene.

Con te, avevamo il desiderio di proseguire il discorso apertosi a Marrakech e nel 2024, BUILDING ci ha offerto questa possibilità, accogliendo la nostra singolare proposta che si è immediatamente sviluppata attorno al libro The Impossible Present edito da Parallelo42, presente in mostra. Nella sua lunga gestazione, il progetto ha trovato la sua forma, sintetizzata nell’immagine del caleidoscopio, in cui gli elementi si rispondono, si ripetono ed evolvono in modo speculare. In confronto a quello della gestazione, il tempo della realizzazione è stato relativamente breve. Mi sono affidata all’intuizione, ogni elemento sembrava imporsi da sé e cercavo di non interferire. Come dici, la memoria funziona più per sovrapposizione che per giustapposizione e intuitivamente, sia nella realizzazione di opere derivanti dal progetto di ricerca svolto a Marrakech che nell’integrazione di opere precedenti, o contemporanee al periodo di ricerca, ho identificato il senso di ognuna alle fondamenta del mio lavoro in qualche modo rivelate dal periodo di ricerca stesso. La loro co-presenza nella mostra intende metterle in luce più che analizzarle, confidando nell’evidenza della filiazione

 

 I primi tuoi lavori che ho visto e che mi hanno spinta ad approfondire la tua ricerca erano due cementine marocchine in parte nascoste da forme geometriche, esposte in una collettiva a Roma diversi anni fa. Stavano lì, graziose ma misteriose, armoniche nel loro strano disequilibrio. In qualche modo esotiche al contesto. Poi ho iniziato a frequentare il tuo studio e, negli anni, vedevo che la forma del pendolo, del triangolo, del trapezio tornavano a popolare le tue opere, lasciando sospettare che fossero frammenti di una geometria più complessa. Come negli intrecci delle zelliges marocchine, le tessere smaltate di mosaico onnipresenti nelle case, nei giardini interni dei riad, negli edifici religiosi e nei palazzi. La tradizione secolare delle arti applicate nel mondo arabo deriva dalla teoria dell’ordine aristotelico, che connette i movimenti delle sfere celesti alle minime scosse delle forme. Non potendo rappresentare la figura divina, invisibile per natura, l’arte tradizionale islamica ha interiorizzato il dato spirituale. Ecco che un’immagine apparentemente semplice, decorativa, sottende un pensiero estremamente complesso. 

Cito a memoria dal tuo testo Orientarsi: la realtà sfugge ai nostri sensi. Oggi la fisica quantistica ha dimostrato che le cose non sono come appaiono, una verità intuita dalle filosofie orientali secoli fa. C’era in te consapevolezza di una possibile influenza delle arti applicate islamiche nella tua pratica artistica? In che modo la cultura visiva in cui sei stata immersa durante la tua infanzia potrebbe essere entrata nella tua ricerca? 

 Ho vissuto i primi 16 anni della mia vita immersa nella cultura islamica mentre frequentavo la scuola francese ad Algeri. Ho allora viaggiato molto in Algeria, in Marocco e in Tunisia. Sono cresciuta tra due sponde del Mediterraneo. Prima di tornare nel Maghreb nel 2022, non ero affatto consapevole di una sua possibile influenza sulla mia pratica. Nelle mie prime deambulazioni nella medina di Marrakech, sono stata particolarmente colpita dall’architettura islamica, dal suo rapporto allo spazio, interno ed esterno, alla luce ma ancora alle geometrie che la pervadono. Mi sentivo a casa. Era un’esperienza vissuta con tutto il corpo, una memoria sepolta perché non sollecitata riaffiorava. I diagrammi analitici geometrici sono stati concepiti da matematici e astronomi attorno ai IX e X secolo mentre l’arte islamica emerge nel VII secolo, in concomitanza con l’Islam e si diffonde rapidamente, dalla Spagna all’India. È una sua straordinaria peculiarità essere stata assimilata da così tanti tessuti etnici. 

Non ero stata consapevole della sua influenza ma ho realizzato a Marrakech che non avevo visto ciò che avevo interiorizzato: la cultura islamica aveva plasmato la mia sensibilità e in particolare il mio approccio allo spazio e al dato spirituale, anch’esso interiorizzato da essa stessa. Nella mia pratica, ho sempre privilegiato l’intuizione e il linguaggio che si è imposto a me è stato insistentemente astratto sin dall’inizio. Immagino che in modo capillare, quello che ha modellato il mio approccio al mondo si sia rivelato successivamente nella mia pratica artistica. Ho la sensazione che questo viaggio di ricongiungimento con il Maghreb mi abbia permesso di iniziare a integrare consapevolmente le due culture e mi liberi da un’ingiunzione esclusivamente astratta.

 Mi hai detto che i titoli delle tue opere provengono da un generatore automatico di titoli d’arte contemporanea. Qualche esempio: Mechanical Absence, A Lost Information, The Possibility of Orientation, … C’è un po’ di ironia nell’altisonanza dei nomi – ovviamente tutti in inglese – e anche nella scelta di delegare ad un automatismo l’assegnazione del titolo, soprattutto considerando che la scrittura è parte integrante del tuo lavoro. Le tue opere sono spesso accompagnate da tuoi testi originali. Inoltre, tu sei francese quindi pensi in doppia lingua, con tutte le interessanti oscillazioni di senso che avvengono durante le traduzioni. Anche in questa mostra ci sono molti testi, sempre poetici e caratterizzati da un uso sensibile della parola. In alcuni casi ci sono frasi estrapolate come: “Non sai mai di chi sei l’astro più luminoso”. In altri casi sono parole trovate come “Unico Grand Amour”, vista su un muro della Medina di Marrakech. Cito queste due in particolare perché in mostra le vediamo tradotte nella calligrafia geometrica araba. E anche le aste tortili dell’installazione The Literature of War fanno riferimento alla parola, perché ogni torsione corrisponde ad una lettera del nostro alfabeto. Cosa rappresenta per te la scrittura, come si integra nella tua arte visiva e in questa mostra?

 Il generatore ironico di titoli di arte contemporanea che ricordi non esiste più ma infatti, ho scelto di attingere al mio serbatoio di titoli autogenerati anche per le opere recenti, per coerenza con le altre opere in mostra. Mi piace sempre l’avere delegato al caso nonché a una macchina, la cura di avere prodotto il senso ma non delego l’assegnazione stessa, scelgo comunque il titolo in relazione all’opera. 

Quando ero bambina, traducevo mentalmente quanto stessi vivendo, come si farebbe in un racconto. All’osservazione si univa la distanza da quanto vissuto. Poi ho scoperto la letteratura e in particolare la poesia. Lo spazio letterario identifica lo spazio proprio all’opera letteraria ed è uno spazio a tutti gli effetti. Immateriale e intangibile. 

A un certo punto, è stata un’esigenza quella di integrare la scrittura alla mia produzione plastica, un tentativo di avvicinare questi spazi e di osservare quanto il loro incontro potesse generare. Per The Impossible Present, mi ero prefissata di integrare la scrittura alla trama plastica del lavoro, come avviene d’altronde nell’arte tradizionale islamica. Ho così ideato questo alfabeto, in cui ad ogni lettera corrisponde una specifica torsione dell’asta di ferro, ne deriva un messaggio criptico pur se contenuto nella materia stessa. Ho anche stampato due calligrafie geometriche di stile Kufico realizzate da Abdelghani Ouida, noto calligrafo di Marrakech. Questa volta, la scrittura si ricongiunge con la forma astratta, prediletta nell’arte islamica.

 Ci stai raccontando un viaggio di ritorno, dopo migrazioni che nel corso della tua vita ti hanno portata da Parigi ad Algeri e poi di nuovo in Francia per approdare infine a Roma. Ricordo che durante la stesura del progetto per IC ti sei interrogata molto sull’idea del ritorno come eterotopia. Nel pensiero di Michel Foucault, le eterotopie sono luoghi reali ma anomali, che contrastano con tutti gli altri spazi esistenti. Quando si torna in un luogo familiare, si può sperimentare una forma di eterotopia se si riesce a osservarlo con una prospettiva rinnovata. L’esperienza del ritorno può far sì che un luogo “diventi qualcos’altro da sé e non diverso come sconosciuto”. Un reale ritorno è, in effetti, impossibile perché non possiamo tornare i noi stessi di allora, né possiamo ritrovarci in quello stesso tempo o in quello stesso luogo.  Trovo quindi interessante che per ragioni politiche tu non sia potuta tornare ad Algeri, la città della tua infanzia, ma sia approdata a Marrakech. Come giustamente scrive Juan Palao, archivista e filologo, nel libro edito da Parallelo 42: “Andando ad Algeri, Delphine ha trovato Marrakech”. Del resto, “Present” in inglese è anche il dono: da un’impossibilità è nata un’opportunità.

Il confronto culturale è al centro della tua ricerca e le immagini che crei sono una sorta di ponte tra più mondi. Non si tratta solo del rapporto tra Oriente e Occidente, ma di dissolvere i confini oltrepassando definizioni, banalizzazioni, andando oltre le soglie del possibile. Infatti spesso le tue opere si situano in una sorta di spazio intermedio, tra due e tre dimensioni, tra disegno e scultura, dove persino l’antropocentrismo sembra superato. Il tempo e lo spazio giocano un ruolo fondamentale in questo progetto. L’elemento temporale perde qui la sua linearità e quello spaziale diventa evanescente. Tra questi due concetti si fa largo il “vuoto”, come campo di energie, che anche in mostra ha un ruolo dinamico. In qualche modo si torna ad una scoperta della fisica quantistica. Ciò che si rintraccia sempre nel tuo lavoro è la luce, le traiettorie luminose dei colori o dei metalli, che generano ulteriori forme e prospettive. In fondo i tuoi luoghi fanno tutti parte del Bacino del Mediterraneo e in questa mostra c’è moltissima di quella luce. Poi, ci sono anche le ombre che narrano altre storie. Cito dai tuoi appunti, che nel libro hanno l’eloquente titolo Orientarsi: “(…) per me, l’esperienza artistica non è da considerarsi separata da quella esistenziale, non si illustrano l’un l’altra, si generano a vicenda (…)”. 

Sì, questa unicità dell’esperienza, esistenziale e artistica, è la sua complessità. Il “Io sono inseparabile” della scrittrice francese vissuta in Algeria, Hélène Cixious, riassume l’impossibilità di scindersi. 

Ha in fondo contraddistinto molti aspetti del progetto che mi ha portata a vivere l’esperienza del ritorno alla cultura nella quale sono cresciuta in una città, Marrakech, che non conoscevo. Quest’ultimo aspetto è stato, effettivamente, un dono. Ero liberata dall’utopia del ritorno nella quale, come sottolinei, non si ritrova ciò che si ha lasciato e ho potuto dedicarmi totalmente alle reminiscenze che emergevano in me e allo studio comparato delle culture visive orientale e occidentale. Un libro in particolare mi è stato estremamente prezioso, I canoni dello sguardo. Storia della cultura visiva tra Oriente e Occidente di Hans Belting. In sostanza, la cultura visiva occidentale ha definito il suo canone percettivo con la prospettiva e la centralità dello sguardo umano, trasformando il mondo in un’immagine, attingendo alla teoria della visione di Alhazen, matematico e astronomo, scienziato geniale originario dalla Mesopotamia vissuto negli anni 1000. Per la cultura visiva orientale, l’immagine è collaterale (non vediamo la stessa cosa attraverso l’acqua e attraverso l’aria), essa si concentra sui raggi luminosi e ha interiorizzato il dato spirituale. E nel caso delle sue complesse geometrie, esse non sono mere decorazioni ma la rappresentazione di leggi cosmiche. 

Avevamo posto al centro del progetto la convergenza dei saperi, come si evince nel libro, ed è stato essenziale e vitale. Nello scambio, ho potuto misurare quanto la ricerca artistica abbia una sua dignità propria. Non cerca la sua autorevolezza all’esterno del suo campo ma si arricchisce nel confronto con altri campi e vice versa. L’approccio artistico, alla pari degli altri, è un modo per afferrare il mondo e accedere alla conoscenza o alla comprensione. Tre elementi presenti in mostra, intitolati Ode to Chaotic Meditation, realizzati con specchi antichi, evocano l’eterotopia di cui parli. Lo specchio è eterotopia per eccellenza, spazio utopico e riflettente. Permette di interrogarsi sul mondo visibile e sulla sua solidità o sulla sua realtà

Dopo Marrakech, sono effettivamente tornata ad Algeri, con una borsa di ricerca dell’Istituto Francese di Algeri. Ho sperimentato appieno l’impossibilità del ritorno. Aldilà delle considerazioni che possiamo farne, sicuramente giuste – per Foucault il ritorno è alla volta una pratica e uno spazio eterotopico “che ha per regola di giustapporre in un luogo reale più spazi di norma incompatibili” – ho sperimentato uno scompiglio che riguardava più il tempo, via lo spazio, dai quali ero esclusa. 

Per i Gnawa, confraternita mistica presente in Marocco, l’esilio non riguarda tanto lo spazio – la geografia – l’esilio è esilio dal Sé e in questo senso, il ritorno in Marocco si è offerto come chiave di comprensione che non riguardasse solo me naturalmente. Con The Impossible Present. Caleidoscopio, ho cercato di riunire vari spazi in un luogo, di giustapporre, di sovrapporre vari spazi aperti dall’esperienza fondatrice svolta a Marrakech. 

Delphine Valli – The Impossible Present. Caleidoscopio, a cura di Melania Rossi
BUILDING TERZO PIANO, fino al 25.10.2025

immagini: (copertina 1) Delphine Valli, “The Impossible Present. Caleidoscopio”, BUILDING TERZO PIANO, Milano, foto: Sarah Indriolo (2) Delphine Valli, “A studio The Formation of Joy”, foto: Luis Do Rosario 2025 (3) Delphine Valli, “On Being Superficial”, 2020 2021, The Impossible Present. Caleidoscopio, BUILDING TERZO PIANO, Milano, foto: Sarah Indriolo (4) Delphine Valli, “Progetto per disegno murale”, 2022 2025, The Impossible Present. Caleidoscopio, BUILDING TERZO PIANO, Milano, foto: Sarah Indriolo (5) Delphine Valli, “The Impossible Present. Caleidoscopio”, BUILDING TERZO PIANO, Milano, foto: Sarah Indriolo

 

 

 

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VDA Award 2025 a Rimini

Par : Arshake
21 octobre 2025 à 21:55

Auriea Harvey, Martina Menegon, Quiet Ensemble e The Cool Couple sono i finalisti del VDA Award 2025. È con le loro poetiche, visioni e opere che – dopo la prima edizione del 2023 e un percorso di ricerca durato ventiquattro mesi – il premio torna a restituire non solo uno spaccato della scena artistica digitale, capace di intrecciare visioni pioniere e nuove realtà, ma anche un’indagine profonda sul presente: un faro acceso sulle sue contraddizioni, trasformate esse stesse in linguaggio artistico, oltre le semplificazioni e le retoriche.

Dal corpo materno di Auriea Harvey come relazione primaria tra madre e figlio, alle identità frammentate e glitchate in cerca di definizione di Martina Menegon; dai misteri cosmici tradotti in tempo reale in materia viva da Quiet Ensemble grazie ai dati provenienti dagli osservatori, alle rivoluzioni destabilizzanti dell’astrofisica e della fisica quantistica che mettono in crisi l’essenza dell’uomo e le conoscenze acquisite; fino al disastro climatico affrontato da The Cool Couple e all’illusione del controllo.

Oltre i confini del design tecnologico e della scultura, tra ambienti digitali tridimensionali e interattivi, consistenze ibride e corporeità instabili, esperienze immersive che interrogano identità e presenza, le opere finaliste della seconda edizione incrociano così tecnologia, arte e consapevolezza critica. 

Pioniera della Net Art, capace di trasformare interazioni digitali e ambienti virtuali in scenari abitati da archetipi e memorie, Auriea Harvey con Mother/Child costruisce una riflessione intima e universale sul legame madre-figlio, dove forza e fragilità si intrecciano in un equilibrio precario e luminoso. Il poligono diventa per lei “argilla matematica”, materia immateriale che prende forma nello spazio virtuale e si traduce in presenza fisica attraverso la stampa 3D. Le superfici, morbide allo sguardo e solide al tatto, restituiscono la complessità della maternità come esperienza contraddittoria e stratificata. Harvey ha esposto nei principali musei internazionali, costruendo una pratica che unisce innovazione tecnologica e profondità scultorea.

Con untouched. 7285252 Martina Menegon porta in scena corpi instabili e glitchati, autoritratti digitali generati dal 3D scanning che si moltiplicano in ambienti immersivi. Una ricerca che espone la vulnerabilità del sé nell’era delle realtà estese, aprendo nuove prospettive di relazione con identità e percezione attraverso corpi che si frantumano, si fanno esperienza interattiva, oscillano tra presenza fisica e dimensione virtuale. In questa sospensione emergono fragilità, spaesamento e affettività inattesa, nell’opera di un’artista, curatrice, e docente che ha creato con la sua poetica un linguaggio capace di mettere in crisi la linearità del corpo e la sua definizione.

È Fragile di Quiet Ensemble ad aprire un varco sul cosmo. I dati provenienti dall’Osservatorio Gravitazionale Europeo di Cascina diventano materia sensibile, trasformandosi in paesaggi visivi e sonori che rendono percepibile l’invisibile. Fratture luminose, vibrazioni sonore e collassi digitali restituiscono la fragilità come principio generativo, dove la rottura diventa ritmo e il disgregarsi diventa poesia. Da anni Fabio Di Salvo e Bernardo Vercelli intrecciano natura e tecnologia, restituendo “concerti invisibili” che trasformano il movimento di una mosca o il respiro di un albero in sinfonie audiovisive. Con Fragile, la loro ricerca raggiunge un’intensità cosmica: l’arte diventa antenna che ascolta i segreti dell’universo e li traduce in esperienza.

The Cool Couple con Flyin’ High affronta poi le contraddizioni del nostro tempo sospesi tra desiderio e collasso. Un volo digitale da Milano a Roma attraverso Microsoft Flight Simulator diventa metafora di una libertà perduta e insieme denuncia dell’impatto climatico. L’esperienza, apparentemente leggera, si rivela specchio del presente: un mondo in cui l’illusione di controllo si scontra con la fragilità del pianeta e con il peso crescente della CO₂. Docenti e artisti, Niccolò Benetton e Simone Santilli portano avanti una pratica che si muove tra ricerca e insegnamento, tra mostre internazionali e progetti di riflessione collettiva, trasformando l’arte in spazio di consapevolezza.

Insieme al direttore artistico e curatore del premio Davide Sarchioni e al responsabile di Var Digital Art by Var Group, Alex Tiezzi, il comitato scientifico che ha selezionato le opere è composto da quattro esperti ed esperte che, con generazioni, ruoli, formazioni e traiettorie differenti, incarnano un approccio plurale e stratificato alla contemporaneità: Cesare Biasini Selvaggi, Ivan Quaroni, Gemma Fantacci e Serena Tabacchi. Quattro personalità del contesto artistico contemporaneo che rappresentano la volontà di VDA by Var Group di abbracciare l’eterogeneità delle pratiche digitali contemporanee. 

“Le opere finaliste rivelano un panorama eterogeneo e di straordinaria attualità” spiegano Davide Sarchioni e Alex Tiezzi, “in cui identità, ambiente e futuro diventano materia di ricerca e riflessione condivisa. Var Digital Art Award è un osservatorio permanente sul presente, capace di ispirare anche il mondo dell’impresa e di restituire l’arte come innovatore culturale, necessaria alla società tutta”.

Le opere dei finalisti saranno protagoniste della finale del VDA Award 2025 il 23 e 24 ottobre al Palacongressi di Rimini, nell’ambito di “Z!ng – Zone of Innovation and Growth”, l’evento annuale di Var Group che accende la scena dell’innovazione digitale.

(dal comunicato stampa)

Z!ng – Zone of Innovation and Growth, Palacongressi di Rimini, 23-24.10.2025

immagini: (cover 1) Var Digital Art Award archivio 2023 Rimini, Foto di Var Group (2) Auriea Harvey, “Mother-Child”, still, VDA2025. Courtesy dell’artista (2) Martina Menegon, “FutureBodies-untouched.7285252”, VDA2025. Courtesy dell’artista (3) Quiet Ensemble, “Fragile”, VDA2025, Courtesy degli artisti (4) The Cool Couple

 

 

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FRAME > You Are Here

Par : Arshake
28 septembre 2025 à 20:17

FRAME cattura You Are Here (2024), prima opera scultorea statica di Philip Vermeulen, che cattura un fenomeno visivo effimero in forma fisica. Per quanto statica, la scultura risponde in maniera sempre diversa ai cambiamenti di luce e ai movimenti degli spettatori.

Philip Vermeulen, You Are Here, 2024, immagine via

 

 

 

 

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VIDEO POST > GUSH

Par : Arshake
6 juillet 2025 à 11:23

VIDEO POST rilancia GUSH di Hannah Perry. Scultura dinamica su larga scala, suono e film, in un’esplorazione sincera e personale della società contemporanea iper-connessa.

Hannah Perry (Gush @ Somerset House)2018

 

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Mise en Place. Nordine Sajot

25 juin 2024 à 10:55

La showroom dello studio di architettura Substratum, un piccolo gioiello che si apre su strada nel quartiere romano Monti, ospita i lavori di Nordine Sajot, artista che, nelle forme più diverse, come video, scultura, disegno, depone tutto il suo interesse antropologico.

“Mise en Place” è il quarto progetto quadrimestrale tra arte contemporanea e design ideato dai fondatori dello studio, Giorgia Castellani e Giovanni Tamburro, in collaborazione con Amalia Di Lanno, comunicatrice e consulente artistica. Nello spazio della Galleria il disegno allestitivo ricrea una stanza della casa che entra in dialogo con gli artisti invitati, attraverso il loro lavoro e la serie di incontri ed eventi dedicati al tema concepiti come processo relazionale e di condivisione.

Questa volta protagonista è la cucina, spazio di aggregazione per eccellenza, teatro di gestualità e rituali che sono stati al centro di molti lavori di Sajot e che quindi ben si sono prestati a questa sinergia. Gestualità della tavola come fattore distintivo di uno status, specchio di socialità che oggi prende forma nella ritualità accelerata di informazioni ingerite, ingurgitate, mai metabolizzate.

L’interesse antropologico è messo a fuoco attraverso l’adozione di forme diverse ma anche di diversi approcci creativi che sottendono un lavoro molto profondo sulla percezione. La sottrazione di alcuni particolari da una serie di fotografie che ritraggono gestualità tipiche della tavola (i.e. braccia con in mano posate o bicchieri) non toglie, anzi rafforza, quella stessa gestualità. La ri-materializzazione di queste parti in sculture ex-voto allestite sul muro, le riporta in vita per costruire un dialogo a sé stante.

Così con questo spazio di architettura di interni così elegante e minimale, le opere-operazioni scultura di Nordine Sajot, fotografie, sculture in ceramica e porcellana smaltata, lasciano tracce dell’uomo e della sua socialità in tutta la sua vitalità.

La ricerca dei materiali è centrale nel design. E l’allestimento della showroom ruota infatti attorno al modello GOLD di Situazione Architettura, monolite nero centrale rivestito di materiale fenix nero ingo, materiale particolarmente innovativo, opaco, morbido al tatto e anti-impronta.

La materia, come il vetro resistente della Duralex, ritratta in una serie di fotografie con un sottile gioco di pieno e vuoto, ha uno spazio di primo piano anche nel lavoro dell’artista. Questo vetro resistente inventato in Francia nel 1945 è associato ad un design di stoviglie e posate che sono parte della memoria collettiva, particolarmente diffuse nelle mense delle scuole.Il rapporto di forma e funzione alla base del design, nei lavori di Sajot è come rovesciato nel tempo, proiettato al passato, piuttosto che al futuro, in un lavoro di ricostruzione, dal gesto al rituale e dal rituale allo stato sociale. Il quadro si ricostituisce attorno al design nel suo momento di stasi, prima di entrare nella vitalità sociale delle case.

“L’artista– come leggiamo nel comunicato, “compone un tableau vivant che aziona differenti appetiti per entrare, riflettere e metabolizzare la profondità sensibile del corpo gestuale. Quella dell’artista è una pratica rituale e performativa di consapevolezza esistenziale della propria presenza, di acquisizione di ‘sapore’ e sapere cosa si è e si vuole”.

MISE EN PLACE. Nordine Sajot, SUBSTRATUM Galleria, Roma, finissage giovedi 27 giugno (dalle 18.30)

immagini (tutte) Nordine Sajot, MISE EN PLACE, SUBSTRATUM, installation view, 2024

 

 

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FRAME > Borrando la Frontera

Par : Arshake
30 mars 2024 à 10:50

FRAME cattura Borrando la Frontera, ‘scultura sociale’ di Ana Teresa Fernández che in un mattino di giugno del 2011, complici una grande scala e una pistola a spruzzo, ha ‘cancellato’ le barre della frontiera tra Messico e USA con un pallido blu polvere.

Ana Teresa Fernández, Borrando la Frontera, 2011, immagine via

 

 

 

 

 

 

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Lab.18 art contest

 


Deadline: 11 March 2021


"Lab.18 art contest, is a call for submissions open to all kind of artists. Works allowed in the art competition are: drawings, paintings, sculptures, photographs, graphics, mix media and video. A great opportunity for the artists, which can win a cash prize, have the opportunity to exhibit the artworks and much more. 

The following types of works are admitted: Painting, Sculpture, Photography, Mixed media, Digital, Video, Graphics, Net art, other (all visual works that can be reproduced through a picture are allowed).

The contest is addressed to professional and amateur artists, graphic designers, painters, photographers, etc. from all over the world. 


Entry fee

45€


Prizes / Awards

5000,00€

- collaboration award for a new Malamegi collection

- artwork acquisition award

- cash prize

- monographic book prize


Details:

https://www.lab.malamegi.com/

60th Toronto Outdoor Art Fair

 



Deadline: 8 March 2021


Canada’s leading contemporary outdoor art fair is celebrating 60 years of of launching artists careers, and the #CallForArtists is now open! Visual artists and makers of all backgrounds are invited to apply for the hybrid online/outdoor 60th @torontooutdoorartfair in July 2021. Each year, a loyal following of Fair-goers spend $2 million on art purchases, providing an income to independent artists that contributes to their economic prosperity. The 60th Anniversary Fair will be one to remember with new special programs and awards!
Accepting applications until March 8. Get more info and apply now at www.torontooutdoor.art


Entry fee

$50 CAD


Prizes / Awards

$40,000 cash and in-kind awards, Biggest prize $6,000 to one artist


Details:

https://torontooutdoor.art/

THE CREATIVE ROOM

 



Deadline: 3 January 2021


a.topos Venice is pleased to present THE CREATIVE ROOM, an original initiative created by the Curatorial Collective to promote emerging creatives, following the CC’s commitment to enhance their visibility by providing an exhibition space to selected artists in the venetian contemporary art scene.


In this OPEN CALL first edition, we are inviting participants to send proposals that address a challenge imposed by the exceptional reality of lockdown and social distancing during the COVID-19 pandemic: How to recreate oneself? Exercising the gaze towards the outside? Repositioning self as subject/object? Share your artwork with us so that we can convert our gallery in an extension of your own CREATIVE ROOM.


Entry fee:

20€


Prizes / Awards:

2 exhibitions


Details:

https://atoposvenice.com/thecreativeroom

Maria Lai al MUSMA di Matera

Par : Arshake
21 mars 2024 à 08:43

Cerco spazi cosmici, cieli, spazi lontanissimi però tattili. Gli spazi che cerco non sono tanto in una superficie, quanto al di là di essa…Le mappe astrali rispondevano all’esigenza di un rapporto con l’infinito, di una dilatazione e proiezione sulla lontananza… Sono un invito al viaggio.
Maria Lai

Il MUSMA – Museo della Scultura Contemporanea di Matera continua ad ampliare la propria collezione accogliendo nuove donazioni. Durante il 2024 il museo presenterà a rotazione opere già in collezione facendole dialogare con nuove opere , sia permanenti che temporanee, progettate appositamente per gli spazi del museo. L’allestimento vuole rendere più leggibile il linguaggio della scultura contemporanea ed evidenziare i legami e le relazioni tra gli artisti. Grazie alla proficua relazione con l’Istituto di Conservazione e Restauro sede di Matera che contribuisce alla conservazione e il restauro di molte opere della collezione, attraverso alcuni casi studio ha aperto nuove possibilità di dibattito nell’ambito del restauro del contemporaneo.

Il primo appuntamento è stato il 16 marzo con “Cartogramma”, la nuova installazione permanente di Crisa in dialogo con le tre opere dell’artista sarda Maria Lai, già presenti nella collezione  del Museo.

Le opere sono: Cuore mio 2002, La torre, 1971-2002 e Sa domu de su dolu, 2002. La torre attesta la grande capacità di Maria di ricreare la realtà; di riscrivere la memoria di un oggetto offrendo ad esso un’altra dimensione. L’opera è costituita dall’assemblaggio di due gruppi di infissi lignei sovrapposti, dipinti di bianco e nero, trame, nodi di spago dipinto. Tale descrizione evidenzia che la parte inferiore dell’opera, la parte bianca, è in realtà il Telaio campestre del 1971 che Maria ripensa e riutilizza, per realizzare l’opera che commemora l’attentato terroristico del 11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York e che data al 2002. Cuore mio e Sa domu de su dolu, ci raccontano un’altra Maria, colei che trasforma in opere le parole scritte nei racconti di Cambosu, suo professore, il quale insegna a Maria il ritmo e il respiro delle parole mute. I fili, i pani, le tre opere della piccola capretta ansiosa di precipizi entreranno in dialogo, con l’opera del cagliaritano muralista Crisa che, nel 2019, in occasione del centenario della nascita dell’artista, su commissione dei familiari, ha realizzato sulla facciata dello studio di Maria a Cadeddu un intervento grafico.

Nella sala del MUSMA nasceranno nuove “GEOGRAFIE” proprio come faceva Maria che diceva riguardo le stesse: Cerco spazi cosmici, cieli, spazi lontanissimi però tattili. Gli spazi che cerco non sono tanto in una superficie, quanto al di là di essa…Le mappe astrali rispondevano all’esigenza di un rapporto con l’infinito, di una dilatazione e proiezione sulla lontananza…Sono un invito al viaggio.

L’opera che Crisa (nome d’arte di Federico Carta) realizzerà per il MUSMA, CARTOGRAMMA, questo il suo titolo, sarà un invito ad andare oltre: “Una geografia immaginaria composta da sezioni o frammenti di mondo che racconteranno un territorio con il suo paesaggio e il suo cambiamento urbanistico e lo spopolamento.

La sua chiave di lettura accompagna Matera a specchiarsi in questa visione. Al dipinto si sovrapporranno degli inserti scultorei in ceramica, dipinti e incisi; veri e propri focus sulla memoria dell’umanità. Un reperto di memorie che sono venute a definirci, tali concetti sono I flussi migratori, i cambiamenti, gli assestamenti e lo spostamento.” Nelle porzioni della sua geografia, i Sassi, fermi e stabili, sono i guardiani del tempo storico di questo scenario, le canne al vento simbolo di libertà che crescono spontanee nelle zone di periferia. l fili connettono gli esseri umani al paesaggio. Crisa come un sismografo capta con sensibilità il terreno e cerca di tracciare il mondo.

Maria Lai (1919-2013), personalità di spicco della scena artistica contemporanea, continua a far parlare di lei con mostre e approfondimenti che arrivano cospicui soprattutto post mortem.  Non c’è dubbio che la vasta ricchezza di suggestioni poetiche della sua opera (scultura, pittura, disegno, chine, acquerelli, collages, telai, libri cuciti, interventi ambientali, azioni teatrali), sempre audaci ed attuali, inciti l’artista di oggi alla consapevolezza profonda del suo ruolo attivo nella produzione culturale, sia come intellettuale sia come artefice.

(dal comunicato stampa)

Cartogramma. Crisa dialoga con Maria Lai, MUSMA,  Matera 16.03 – 31.04.2024

immagini: (cover 1) Cartogramma, MUSA, Matera, panoramica d’installazione (2) Maria Lai, «La Torre», 1971 – 2002 – telaio, cm 271 x 183  (3-4) Crisa, Cartogramma, dettaglio, ph. Luca Centola (5)  Maria Lai, «Sa domo de su dolo», 2002, terracotta, cm 35 x 40 x 40 Donazione Maria Lai, Cardedu, NU

 

 

 

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